Francia: rivoltare l’irreversibile

Una riflessione sugli scioperi francesi e sui nostri compiti

di Clash City Workers (*)

ClashCityW-IMMGfrancia

#PARIGI: Siamo più di un milione!

«Siamo più di un milione, e precisamente un milione e trecentomila». Questo il messaggio che i lavoratori francesi hanno saputo lanciare a chi – governo, opinionisti, giornalisti – voleva rappresentare in esaurimento un movimento che da tre mesi blocca settori nevralgici a ripetizione, occupa regolarmente le prime pagine dei giornali e contribuisce al calo vertiginoso dei consensi dell’esecutivo socialista. Altri momenti di mobilitazione nazionale sono previsti per il 23 ed il 28 giugno, mentre chi prima era a bloccare le raffinerie continua ad impedire il “normale” funzionamento dell’economia, andando a coadiuvare gli operai dei centri di trattamento rifiuti, in sciopero anch’essi. Insomma, nessun ritorno alla pace sociale per la Francia, almeno finché il Governo non ritirerà legge, ora in discussione al Senato.

Poiché il movimento non si è affatto esaurito – come invece fu nel 2010, dopo l’approvazione della legge sulle pensioni di Sarkozy – il blocco dominante non può semplicemente puntare sul suo sfinimento, né solo sulle norme costituzionali di stampo gaullista, che permettono al governo di bypassare l’Assemblea Costituzionale qualora lo ritenesse opportuno. Ecco allora che entra in campo un mix di repressione e criminalizzazione, di cui sono testimonianza le cifre riportate dai giornali francesi: 1500 granate lacrimogene utilizzate, 175 granate anti-accerchiamento – che esplodono sui manifestanti e fanno male, e che proprio martedì hanno causato un ferito grave – 76 fermati, 40 feriti secondo la prefettura, anche se fonti mediche riportano 36 evacuati tramite ambulanza e ben 150 persone curate dai medici direttamente in strada. Sono cifre che fanno impallidire il caso mediatico montato ad arte da governo e media (giornali italiani compresi) sulla distruzione delle vetrate dell’ospedale pediatrico Necker, che dimostrerebbe l’intrinseca malvagità della folla dei manifestanti. Fortunatamente, a chiarire un minimo le cose è intervenuto… un utente dell’ospedale, il genitore di uno dei bambini ricoverati, che ha giustamente chiesto al governo di non strumentalizzare i malati e di prendersi – piuttosto – le proprie responsabilità.


In Italia intanto…

    In Italia i giornali mainstream non sono da meno. Repubblica.it, che resta il giornale il cui sito è il più seguito nel nostro Paese, si lancia in una prova di giornalismo degna del film «Sbatti il mostro in prima pagina» di Bellocchio, in grado di stuzzicare l’opinione qualunquista e di depotenziare le opinioni del movimento operaio francese: associa scontri tra hooligans, lo sciopero di martedì e l’omicidio di due agenti di polizia che pare sia stato eseguito da un militante dell’ISIS. L’associazione fra terroristi e manifestanti deve essere immediata, per quanto assurda. Sta poi agli approfondimenti di pagina 4 articolare questo rapporto, mettendo tutto nello stesso calderone, nel quadro di un supposto ritorno agli “anni di piombo”, con spettri di guerra civile, fomentata da frange estremiste di “giovani di buona famiglia” ormai radicalizzati. Un modo surreale e vile per delegittimare le proteste facendo leva sulle paure più irrazionali.

Il comportamento della testata non deve stupire: essa tenta disperatamente di allontanare lo spauracchio francese che punta il dito sulle riforme in cui si è impegnato il governo Renzi, prima fra tutte il Jobs Act, che – se da un lato non ha visto una reazione così unita come in Francia – d’altro canto non è affatto amato dai lavoratori italiani, che continuano a soffrire di disoccupazione, di assenza di sicurezze, di troppo lavoro e di bassi salari. Sfiducia confermata dall’evidente calo dei consensi di cui soffre il Pd e che si è palesato nelle elezioni comunali di molte grandi città: Milano, Roma, Napoli, Bologna, Torino. Fiutata l’aria che tira, Renzi vorrebbe arginare questo calo dei consensi con una riforma costituzionale che blindi la rappresentanza parlamentare permettendo al leader di turno di governare anche con un consenso molto esiguo. Un passaggio, quello della riforma costituzionale, su cui Renzi si gioca molto se non tutto e su cui dovremo essere pronti a dare battaglia di qui a breve. Insomma, i padroni, Renzi e i suoi canali mediatici hanno paura. Di chi? Di noi, è chiaro.

