Francesco d’Assisi, chi era costui?

Una breve recensione a «Guardate l’umiltà di Dio» e una lunga intervista a Brunetto Salvarani

Sembra incredibile visto che, fra l’altro, è patrono d’Italia (ma anche degli animali e dell’ecologia) eppure i compatrioti di Francesco d’Assisi poco lo conoscono oggi. Chi è andato a scuola ricorda il bellissimo «Cantico di frate Sole» ma

provate a chiedere in giro qualcos’altro: era povero, parlava con i lupi… e poi? Eppure il nuovo papa non ha scelto quel nome a caso, lo ritiene adatto ai tempi per la pratica – il “poverello” d’Assisi fu uomo d’azione non certo teologo – ma anche per il suo pensiero.
Sino a pochi anni fa era difficile persino trovare un’antologia degli scritti (non molti, però importanti) di Francesco d’Assisi. Nel 1800 una sua biografia ottiene successo mondiale; però che strano, l’ha scritta il protestante Paul Sabatier. A colmare queste lacune arriva il volume «Francesco d’Assisi, guardate l’umiltà di Dio» (Garzanti: 310 pagine per 14 euri) curato dal teologo Brunetto Salvarani per una nuova collana – «i grandi libri dello spirito» – diretta da Vito Mancuso. Due volumi in uno: perché ci sono «tutti gli scritti di Francesco d’Assisi» ma anche una lunga, interessantissima introduzione dove apprendiamo molto su questo santo più venerato che conosciuto. E infatti il primo paragrafo si intitola «paradossi su paradossi». Appena Francesco muore non per caso si scatena «la lotta delle biografie» perché le diverse anime di una Chiesa in crisi cercano di arruolarlo nei vari “partiti”.
Gli scritti qui raccolti sono 31, alcuni ritradotti (dal latino) per questa antologia: 12 vengono classificati come «laudi e preghiere», 10 come «lettere» (ce n’è una, piuttosto dura, «ai governanti dei popoli») e 9 fra «regole ed esortazioni» fra cui il «Testamento». Chiudono il libro «i mille Francesco» ovvero alcuni fra gli autori che se lo disputano: Dante Alighieri, Jacopone, il fumettista Dino Battaglia, Wojtyla e naturalmente l’attuale papa. Senza dimenticare che Musil lo raccontò così: «un uomo che oggi noi collocheremmo con buona coscienza in una casa di cura allora potè vivere, insegnare e guidare i suoi contemporanei». Folle lui o pazzi quelli che lo hanno travisato?
UNA CHIACCHIERATA CON BRUNETTO SALVARANI
E’ la prima volta che ti occupi di Francesco d’Assisi: perché proprio ora?
«Non c’è dubbio: l’elezione a vescovo di Roma di Bergoglio e la sua scelta di chiamarsi, primo papa nella storia, con il nome del santo d’Assisi, l’ha rilanciato ulteriormente (essendo probabilmente già il santo più celebre al mondo, oltre che, se vogliamo, patrono d’Italia). Ma proprio questa scelta clamorosa, spiegata dallo stesso papa qualche giorno dopo la sua elezione, rilancia una domanda fondamentale: chi è Francesco d’Assisi? Siamo proprio sicuri di conoscerlo davvero? Come capita di regola quando si toccano temi che riteniamo di conoscere sin troppo bene, non è facile parlare – ancora – di lui.
Letto di volta in volta quale santo popolarissimo oggetto di una sterminata devozione o eroe da leggenda, modello esemplare di virtù o personalità affascinante da cui distillare un tema di moda (la pace, l’ecologia, l’animalismo, e così via) ma anche protagonista di mille film, opere d’arte, canzoni, fiction: in neppure mezzo secolo di vita, a cavallo fra il Millecento e il Duecento, egli ha sconvolto la spiritualità italiana, e poi europea, del suo tempo. Su di lui si è scritto un numero enorme di pagine – a partire dalle sue tante “Vite” raccontate dagli agiografi più che dai suoi “Scritti” – nella maggior parte delle lingue del mondo. Celebrando, a seconda delle sensibilità in gioco, l’asceta o il giullare di Dio, lo stimmatizzato o il fondatore di un ordine planetariamente radicato, l’eroe romanticamente in conflitto con i formalismi ecclesiastici nella perenne contesa fra carisma e istituzione o il difensore degli ultimi e della natura, o ancora il padrino ante litteram del dialogo inter-religioso. Ma anche purtroppo un personaggio svirilizzato e dedito quasi solo a improbabili predicazioni agli uccellini, stemperato in sospiri ascetici e snaturato da cliché fra i più scontati. E potremmo andare avanti… Ora la novità del mio libro è che l’immagine di Francesco che ne emerge non nasce tanto da biografie o agiografie, come di solito accade, ma dai suoi testi: poco conosciuti, scarsamente letti, con l’eccezione del “Cantico di frate sole” (molto meno dei “Fioretti”, per dire), eppure quanto mai ricchi, teologicamente profondi, spesso con venature mistiche e talvolta anche letterariamente intriganti (cito almeno il “Testamento”, che trovo commovente). Io li ho tradotti, dal latino, introdotti e annotati… e per me, lo ammetto, è stata un’esperienza straordinaria! Ma emerge anche da quelli che ho chiamato i mille Francesco: la storia degli effetti delle sue riletture in chiave artistica, da Dante a Liliana Cavani, da Jacopone a Branduardi fino, ovviamente, allo stesso papa Francesco…

