George Floyd e Eyad Hallaq uniti nella morte…

… per mano di serial killer in divisa  (articoli di Alberto Negri, Gideon Levy e Ali Harb)

Essere nero in America non dovrebbe essere una condanna a morte. Che dire dell’essere palestinese? – Gideon Levy

Avete visto gli agenti di polizia americani come hanno strangolato George Floyd a Minneapolis? Avete visto l’agente Derek Chauvin puntare il ginocchio sul collo di Floyd, inchiodandolo a terra, mentre implora per la sua vita fino alla fine, quando muore cinque minuti dopo? Quali forze di polizia razziste hanno in America, quanta brutalità. Ora Minneapolis sta bruciando dopo che un afroamericano è stato ucciso a causa del colore della sua pelle. Il sindaco si è scusato, i quattro agenti coinvolti sono stati licenziati, Chauvin è stato incriminato. L’America è un posto crudele per gli Afro e la sua polizia è razzista.

Pochi giorni dopo Minneapolis, sabato mattina, nella Città Vecchia di Gerusalemme, Eyad Hallaq, un uomo autistico di 32 anni, si stava recando al centro per disabili Elwyn. Gli agenti della polizia di frontiera hanno affermato di credere che avesse in mano una pistola, ma non c’è l’aveva, e quando gli chiesero di fermarsi, si mise a correre. La pena fu la morte. La polizia di frontiera, la più brutale di tutte le unità, non conosce altro modo per sopraffare un palestinese autistico in fuga, se non giustiziarlo. I codardi agenti di polizia di frontiera hanno sparato circa 10 proiettili contro Hallaq mentre fuggiva, verso la morte. È così che agiscono sempre. Questo è ciò per cui sono stati addestrati.

Le Forze di Difesa Israeliane e la Polizia di Frontiera hanno un debole particolare per i disabili. Il minimo gesto o parola sbagliati potrebbe condannarli a morte. Nella città vecchia di Hebron, nel marzo 2018, i soldati hanno ucciso il 24enne Mohammad Jabari, un ragazzo muto e malato di mente, che i vicini di casa chiamavano “Aha-Aha” perché erano le uniche sillabe che riusciva a dire. Gli hanno teso un’imboscata e gli hanno sparato vicino ad una scuola femminile, sostenendo che stava lanciando pietre. Ha lasciato un figlio di 4 anni, un orfano.

Il soprannome di un altro giovane, Mohammad Habali, era Za’Atar (hyssop); nessuno sa perché. Era anch’esso malato di mente e andava in giro con un bastone. I soldati israeliani lo hanno giustiziato sparandogli alla testa da circa 80 metri di distanza. È successo nel dicembre 2018 di fronte al ristorante Sabah a Tul Karm, subito dopo le 2 del mattino, mentre si stava allontanando dai soldati lungo la strada deserta.

Due anni prima l’esercito aveva ucciso Arif Jaradat, 23 anni, mentalmente disabile, nella città di Sa’ir. La sua famiglia lo chiamava Khub, che significa amore. Ogni volta che vedeva dei soldati, urlava loro in arabo, “Non mio fratello Mohammed”. Intendeva dire: “Non prendere mio fratello Mohammed”.

Il fratello maggiore di Arif, Mohammed, è stato rapito da casa sua e arrestato almeno cinque volte dai soldati proprio di fronte a lui. Il giorno in cui Arif morì, lo sentirono gridare ai soldati. Qualcuno si rivolse ai soldati dicendogli: “È disabile, non sparargli”, ma a loro non importava. Hanno ucciso anche Khub.

Nessuna di queste sfortunate persone con disabilità mentali stava mettendo in pericolo i soldati o il personale della polizia di frontiera. Nemmeno l’autistico Hallaq stava mettendo in pericolo nessuno. Gli agenti della polizia di frontiera gli hanno sparato perché è così che agiscono. Lo hanno fatto perché era un palestinese e perché sparare è la prima opzione, quella che le forze di occupazione israeliane preferiscono.

La polizia di frontiera israeliana non è meno brutale o razzista della polizia degli Stati Uniti. Lì, sparano agli afroamericani, nella Palestina occupata sparano ai palestinesi, il cui sangue vale ancora meno. Ma qui, le uccisioni ci anestetizzano; lì accendono la protesta. Il sindaco di Minneapolis, Jacob Frey, che si dà il caso sia ebreo, si è subito scusato con la comunità afroamericana della sua città. “Essere Afro in America non dovrebbe essere una condanna a morte”, ha detto.