Hanno paura, anzi, “si stanno cacando sotto”, nonostante le tristi sortite di Cgil e di Landini su quanto sta accadendo in Francia. La prima, infatti, alla vigilia del 14 giugno è emersa dal lungo e colpevole silenzio con un tweet e un comunicato di solidarietà ai lavoratori francesi. Il tweet è stato letteralmente inondato da commenti che hanno richiamato il sindacato più grande d’Italia alle sue responsabilità storiche e lo hanno accusato di immobilismo di fronte al passaggio del Jobs Act in Parlamento. La Camusso, impegnata a cercare un improbabile riconoscimento da parte del padronato, non ha capito – o forse lo ha capito benissimo, ma fa finta di non saperlo – che per imporre norme nuove e accordi alla controparte, non basta alzare il ditino, ma bisogna agire e rovesciare i rapporti di forza, come stanno facendo ora in Francia, altrimenti le “carte dei diritti” restano solo dei “diritti di carta”.  

Landini dal canto suo è tornato a giocare il ruolo di quello radicale, rilasciando un’intervista all’«Huffington Post» in cui accusa la propria organizzazione (!) di aver «accettato che un governo come quello di Monti desse applicazione alla lettera della Bce compiendo il primo attacco all’articolo 18 e alle pensioni. Abbiamo accettato senza batter ciglio l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e abbiamo accettato che, caduto Berlusconi, si instaurasse un governo che ha dato applicazione all’austerity. Abbiamo fatto solo tre ore di sciopero e basta. Quello che è arrivato dopo è una conseguenza: Renzi ha agito su un terreno già arato». Un’autocritica dovuta, certamente. Solo che Landini predica bene e razzola male, perché mentre blatera di coalizione sociale si comporta come la Camusso, ossia lancia segnali di distensione al padronato e soprattutto al suo antagonista principale, Sergio Marchionne. Nell’azienda che più ha fatto per anticipare la distruzione del diritto del lavoro in Italia, la Fiat – oggi Fca – gli operai Fiom hanno infatti messo in pratica il principio della coalizione, ossia si sono coordinati con gli appartenenti ai sindacati di base per impedire all’azienda di imporre gli straordinari comandati di sabato. Nonostante il successo degli scioperi, la segreteria di Landini ha dichiarato quegli operai “incompatibili” con la propria organizzazione. Cosa che ha portato proprio in questi giorni questi coraggiosi operai ad abbandonare la Fiom e passare all’Usb. Non si capisce in effetti a cosa serva la coalizione sociale se appena viene messa in pratica davvero viene ostacolata.

 

E noi? Cosa possiamo fare?

Insomma, dicevamo, hanno paura di noi. Perché sì, è vero, veniamo da più di 20 anni di concertazione sindacale; da 19 anni di precarietà estrema introdotta dai governi Prodi e D’Alema (sì, D’Alema, quello che ridicolamente adesso critica il Jobs Act di Renzi) che ci hanno reso più fragili e divisi di quanto non fossimo prima; da un vuoto di rappresentanza dei lavoratori che risale ai tempi della Prima Repubblica. Eppure, nonostante tutto possono bastare 3 mesi di scioperi e lotte vere in Francia a sfiduciare definitivamente le dirigenze confederali e buttare nel cesso almeno trent’anni di retorica sulla necessità di moderarsi, di concertare con il padrone, di essere austeri e responsabili nel nome della crescita dell’economia, che abbiamo imparato essere la crescita dei loro profitti e dei nostri problemi. Ed ora che scopriamo la possibilità di lottare davvero, di costruire da noi il nostro futuro, ci sentiamo soli e impotenti, e un po’ “inferiori”. Ma è davvero così? O forse ci troviamo di fronte a necessità semplicemente diverse da quelle dei francesi?

Secondo noi, ogni momento ha i suoi compiti. Qui abbiamo provato a buttare giù un elenco di proposte che, pur nella loro semplicità, possiamo fare nell’immediato invece di lagnarci:

1)    Sostenere le lotte in corso: le lotte in Italia ci sono, eccome se ci sono. L’ultima vertenza che abbiamo seguito è stata la lotta degli operatori di call-center Almaviva, che è riuscita a catalizzare una grande attenzione. E non è stata l’unica. A Milano in questo momento gli operai Marcegaglia stanno occupando la sede della direzione. I giornali non ne parlano, è vero, ma noi nell’immediato possiamo dare visibilità a queste lotte. Come? Non solo attraverso i social-media, ma anche parlandone in azienda con i nostri colleghi, costringendo i nostri sindacalisti e delegati a prendere posizione etc., organizzando piccole azioni di solidarietà, come un volantinaggio di fronte al proprio posto di lavoro, alla stazione o al centro commerciale più vicino.