Qual è, alla luce del tuo lavoro, la specificità dell’esperienza francescana?
«Mi pare che la specificità dell’esperienza francescana, detto in sintesi, risieda, da una parte, nella sua totale immersione nelle dinamiche della vita quotidiana e nella storia di quel tempo; e dall’altra, nell’assunzione costante di valori e atteggiamenti a quelle dinamiche interamente alternativi, radicalmente contrapposti. Fedeltà alla terra e fedeltà a Dio, potremmo sintetizzare, con una formula che la teologia novecentesca conosce bene (Dietrich Bonhoeffer).
In tal senso la vicenda di Francesco si sposa bene, anticipandola, con la visione del cristianesimo suggerita dal teologo francese Cristoph Theobald, oggi fra i più apprezzati su scala europea, quando riferisce del cristianesimo come stile. Perché, come capitava a Gesù, ciò che il Povero d’Assisi fa e dice nelle sue relazioni è un tutt’uno con il suo essere; in lui c’è un’assoluta unità e trasparenza di pensiero, parola e azione che sono manifestazione del Padre: una bellezza che affascina il credente ma spesso anche il (cosiddetto) non credente. Dallo stile di Francesco emerge la provocazione di un cristianesimo che apprende, mentre le patologie e le infedeltà al Vangelo che pervadono ogni epoca della storia ecclesiale – compresa la nostra, posta alla fine del regime di cristianità – possono essere lette come rottura della corrispondenza tra forma e contenuto. Quando prevale la forma, si ha un cristianesimo ridotto a estetismo liturgico, istituzione gerarchica, struttura dove, però, è assente la sostanza di quell’amore che aveva portato Gesù fino alla croce. Se invece prevale il contenuto, si ha un cristianesimo ridotto a impianto dottrinale e dogmatico, verità fatta di formule cui credere, priva di un legame vitale con l’esistenza delle persone. Gesù, dal canto suo, e Francesco alla sua sequela, indicano piuttosto la strada di un cristianesimo capace di apprendimento. Entrambi sono stati capaci di creare uno spazio di libertà attorno a loro comunicando, con la loro sola presenza, una prossimità benefica a tutti quelli che incontravano».

Cos’ha rappresentato per te pubblicare per un editore come Garzanti?
«Fermo restando che di solito lavoro per editori, più o meno grandi, dei quali condivido lo spirito e la mission, è vero che Garzanti è l’editore più importante per cui finora ho pubblicato. L’occasione, in realtà, è stata casuale perché la richiesta di questo volume mi è giunta dall’amico Vito Mancuso, che stava cercando titoli per inaugurare una sua nuova collana, i Grandi Libri dello Spirito, di cui sarebbe diventato direttore. Mi ha proposto gli “Scritti” di Francesco perché mi ritiene – così ha detto lui nella prima telefonata – un uomo spirituale… Ci ho sorriso su, ci ho pensato un po’, perché l’impegno era notevole, e poi ho accettato. Con piacere: non ne sono pentito, anzi. Anche se è stata dura, indubbiamente»-

Quali sono i tuoi progetti editoriali futuri?
Beh, dopo il volume dedicato al nostro terremoto («La fragilità di Dio», Edb 2013), giunto alla seconda edizione, di cui ho discusso pochi giorni fa a Viterbo e a Reggio Calabria presso l’Istituto di scienze religiose, e il libro a quattro mani – con Odo Semellini, ovviamente – «Guccini in classe» (Emi 2013), presentato assieme a Guccini stesso a Bologna la scorsa settimana, a fine giugno uscirà un mio testo sull’importanza del dialogo fra le chiese cristiane («Non possiamo non dirci ecumenici», Gabrielli editore 2014), con prefazione del priore di Bose, Enzo Bianchi. Non voglio dimenticare la cura di un piccolo testo di uno dei miei maestri, don Pietro Lombardini, «L’eredità di Gerusalemme» (Edb 2014), per cui ho firmato anche la prefazione, in uscita sempre a giugno. Poi ci sono alcune altre idee e qualche nuova proposta, da valutare. Finché mi diverto a scrivere, si va avanti».

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