Franco Antonicelli: «la democrazia non cala dall’alto»

ripreso da www.francoantonicelli.it. A seguire una nota sulla canzone «Festa d’aprile»

La democrazia non cala dall’alto. Non la fanno i colonnelli, ma non bastano a crearla nemmeno i più savi legislatori. La democrazia ha le sue leggi, che possono rimanere inerti; le mette in movimento solo l’esercizio che ne fa il popolo

(Franco Antonicelli, «La pratica della libertà»)

Figlio di Donato Antonicelli, un alto ufficiale pugliese, e di Maria Balladore, una borghese benestante, visse alcuni anni dell’infanzia a Gioia del Colle (BA), ospite dello zio paterno. Arrivato nel 1908 a Torino, frequenta il Liceo classico Massimo d’Azeglio, dove fu allievo di Umberto Cosmo (è stato un critico letterario italiano, tra i maggiori studiosi di Dante. Antifascista, fu inviato al confino e privato dell’insegnamento), e vi ottenne la maturità. All’Università si laurea prima in lettere e successivamente, nel 1931, pensando di intraprendere la carriera diplomatica, anche in giurisprudenza. Durante i suoi studi conobbe molti esponenti dell’intellettualità torinese del tempo, come Augusto Monti, Lalla Romano, Leone Ginzburg, Cesare Pavese, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Ludovico Geymonat.

Il 31 maggio 1929 venne arrestato per aver firmato, con Cosmo, Geymonat, Mila e altri, una lettera di solidarietà a Benedetto Croce, dopo che questi, oppositore in Senato dei Patti Lateranensi, era stato definito da Mussolini un «imboscato della storia»; dopo un mese di carcere, fu condannato a tre anni di confino ma la pena fu commutata in un’ammonizione.[1] Lavorò come supplente nel Liceo Massimo D’Azeglio e fu anche precettore privato di Gianni Agnelli. Dal 1932 fu direttore della collana «Biblioteca Europea» dei libri dell’editore Frassinelli. Per sua scelta, entravano così – in Italia, per la prima volta, opere di Herman Melville e di Franz Kafka, di Eugene Gladstone O’Neill e di James Joyce, e anche il «Topolino» di Walt Disney.

La sua conoscenza del gruppo torinese di Giustizia e Libertà riunito nella redazione della rivista «Cultura» edita da Einaudi e del quale facevano parte, tra gli altri, Carlo Levi e Cesare Pavese, causò, il 15 maggio 1935, il suo arresto, avvenuto a seguito della delazione dello scrittore Pitigrilli. Il 15 luglio Antonicelli fu condannato a tre anni di confino da scontare ad Agropoli [2]. Durante il confino sposò Renata Germano, figlia del notaio Annibale, nella cui villa di Sordevolo spesso soggiornava e incontrava gli amici.

Liberato nel marzo del 1936, nel 1942 fondò la casa editrice «Francesco De Silva» – dal nome di un editore piemontese del Quattrocento – e s’impegnò, sollecitato dal Croce, a favore della riorganizzazione del Partito liberale. Subito dopo l’8 settembre si trasferì a Roma dove il 6 novembre venne arrestato dai tedeschi e incarcerato a Regina Coeli. Nel febbraio 1944 venne trasferito nel carcere di Castelfranco Emilia e fu rimesso in libertà il 18 aprile.

Rientrato a Torino, entrò a far parte, in qualità di rappresentante del Partito liberale, del Comitato di liberazione nazionale del Piemonte, del quale assunse la presidenza nel 1945, diresse l’edizione del clandestino «Risorgimento Liberale» – che alla Liberazione prese il nome «L’Opinione» – e collaborò ai fogli «Risorgimento» e «Il Patriota», espressione dei gruppi partigiani liberali operanti in Piemonte.

Dopo il crollo del fascismo, nel giugno del 1945, partecipò con Guido Seborga, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Francesco Menzio, Giulio Einaudi, Cesare Pavese e altri alla fondazione dell’«Unione Culturale» di Torino, che dopo la morte gli fu intitolata. La sua idea politica, favorevole a mantenere un’intesa con tutte le forze antifasciste nello spirito del CLN, e la sua scelta repubblicana vennero in conflitto con la linea del partito, sostenitore della monarchia e deciso a rompere l’unità antifascista. Così, nell’aprile del 1946, lasciò il Partito liberale per la «Concentrazione democratica repubblicana» di Ugo La Malfa e Ferruccio Parri, confluita dopo il referendum del 2 giugno 1946 nel Partito repubblicano, del quale divenne uno dei dirigenti con il congresso di Napoli del 1948. Ma la scelta di allearsi con la Democrazia Cristiana alle elezioni del 18 aprile lo convinse ad abbandonare il partito.