2)    Certo, fare questo da soli è difficile. Per questo è importante riprodurre sul territorio centri dove la solidarietà e il dibattito tra lavoratori siano all’ordine del giorno. Riappropriamoci della nostra storia, che non è affatto “inferiore”, bensì diversa e ricca di esempi di emancipazione provenienti proprio da noi lavoratori. Le Camere popolari del Lavoro, le Case del Popolo, lungi dall’essere degli uffici servizi o dei bar, possono diventare dei centri di aggregazione e di solidarietà importanti e spesso decisivi per sostenere le lotte in corso e creare quel tessuto sociale che rende una lotta incisiva. Perché, badate bene, in Francia la radicalità dello scontro non dipende unicamente dalle scelte del segretario generale della Cgt o della direzione di SUD-Solidaire, bensì riposa molto più sulla disponibilità che c’è alla base delle organizzazioni, e che è prima di tutto coscienza della propria forza in quanto collettività di lavoratori. Ricostruire nuove Camere del Lavoro, strappandole alle burocrazie sindacali e ai settarismi, è un passo importante e necessario, in cui tutti dovremmo impegnarci quotidianamente, dai semplici lavoratori  “senza tessera” e delegati (Rsa-Rsu) fino ai collettivi, alle organizzazioni studentesche e ai centri sociali etc.

3)    In questo modo avremmo più forza per fare una cosa semplice, ma radicale. Controllare. Controllare non vuol dire solo ispezionare il proprio viso al mattino, prima di uscire di casa; il livello dell’olio e della benzina della macchina o quanti like abbiamo sul nostro profilo fb. Noi abbiamo la liceità di controllare molte più cose. Per esempio, potremmo controllare l’azione dei nostri sindacalisti. È assurdo che, quando siamo in vertenza contro la nostra azienda, a parlare coi capi ci vadano i soliti, ossia – se va bene – le Rsa o Rsu che sono – normalmente – funzionari che non hanno mai messo piede nel nostro posto di lavoro se non per farci votare accordi al ribasso. È importante invece controllarli collettivamente, prendere bene nota di quello che fanno o dicono, salire in trattativa con loro, perché anche solo la nostra presenza dissuade da eventuali inciuci. Perché così il sindacato è costretto a muoversi per non perdere presa sugli iscritti, e in questo modo raggiunge lavoratori che noi da soli magari non saremmo stati in grado di coinvolgere. Controllare le amministrazioni comunali, presidiando i suoi organi istituzionali, quando sono impegnate a prendere decisioni “sulla nostra pelle” che riguardano, ad esempio, il passaggio all’ennesima esternalizzazione o l’apertura al volontariato (in sostituzione del lavoro retribuito) o l’emanazione di un bando per un cambio appalto.

4)    Occorre poi avere chiaro cosa vogliamo. I lavoratori francesi lo hanno detto a più riprese: loro sono per il ritiro totale della legge, perché non vogliono lavorare in meno e per più ore. Vogliono lavorare meno e lavorare tutti, mantenendo almeno lo stesso salario. Punto. Prima di parlare di investimenti, di crescita etc i nostri sindacati potrebbero parlare dei nostri obiettivi. Siamo in una crisi di sovrapproduzione, vuol dire che si è prodotto troppo, che si lavora troppo. Ridurre i tempi di lavoro riduce la disoccupazione e lo stress! Dei profitti delle imprese a noi non deve importarcene nulla, perché non è grazie ai profitti che si produce, ma grazie al nostro lavoro, in quanto lavoratori, italiani, francesi, autoctoni o immigrati, donne o uomini che siamo. E quando scriviamo un volantino, esprimiamo un’opinione etc questi obiettivi devono essere chiari e cristallini. Solo così potremo convincere altri lavoratori a unirsi a noi, a costituire quella massa necessaria per mandare a casa il Jobs Act, la legge Fornero, e tutti gli altri mille nomi dello sfruttamento, insieme ai loro agenti e mandanti.

5)    Infine, banalmente, bisogna continuare a sostenere i lavoratori francesi. Quanti di quelli che si lamentano sui social di quanto gli italiani siamo pappemolli hanno partecipato ai presìdi e ai cortei di martedì? Agire è importante, porta a dei risultati tangibili, i francesi lo dimostrano. Lasciamoci dietro le scuse, rimbocchiamoci le maniche e facciamolo. Sostenendo i lavoratori francesi non solo diamo loro un segnale importante, facendoli sentire meno soli, rafforzando il loro movimento di fronte all’opinione pubblica internazionale, e – perché no – mettendo in difficoltà altre imprese, magari gli stessi padroni, come hanno fatto i facchini del’Interporto di Bologna, bloccato martedì in solidarietà con i colleghi d’oltralpe. Sostenendoli mettiamo alle corde il nostro sindacato qua, lo mettiamo di fronte alle proprie responsabilità, e soprattutto mettiamo insieme e rafforziamo tutti quei soggetti disposti a costruire quotidianamente le infrastrutture di base necessarie a ribaltare quello che qui da noi oggi ci sembra irreversibile, e che in realtà non lo è affatto.

(*) qui in “bottega” amiamo molto e spesso riprendiamo il lavoro di ricerca e di analisi dei Clash City Workers: perciò di nuovo vi raccomandiamo il loro primo libro, il sito e la newsletter (db).

 

Redazione
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