Nemmeno essere un palestinese dovrebbe essere una condanna a morte, ma nessun sindaco ebreo israeliano ha mai detto niente di simile. L’agente di polizia che ha soffocato a morte Floyd è stato accusato di omicidio di terzo grado, i suoi colleghi sono stati licenziati. In Israele, il dipartimento del Ministero della Giustizia che indaga sui comportamenti illeciti della polizia sta indagando sull’agente che ha sparato ad Hallaq. Alla fine, come in tutti gli altri casi noti come questo, nessuno pagherà.

Nel frattempo, in America, la polizia è brutale e razzista.

(Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org)

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Il doppio standard sulla questione palestinese – Alberto Negri 

Ci indigniamo perché la Cina vìola i diritti di Hong Kong e delle minoranze, inorridiamo per il razzismo in Usa ma per i palestinesi sotto casa nostra non alziamo un sopracciglio. L’annessione della Cisgiordania è un atto illegale contro ogni accordo e convenzione internazionale ma qui nessuno dice niente

Ci indigniamo perché la Cina vìola i diritti di Hong Kong e delle minoranze, inorridiamo per il razzismo in Usa ma per i palestinesi sotto casa nostra non alziamo un sopracciglio.

Per noi lo fa l’editoriale del “New York Times” di ieri: “L’annessione delle Valle del Giordano, sotto controllo militare israeliano, annunciata da Netanyahu, è illegale, è contro le risoluzioni dell’Onu e della convenzione di Ginevra”. Ma è quello che vogliono i nazionalisti israeliani e i sionisti: mettere le mani sulla Cisgiordania perché in base alla Bibbia appartiene a loro.

Ecco che cos’è il doppio standard nella politica internazionale, che neppure la pandemia è riuscita a scalfire: Israele ha sempre ragione e gli altri torto. Anche perché a dare ragione a Israele c’è sempre la superpotenza americana.

C’è un’aria anche di beffa amara in tutto questo. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato che il primo luglio comincerà l’annessione della Valle del Giordano. In un’intervista al quotidiano Israel HaYom, ha messo in chiaro che ai palestinesi (50-65mila) della Valle del Giordano non sarà concessa la cittadinanza israeliana. “Resteranno un’enclave palestinese” ha spiegato “Gerico non sarà annessa. Ci saranno una o due enclave. Non c’è bisogno di imporre la sovranità su di essi. Ma ci sarà un controllo di sicurezza su di loro”.

Altro che la formula “due popoli e due stati”: c’è un solo stato che prende tutto. Un furto con scasso degli accordi internazionali corredato dal solito apartheid di stampo israeliano. I palestinesi si troveranno a vivere in bantustan minuscoli come quelli assegnati dai governi sudafricani alle etnie nere durante l’arida stagione bianca della segregazione razziale. Eccolo qui il mondo migliore annunciato dai filosofi del divano durante il lockdown. Per i palestinesi si annuncia non un mondo peggiore ma pessimo con cui Netanyahu seppellisce anche il famigerato piano di pace del genero dei Trump, Jared Kushner, che almeno prometteva, sulla carta si intende, una pioggia di soldi per i palestinesi. Adesso non solo Israele si mangia la loro terra ma non ci sono neppure i quattrini. Così Netanyahu mette in agitazione il mondo arabo, soprattutto la Giordania della dinastia hashemita dove il 700% della popolazione è palestinese.

Il quotidiano israeliano Haaretz ci informa che: 1) Con l’annessione Israele occuperà il 23% della Cisgiordania: 40mila ettari di terra palestinese privata. A Gerusalemme Est, tanto per avere un’idea, Israele ha occupato 2.500 ettari di terra palestinese costruendo 60mila unità abitative per ebrei e mille per i palestinesi.

2)Verranno annessi 12 villaggi arabi con 13.500 abitanti

3) Gerico sarà ridotta a una enclave di 43mila abitanti che non potranno uscire ed entrare senza passare da ceckpoint israeliani. 4) Ci sarà un nuovo confine tra israeliani e palestinesi con 124 miglia in più e probabilmente un nuovo Muro.