Con Alessandro Galante Garrone, Paolo Greco, Andrea Guglielminetti, Amedeo Ugolini e Giorgio Vaccarino fondò, il 25 aprile 1947 l’Istituto Storico della Resistenza in Piemonte e ne divenne il primo presidente. In quell’anno pubblicò, nella sua casa editrice “Se questo è un uomo”, il capolavoro di Primo Levi che era stato rifiutato da altri editori, fra cui Einaudi. Fu una delle ultime pubblicazioni della casa editrice Da Silva, che l’Antonicelli chiuse nel 1949.

Collaborò, in questo periodo alla RAI con il programma radiofonico culturale “Terza pagina”, e al quotidiano torinese «La Stampa», con articoli sulla letteratura francese e sul decadentismo italiano. Prese, poi, parte alla fase sperimentale della Televisione italiana e il 13 dicembre 1953, domenica, alle ore 19, fu trasmessa la prima di sette puntate di una trasmissione, “Il commesso di libreria”, che proponeva segnalazioni librarie e incontri con gli autori. In questa esperienza, che si concluse il 21 aprile 1954, Antonicelli non seppe tradurre linguisticamente i contenuti di una trasmissione radiofonica secondo le esigenze del nuovo mezzo [3] e i vertici della RAI decisero di affidare la divulgazione libraria televisiva a un giovane professore, Luigi Silori, che riscuoterà invece un ventennale successo di critica e di pubblico [4].

Nel 1953 aderì all’Alleanza Democratica Nazionale, un raggruppamento di liberali e repubblicani contrari all’alleanza politica con la Democrazia Cristiana, che si batté contro la cosiddetta “legge truffa”, la legge elettorale che prevedeva un premio alla lista che avesse ottenuto la maggioranza assoluta alle elezioni, e che fu abrogata in seguito alla sconfitta nelle elezioni del 7 giugno dei partiti centristi favorevoli alla legge. Prese posizione contro le discriminazioni politiche e sindacali effettuate dalla FIAT di Vittorio Valletta contro gli operai comunisti o iscritti alla FIOM e nel 1960 sostenne che il governo Tambroni, eletto con i voti della DC e del MSI, rappresentava un pericolo per la democrazia italiana, tanto più, dopo le manifestazioni di Genova, di Reggio Emilia e di altre città nelle quali si ebbero anche morti tra i dimostranti. Avendo denunciato questi fatti in un discorso a Bologna, Antonicelli fu processato per apologia di reato: condannato in primo grado con la condizionale, fu assolto in appello.

Nel 1968 venne eletto al Senato come indipendente nella lista del PCI-PSIUP per il collegio di Alessandria-Tortona. In quell’occasione fu costituito per la prima volta in Parlamento il gruppo degli indipendenti di sinistra e Antonicelli fu membro delle commissioni Difesa, Pubblica Istruzione e Vigilanza delle trasmissioni radio televisive. Fu rieletto nelle elezioni politiche del 1972, e prese parte alle commissioni Difesa e Vigilanza delle trasmissioni radio-televisive. Il 21 maggio 1972, ad Ovada, in provincia di Alessandria, tenne l’orazione ufficiale in occasione dell’inaugurazione della Biblioteca Civica in seguito intitolata ai coniugi Marie ed Eraldo Ighina.

Morì a Torino il 6 novembre 1974. La sua biblioteca, composta di oltre ventimila volumi, è stata donata alla Compagnia Portuale di Livorno, dove per la sua valorizzazione è sorta la Fondazione Franco Antonicelli. Il 16 gennaio 2013 si è svolta una mostra e un convegno al Senato sulla sua figura e le sue opere. Nel 2010 è¨ stato fondato il Parco Letterario a suo nome nella Villa di Sordevolo sotto gli auspici della figlia Patrizia.

