Frammenti. Fra/le/menti

brevi storie “scovate” da Alessandro Taddei

1-

Il giorno che Bob venne preso a lavorare per la polizia segreta non aveva ancora compiuto 22 anni. Aveva appena trovato lavoro come receptionist in un albergo di medio rango alla prima periferia della città. Al decimo giorno di lavoro il direttore lo invitò nel suo ufficio per un caffè.

Quando Bob entrò si trovò di fronte a tre uomini eleganti che non si degnarono nemmeno di alzarsi dalla sedia per salutarlo. Lo squadrarono dalla testa ai piedi. Il più brutto di loro aveva un occhio molto più piccolo dell’altro. Si accese una sigaretta e si rivolse a lui con un marcato accento del nord. «Da oggi per ogni persona che ricevi in albergo, prendi le generalità, il telefono, il passaporto e ci invii tutto per email. Informaci di chi mette piede qui e noi te ne saremo molto grati». Il ragazzo annuì con la testa, guardò per un momento il direttore. E il mio caffè? pensò il ragazzo. L’uomo della polizia segreta lo fermò un ultima volta. «Ragazzo ricordati che il mio sperma è sterile». Bob annuì deglutendo e tornò al suo lavoro.

2-

Rayan tirò un’imprecazione alle sue assistenti. Posò il pettine e si diresse verso la porta. Aveva appena detto che quella era l’ultima cliente quando una donna si presentò alla porta visibilmente sconvolta. «Devo assolutamente farmi il colore ai capelli oggi, stasera ho ospiti e non posso presentarmi in questo stato. Mi manda Rana, tua cugina, io vivo in casa sua e mi ha detto che saresti stata molto disponibile».

Rayan guardò la donna e le chiese di non parlare più, perché era stanca per il ramadan che stava facendo e non aveva molte forze per discutere di sciocchezze. Con un cenno della mano le indicò una piccola poltrona e tornò al suo pettine, poi qualcosa le passò per la testa e si giro verso la donna. «E non ci pensi nemmeno ad accendersi una sigaretta».

3-

Quando Rima partorì il primo figlio la luna era coperta dalle nuvole. Non fu un parto facile, molte ore di travaglio e tanto sudore. Quando finalmente il bambino venne alla luce lei chiuse gli occhi e si addormentò. La mattina seguente i suoi occhi non vedevano bene e tutto le sembrava distorto. La stanza intorno cominciò a piegarsi. Rima provò a sedersi sul letto per alzarsi in piedi ma appena i piedi toccarono il pavimento cadde per terra. Cominciò a sudare freddo. Non trovava più il suo bambino e non riusciva nemmeno a parlare. Si prese la testa fra le mani e tirò forte i capelli. Poi esausta si ributtò nel letto e si addormentò. Sognò di camminare in un campo di fiori con un bimbo per mano. Arrivò un temporale, il bambino scappò e lei cercò di corrergli dietro inutilmente. Si ritrovò davanti alla porta di un grande ospedale. Un dottore vestito di bianco prima la invitò ad entrare poi vedendo la reticenza della donna la obbligò a mettersi il camice. «Non ho le ciabatte da doccia» gli disse lei: «non posso entrare senza le mie ciabatte da doccia». In un secondo la donna si trovò circondata da uomini che la spinsero a camminare in un lungo corridoio. Le sembrava più una prigione che un ospedale. La luce al neon era di un chiarore mortale e i pazzi intorno a lei le facevano boccacce. Improvvisamente la porta si chiuse e lei si svegliò tutta sudata. Al suo fianco c’era la madre con il nipote in braccio. La donna si mise a ridere follemente e guardò suo figlio senza riconoscerlo.

Erano passati vent’anni da quella notte. Ibrahim si avvicinò alla porta dell’ospedale e bussò con la stessa paura con cui si scopre qualcosa di sporco. Il direttore dell’ospedale si avvicinò con fare sicuro. «Avere una madre pazza non è un fatto di cui vergognarsi – gli disse – qui abbiamo trovato un modo per tenerli insieme e farli giocare, per sempre».