Mentre il movimento nazionale palestinese si fa sempre più diviso e impotente, Israele ha fatto notevoli sforzi per massimizzare i propri guadagni a spese dei palestinesi. Il 13 maggio la visita lampo del segretario di Stato Usa Mike Pompeo nello Stato ebraico ha confermato che il governo Netanyahu-Gantz ha il via libera per l’annessione. Turchia, Iran, Giordania e i paesi europei abbaieranno senza mordere. Quanto alle monarchie arabe del Golfo, Emirati arabi uniti e Arabia Saudita sono dalla parte degli Stati Uniti e di Israele che li rifornisce sottobanco di armi.

Silenzio anche da parte della Russia che dal 2015 sostiene il regime di Bashar Assad, che vede il Golan occupato dal 1967 da Israele: Putin ha ricevuto in questi anni diverse volte Netanyahu al Cremlino e sono circa due milioni gli ebrei israeliani che parlano russo. E soprattutto Israele da una mano alla zar russo rilasciando dei comodi passaporti agli oligarchi russi che in questo modo possono aggirare le sanzioni imposte a Mosca dopo l’annessione della Crimea.

E’ così che funziona il mondo dopo il lockdown. Due giorni dopo la visita di Pompeo, i ministri degli Esteri dell’Unione europea si sono incontrati a Bruxelles per definire una risposta unitaria ai piani di annessione di Israele. I leader europei, tra cui il capo della politica estera europea Josep Borrell, per settimane hanno dato segni di voler prendere una posizione dura contro Israele.

Si dice che alcune nazioni _ tra cui Francia, Irlanda, Svezia, Spagna e Belgio _ stiano spingendo per sanzioni contro Israele, segnalando la potenziale gravità dell’annessione. Altri _ Ungheria, Austria, Repubblica Ceca, Romania e Grecia _ hanno frenato ogni azione contro Israele che intanto se li è comprati. Negli ultimi anni Netanyahu ha sapientemente costruito solide relazioni con i cosiddetti paesi di Visegrad, mirando a dividere le posizioni sulla politica mediorientale dell’Unione europea, le cui decisioni devono essere prese all’unanimità.

Non sorprende che il tutto sia finito in un nulla di fatto. Non sono stati proclamati impegni o dure condanne, una conclusione che fornisce ai leader israeliani ulteriori motivi per considerare l’Europa debole e insignificante.

L’amministrazione Trump, nonostante lo smacco dell’affondamento del piano Kushner, raddoppierà il proprio sostegno ai massimalisti israeliani, in particolare con l’avvicinarsi delle elezioni di novembre dove il presidente in carica, sempre più in difficoltà sul piano interno e internazionale, ha bisogno del voto degli evangelisti sostenitori del sionismo: è una questione di aritmetica elettorale. Gli Stati europei possono intraprendere azioni individuali ma è assai improbabile che un’Europa unita prenda una posizione consistente. I palestinesi contano sempre meno, sono stati lasciati al loro destino dai “fratelli” arabi, Israele ha legami sempre più stretti, anche se non ufficiali, con le monarchie del Golfo, gli europei hanno sempre più guai in Libia e nel Mediterraneo orientale dove lo stato ebraico è schierato con Cipro e la Grecia contro le mire della Turchia sulle risorse energetiche offshore.

Forse qualcuno, in un giorno lontano, ricorderà con rabbia che c’era una volta la “causa”

palestinese.

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La madre del palestinese ucciso: “MIO FIGLIO ERA UN BAMBINO NEL CORPO DI UN UOMO”

La madre del palestinese che è stato colpito e ucciso da alcuni soldati israeliani nella Gerusalemme occupata ha affermato che le argomentazioni e le giustificazioni di Israele per il brutale omicidio non sono altro che menzogne, poiché l’uomo ucciso era autistico, era come “un bambino nel corpo di un uomo”.

Il palestinese, Eyad al-Hallaq, 32 anni, è stato ucciso dai soldati che gli hanno sparato otto colpi di arma da fuoco, mentre si trovava nelle vicinanze delle scale della moschea Al-Aqsa, nella Gerusalemme occupata, mentre stava camminando verso la scuola per persone diversamente abili di al-Bakriyyah.

Alcuni testimoni hanno riferito che Eyad stava camminando quando i soldati hanno iniziato a urlare contro di lui, le loro voci forti lo hanno spaventato e lui ha cercato di scappare.

Hanno aggiunto che i soldati avrebbero potuto arrestarlo facilmente  senza ricorrere all’uso delle armi, che si è rivelato eccessivo e letale.