Opere

Il soldato di Lambessa, ERI, Torino, 1956

Festa grande di aprile, Einaudi, Torino, 1964

Calendario di letture, ERI, Torino, 1966

La moneta seminata e altri scritti, con un saggio di varianti e una scelta di documenti su Guido Gozzano, a cura di F. Antonicelli, Milano, 1968

Le parole turchine, illustrazioni di G. Tribaudino, Einaudi, Torino, 1973

Resistenza, cultura e classe operaia, prefazione di G. C. Pajetta, “Quaderni del movimento operaio” n. 3, Gruppo Editoriale Piemontese, Torino, 1975

Dall’antifascismo alla resistenza. Trent’anni di storia italiana (1915-1945), Einaudi, Torino, 1975

La pratica della libertà, Documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974, con ritratto critico di C. Stajano, Einaudi, Torino, 1976

Capitoli gozzaniani, a cura di M. Mari, Leo S. Olschki, Firenze, 1982

Improvvisi e altri versi (1944-1974), All’insegna del pesce d’oro, Milano, 1984

Finibusterre, Besa Editrice, Nardò, 1999

Pinocchio ha settant’anni (1951), Università degli Studi di Pavia, Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di Autori moderni e contemporanei, 2002

Note

1 Commissione di Torino, Ordinanza del 17.6.1929 contro Franco Antonicelli. In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L’Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. I, p. 77.

  1. Commissione di Torino, Ordinanza del 15.7.1935 contro Franco Antonicelli (“Scrive articoli per la stampa di Giustizia e Libertà, è in contatto con i noti antifascisti Pavese, Allason, Ginzburg, ecc.”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L’Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. I, p. 89.
  2. Aldo Grasso, Il libro e la televisione: storia di un rapporto difficile, RAI Nuova ERI, 1993
  1. AA.VV., Enciclopedia della televisione, Garzanti, 2002

NOTA DELLA “BOTTEGA”

«Festa d’aprile» è una canzone composta da Sergio Liberovici e Franco Antonicelli nel 1948. Nasce dall’elaborazione degli stornelli trasmessi da Radio Libertà, la sola emittente rivolta al pubblico (quindi non esclusivamente militare) gestita dai partigiani che trasmise nel biellese dall’autunno ’44 al 19 aprile 1945. Per saperne di più vedi «Cantalo forte. La Resistenza raccontata dalle canzoni» di Gioachino Lanotte (Stampa Alternativa).

Il testo

È già da qualche tempo che i nostri fascisti
si fan vedere poco e sempre più tristi,
hanno capito forse, se non son proprio tonti,
che sta arrivare la resa dei conti.
Forza che è giunta l’ora, infuria la battaglia
per conquistare la pace, per liberare l’Italia;
scendiamo giù dai monti a colpi di fucile;
evviva i partigiani! È festa d’Aprile.

Nera camicia nera, che noi abbiam lavata,
non sei di marca buona, ti sei ritirata;
si sa, la moda cambia quasi ogni mese,
ora per il fascista s’addice il borghese.
Forza che è giunta l’ora, infuria la battaglia
per conquistare la pace, per liberare l’Italia;
scendiamo giù dai monti a colpi di fucile;
evviva i partigiani! È festa d’Aprile.

Quando un repubblichino omaggia un germano
alza il braccio destro al saluto romano.
ma se per caso incontra partigiani
per salutare alza entrambe le mani.
Forza che è giunta l’ora, infuria la battaglia
per conquistare la pace, per liberare l’Italia;
scendiamo giù dai monti a colpi di fucile;
evviva i partigiani! È festa d’Aprile.

In queste settimane, miei cari tedeschi,
maturano le nespole persino sui peschi;
l’amato Duce e il Führer ci davano per morti
ma noi partigiani siam sempre risorti.
Forza che è giunta l’ora, infuria la battaglia
per conquistare la pace, per liberare l’Italia;
scendiamo giù dai monti a colpi di fucile;
evviva i partigiani! È festa d’Aprile.

Ma è già da qualche tempo che i nostri fascisti
si fan vedere spesso, e non certo tristi;
forse non han capito, e sono proprio tonti,
che sta per arrivare la resa dei conti.
Forza che è giunta l’ora, infuria la battaglia
per conquistare la pace, per liberare l’Italia;
scendiamo giù dai monti a colpi di fucile;
evviva i partigiani! È festa d’Aprile.

Se cercate in rete la trovate interpretata da Giovanna Daffini, dagli Yo Yo Mundi, dai Gang e dalle De’ Soda Sisters.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»?

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

 

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