Fragilità e poesie. Sostiene la maestra

di Rosaria Gasparro (*)

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Quell’essere più di niente e meno di qualcosa. Una misura per tutti, che si allarga e si restringe come certi tessuti. Sostiene che il domani arriva oggi. Certe volte pure il giorno prima. Ma questo lo sanno meglio i bambini che confondono il tempo. Un tempo da millepiedi, ognuno il suo per la meta comune. E lei è una lepre con gli occhi strabici, per moltiplicare i minuti che ha e assicurare a ognuno il suo sguardo.

Sostiene la maestra che il granchio – quando lo si prende – è una bella occasione per imparare a camminare di fianco. Che indietro è il modo più sicuro di tornare, per non perdere nessuno.

Che i fiori, le stelle e i bambini sono ciò che resta del paradiso. Solo che sbaglia perché l’inferno arriva di sicuro, tutto sta a non dargli spazio. Si sbaglia ancora perché era Dante a dire la prima e Calvino a dire la seconda.

Che le scarpe basse aiutano a stare in piedi, a sedersi per terra, a correre, a chinarsi per portare la mano di chi l’aspetta.

Che prova a essere intera in tutto quel che fa, anche se poi si ritrova a pezzetti. Che lei si ostina a metterci il tutto in ogni cosa perciò è a metà, fra il nulla e il tutto, che si posiziona. Perciò vorrebbe rotolare come una sfera per avere il centro diffuso. Non lo dice ma vorrebbe pure abbracciare la circonferenza.

Ci pensano i bambini a metterla a posto, a spuntarne la presunzione nel “tempera-maestre”, trucioli su trucioli di entusiasmi e crisi, sconfitte e ricominciamenti. Perché il suo è un lavoro pieno di interrogativi, di sospensioni, di cancellature, di scolorine. Un lavoro punto e a capo, ordinario capolavoro di scambi e relazioni, di nervi e affetti, che ti consuma e ti rinnova. È il lavoro del sentire per provare a capire.

Sostiene la maestra che lo sguardo del potere e degli accademici non vedono quelle e quelli come lei, che considerano insignificante o pericoloso il loro sapere, che li coprono di teorie, riforme e propaganda come insulti per minarne la dignità e il pensiero e farne ossequiosi e innocui proseliti, strumenti di consenso.

Non c’è niente da fare, quelle e quelli come lei pensano che il mondo vada salvato partendo proprio da quell’aula e da quella classe, dalle fragilità che non vogliono chiamare problemi, dalla fiducia e dall’amore reciproco che si arrabbia, litiga, si pacifica e si commuove. Lo sanno solo dopo che sono loro a essere stati salvati. Perché insegnare è imparare un numero infinito di volte il già conosciuto. I veri maestri incominciano da se stessi, dalle proprie miserie e insufficienze, attingono alle radici dell’umano, si trasformano e più diventano autentici più possono trasformare il mondo.

Sostiene la maestra che la lotta è dura e si sente sola, ma sa che ci sono più orizzonti di quelli che lei riesce a vedere.

Sostiene ancora la maestra che la poesia aiuta.

«Devi essere aperto
come una ferita
perché il vero nome delle cose
è nascosto
sotto il primo, il secondo
e il terzo strato delle parole
o ancora più in fondo».

Kajetan Kovič

(*) Rosaria Gasparro è maestra di una scuola primaria pubblica, vive a San Michele Salentino (Brindisi). Questo post è ripreso da «Comune-Info» (dove ci sono altri suoi articoli) che spiega: «insieme a molti e molte ha contribuito alla nascita del dossier Apprendere facendo».

 

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