La madre camminava senza una meta nei pressi della sua abitazione a Wadi al-Juz, a Gerusalemme, sembrava persa e incapace di cogliere la notizia della morte del suo unico figlio.

Pochi minuti dopo la diffusione della notizia della sua morte, è stata informata che il ragazzo era vivo e che lo avevano soltanto colpito a una gamba vicino a Bas al-Asbat, a Gerusalemme, ma poco dopo è diventato chiaro che era stato ucciso dai soldati.

Suo padre, Khairi al-Hallaq, scioccato e incredulo, era seduto nella sua casa, circondato da diversi giovani che conoscevano il palestinese ucciso e si erano precipitati da lui. L’uomo non riusciva pronunciare molte parole, tranne le preghiere e i borbottii che ripetevano “è stato ucciso a sangue freddo, è stato assassinato…”.

Il figlio autistico, ha detto, sarebbe potuto sembrare un uomo adulto, ma il suo cervello era quello di un bambino che non interagiva con nessuno e che usciva di casa solo per andare alla scuola per disabili.

“Perché lo hanno ucciso a sangue freddo in questo modo?”, ha chiesto, “sostengono di aver pensato che avesse un’arma! Perché non lo hanno perquisito, perché hanno dovuto ucciderlo senza nemmeno assicurarsi che stesse trasportando la presunta arma?”

Ha aggiunto che suo figlio aveva iniziato a frequentare la scuola per disabili circa sei anni fa, e che ci andava tutti i giorni dalla mattina alla sera, e quando tornava a casa restava da solo nella sua stanza.

Sua madre, in lacrime, sconvolta e incapace di riprendere fiato, si è chiesta: “Perché non lo hanno semplicemente catturato… perché non lo hanno perquisito… perché hanno dovuto sparare dei colpi mortali, uccidendolo a sangue freddo un questo modo?”

“È stato assassinato a sangue freddo, non aveva altro che il suo telefono cellulare e il suo portafoglio”, ha aggiunto, “non trasportava armi, voleva andare a scuola perché si annoiava a casa, mentre a scuola poteva essere più attivo e interagire con gli altri”.

“In questo momento, dopo che è stato assassinato in questo modo, il mio unico desiderio è di poter svolgere la cerimonia funebre nella moschea di Al-Aqsa, prima che sia sepolto nel suolo di Gerusalemme”, ha aggiunto. “Era una persona innocente, non odiava nessuno e ciò che gli hanno fatto è un crimine non solo contro di lui, ma anche contro ogni persona diversamente abile. Hanno ucciso il mio unico figlio, era un bambino nel corpo di un uomo. Hanno ucciso il mio unico figlio, hanno ucciso il mio unico figlio…”.

L’avvocato Eyad al-Qadamani, che rappresenta la famiglia, ha affermato che la polizia israeliana sta indagando sulla sparatoria fatale, ma finora non ha ammesso che il giovane è stato ucciso per errore e non è disposta a restituire la salma alla famiglia per la sepoltura.

L’avvocato ha aggiunto che la polizia israeliana ha imposto un obbligo di riservatezza, vietando il rilascio dei nomi degli ufficiali coinvolti nella sua morte o di qualsiasi informazione sulle unità a cui appartengono.

L’obbligo di riservatezza imposto rimarrà in vigore fino al 3 giugno e potrebbe essere prorogato per un periodo più lungo.

I media israeliani hanno affermato che il giovane ucciso non portava armi e che gli hanno sparato solo perché “non è riuscito a fermarsi quando gli è stato ordinato”.

La polizia ha dichiarato di aver notato che trasportava un “oggetto sospetto” e di aver pensato che fosse una pistola, aggiungendo che all’ordine di fermarsi ha iniziato a correre dando luogo a un inseguimento.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha dichiarato che il palestinese era disarmato e che l’ufficiale che gli ha sparato ha affermato che sospettava che al-Hallaq fosse “un terrorista perché indossava dei guanti”.

Haaretz ha citato una dichiarazione della polizia israeliana secondi la quale “i due ufficiali hanno notato che il palestinese trasportava un oggetto sospetto e pensando che fosse una pistola gli hanno ordinato di fermarsi. Dopo che l’uomo ha rifiutato e ha iniziato a fuggire, gli agenti hanno iniziato a inseguirlo a piedi e hanno aperto il fuoco, finendo per ucciderlo mentre cercava di nascondersi dietro un cassonetto”.