4-

Hassan aprì il carretto su ruote con hummus, mais e fave verso le cinque del pomeriggio. L’aria era tiepida e il mare calmo. Lungo la spiaggia c’era qualcuno che fumava il narghilè alla mela, le donne sedute sulle sedie di plastica non si curavano dei bambini che lanciavano piccoli petardi. Le macchine di grossa cilindrata si fermavano per un minuto davanti al carretto e prendevano per poche lire un po’ di cibo e acqua. Verso le tre della mattina Hassan chiuse e si avviò verso l’unico bar aperto per prendere una birra. Aveva la faccia pulita, gli occhi stanchi e una gran voglia di vomitare. Si girò verso un vecchio che stava preparando le reti per andare a pescare. Il vecchio lo guardò e non capì che aveva bisogno di aiuto. «In questo maledetto paese non c’è lavoro – disse Hassan – Io fatico 13 ore per 40000 lire al giorno, siamo diventati la puttana di tutti gli stranieri che ci usano e ci sfruttano e noi non abbiamo quasi da mangiare. Ti sembra giusto questo?».

Il pescatore continuò a tessere la rete e pensò che fosse solo ubriaco. «Io esco in mare tutte le notti per un po’ di sardine e qualche orata. Tu non sai che non c’è nemmeno più pesce – gli disse – eppure io non mi lamento. Vado per mare tutte le notti e in moschea tutti i giorni e prego che dio mi aiuti. Fai così anche te».

Ma Hassan non credeva in Dio. Al pomeriggio seguente tornò al lavoro. Quando Yousef, un amico, si fermò a prendere un po’ di mais, Hassan si mise a ridere: «Guarda – gli disse – con questo fanno 2000 lire. I soldi servono a vivere in questo mondo, ma ci stanno soffocando come con il gas. La mia famiglia non mi aiuta, mio padre sta sul divano tutto il giorno e mia madre viene qui a controllare che apra. Mia madre è credente mentre a a mio padre non gliene frega niente della religione. Durante il ramadan succede alle volte che mio padre si prepari il cibo per sé, mia madre non mangia tutto il giorno e io non so che fare perché non so cucinare. Un passaporto lo tengo, ma dove vado, in mezzo ad una strada? A lavorare sotto un padrone che mi paga meno di quello che guadagno qui? Con che soldi pagherò l’affitto là fuori? Qui almeno vivo in casa dei miei genitori».

Hassan mostra all’amico il coltello che tiene in tasca. La lama è lunga e affilata: «E ogni tanto penso che questa notte incontrerà la mia pancia».

«Io spero che tu scherzi» gli disse l’amico mangiando il mais. Quella fu l’ultima volta che lo vide. Il carretto con hummus, mais e fave dal giorno dopo non aprì più.

5-

Una parte della città grande fu distrutta dall’aviazione. Restarono in piedi solo poche case. Dentro una di questa c’era una donna che spazzava i resti del tetto. Gli uomini della famiglia stavano fermi e la guardavano stupidamente. Lei paziente raccoglieva i pezzettino e li metteva scrupolosamente in un angolo, i più grossi li portava fuori.

Il marito la invitava a smettere ma lei continuava. Poi si tirò su e andò a fumare sull’uscio di casa. Per la strada passò una famiglia di sfollati. Lei regalò loro qualche mandarino, una scatola di cerini e un pacchetto di sigarette. Il marito e i figli uscirono e videro la gente andarsene via dalla polvere che un tempo era casa. Si abbracciarono fra di loro. Poi rientrarono e insieme alla donna si misero a raccogliere i cocci della loro abitazione.

6-

Lungo la vallata passa un autobus con nove persone a bordo: gli uomini e le donna sono seduti separatamente, tranne una coppia straniera che si tiene per mano nel fondo. Arrivano a un luogo sacro e l’autobus si ferma per mezz’ora. Gli uomini pregano di lato a una tomba, le donne dall’altro. La coppia osserva attentamente. Una guida del posto si avvicina e racconta loro di una casa messa alle fiamme qui. Dentro alla casa i giochi dei bambini si sono squagliati tutti. Le preghiere delle persone sono un rito di fortuna, perché i nuovi nati possano vivere fuori dal fuoco. Si sentono i lamenti dei rosari, voci indistinte. La coppia sale di nuovo sull’autobus. L’ultima fermata è di fronte a un albergo dove sono alloggiati alcuni religiosi. La coppia si accomoda nella propria stanza. Qui provano a fare l’amore senza riuscirci così lui si mette a raccontare alla donna della possibilità di essere impotente. La donna lo prende tra le braccia e lo tratta come un bambino. L’uomo si fa sempre più piccolo fino a quando si squaglia fra le tette e la pancia della donna. Nelle altre stanze si sentono i lamenti dei rosari.

 

L’IMMAGINE – scelta dalla “bottega” – è della “madonnara” ANNA PACHERA (grazie a Giuseppe che ce l’ha fatta conoscere).

 

Alessandro Taddei

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