Ha aggiunto che la polizia ha quindi chiuso la Città Vecchia e che il Dipartimento investigazioni interne della polizia indagherà sull’incidente.

Haaretz ha anche affermato che i due ufficiali coinvolti nell’inseguimento e nella sparatoria fatale sono stati interrogati dalla polizia e che uno di loro è stato in seguito rilasciato “in condizioni restrittive”, mentre il secondo ufficiale è stato messo agli “arresti domiciliari”.

Il giornale israeliano ha anche citato una fonte che è stata descritta come “familiare con le indagini”: il giovane ufficiale è sospettato di aver “continuato a sparare nonostante il suo comandante gli avesse ordinato di fermarsi”.

Haaretz ha aggiunto che l’ufficiale “ha continuato a sparare perché ha visto che al-Hallaq si stava ancora muovendo” e che un tribunale di Gerusalemme ha emesso un ordine di riservatezza che proibisce il rilascio dei nomi degli ufficiali coinvolti nell’incidente fatale.

(Traduzione per InfoPal di Giulia Deiana

© Agenzia stampa Infopal

E’ permessa la riproduzione previa citazione della fonte “Agenzia stampa Infopal – www.infopal.it”)

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Relazioni tra arabi e neri : la tragedia di Floyd ne mette in luce i legami e le tensioni – Ali Harb

Immagine di copertina: la morte di George Floyd ha provocato disordini a Minneapolis e ha fatto emergere ingiustizie razziali negli Stati Uniti (AFP)

Washington – “Per favore, per favore, non riesco a respirare”,supplicava George Floyd, ansimando per la mancanza d’aria, mentre il ginocchio di un ufficiale di polizia  premeva sul suo collo fino a quando, dopo diversi minuti, non è morto.

La morte di Floyd a Minneapolis ha toccato la coscienza dell’America, rinnovando il trauma di secoli di ingiustizia razziale e brutalità della polizia contro gli afroamericani e scatenando furiose proteste nel Minnesota e in tutto il Paese.

Mentre giovedì notte i manifestanti hanno dato alle fiamme un edificio della polizia a Minneapolis, all’interno delle comunità arabe statunitensi è emerso un dibattito sulla solidarietà con gli afroamericani e sulle responsabilità delle attività commerciali di proprietà degli immigrati nei quartieri prevalentemente neri.

La polizia stava arrestando Floyd in risposta a una chiamata di un negozio di proprietà di arabi americani, i cui dipendenti sospettavano che quel cliente di 46 anni stesse cercando di pagarli con una banconota di 20 dollari falsa.

I proprietari del negozio hanno condannato inequivocabilmente l’omicidio, sottolineando di sostenere il movimento Black Lives Matter.

“Conosciamo la mancanza di valore data dal sistema alle vite dei neri ” – Ahmad Abuznaid, coordinatore palestinese-americano

I dettagli delle interazioni all’interno del negozio sono ancora confusi e non è chiaro chi esattamente abbia chiamato la polizia, ma generalmente gli attivisti chiedono cautela prima di contattare le autorità, quando sono coinvolte persone di colore.

Il coordinatore della comunità palestinese-americana Ahmad Abuznaid ha affermato che il tragico incidente è un “momento di apprendimento ” per le  attività commerciali di proprietà araba.

“Ciò che dobbiamo affrontare a questo punto sono i fatti – e i fatti sono che gli afroamericani sono stati sproporzionatamente brutalizzati dalle forze di polizia negli Stati Uniti d’America, sia  storicamente che nei tempi moderni, e dobbiamo essere sensibili a queste realtà, “ha detto a Middle East Eye.

Abuznaid ha proposto incontri tra gli arabi americani per favorire la consapevolezza sul razzismo istituzionale contro la comunità nera.

“Conosciamo la mancanza di valore data dal sistema alle vite dei neri “, ha detto.

 

Negozi arabi nelle comunità nere

In tutto il Paese, molti immigrati arabi con risorse limitate e volontà di lavorare in proprio,  hanno trovato  la soluzione aprendo negozi in aree urbane economicamente svantaggiate, aree che sono per lo più afroamericane.

Ecco perché in luoghi come Detroit, Chicago, Minneapolis, New Orleans e San Francisco, non è raro trovare  attività commerciali di proprietà araba in quartieri dove ci sono pochi residenti arabo-americani.

A volte i malintesi reciproci e la mancanza di sensibilità culturale possono portare a situazioni tese e relazioni ostili tra questi piccoli imprenditori  e le comunità che servono.

Questo non sembra essere il caso di Minneapolis con Cup Foods, il negozio in cui si è verificato l’incidente iniziale. In effetti, alcuni attivisti locali hanno lodato il negozio per il suo impegno  nella comunità che dura da oltre tre decenni.

“Sosteniamo Black Lives Matter”, ha dichiarato il proprietario della Cup Foods Mahmoud Abumayyaleh alla rivista locale Sahan Journal. “Siamo contrari all’abuso di potere e all’ingiustizia razziale. Abbiamo un sistema che è sbagliato e deve essere cambiato.”

Giovedì, Abumayyaleh ha detto alla CNN che il dipendente che ha chiamato la polizia stava semplicemente  applicando il “protocollo” dopo aver scoperto la banconota sospetta di 20 dollari . Gli agenti sono arrivati ​​mentre Floyd era fuori dal negozio  e l’omicidio è stato registrato dalle telecamere di sicurezza del negozio.

“Quello che ho visto è stato devastante; è stato straziante e le mie condoglianze vanno alla famiglia e agli amici di George Floyd”, ha detto Abumayyaleh.

In un successivo post su Facebook, il proprietario del negozio ha sottolineato che una chiamata alle autorità per una questione non violenta, non dovrebbe comportare la morte di qualcuno. Le linee guida del governo federale invitano le aziende a contattare la polizia locale o l’US Secret Service, quando ricevono denaro falso.

“Non dimentichiamo  di chi era il ginocchio sul collo di George”, ha scritto  Abumayyaleh.

 

Trauma

Alcuni utenti dei social media hanno rapidamente condannato il negozio. Ma Dawud Walid, direttore esecutivo del Council on American-Islamic Relations (CAIR) ha affermato che i proprietari di negozi che agiscono in buona fede  si trovano davanti a un “dilemma”, quando affrontano il crimine nei loro negozi.

“È irragionevole dire ai proprietari del negozio di fare finta di nulla o di guardare dall’altra parte quando qualcuno sta presumibilmente commettendo un crimine, indipendentemente dal loro colore della pelle”, ha detto Walid.

“D’altra parte, se si tratta di qualcosa di lieve o di insignificante o forse anche di un malinteso, il proprietario del negozio dovrebbe anche essere consapevole che chiamare la polizia per una piccola questione potrebbe effettivamente portare al pestaggio o alla morte di un essere umano.”

Walid ha detto che gli afroamericani sono stati collettivamente traumatizzati dalla brutalità della polizia, degli  ufficiali e dei vigilantes bianchi , che uccidono i neri impunemente.

“Molti di noi che sono afroamericani, incluso me stesso, conosciamo persone uccise dalla polizia”, ha detto Walid a MEE.

“Molti di noi che sono afroamericani, incluso me stesso, conosciamo persone uccise dalla polizia” Dawud Walid, CAIR

“Molti di noi hanno esperienze personali di persone care o di amici uccisi ingiustamente dalle forze dell’ordine. Inoltre anche le ricorrenti foto e video di bianchi che uccidono i neri e che poi non vengono condannati ma restano liberi, sono motivo di trauma per molte persone. È quasi come una forma di Disturbo Post Traumatico da Stress “.

Mentre in America il razzismo si è diffuso da quando nel 1619 gli europei deportarono come schiavi alla colonia britannica di Jamestown gli africani incatenati, le uccisioni della polizia di uomini neri disarmati documentate in video hanno sottolineato le disparità razziali che esistono ancora oggi.

E la rabbia nera per le uccisioni è stata spesso perpetuata dall’incapacità o forse dalla riluttanza a condannare gli agenti coinvolti.

Derek Chauvin, il poliziotto che ha fatalmente premuto il ginocchio contro il collo di Floyd, è stato arrestato venerdì, ma Walid non è ottimista sul fatto che il sistema giudiziario criminale riconoscerà le sue responsabilità.

“Non nutro false speranze sul fatto che questi poliziotti saranno condannati, anche se io, insieme ad altri attivisti, continuerò a lottare per la giustizia”, ha detto.

Walid spinge per un’”educazione” degli imprenditori arabi  riguardo le comunità in cui operano.

Ha anche chiesto la solidarietà degli arabi e dei musulmani-americani con la comunità nera, ricordando il caso di Yassin Mohamed, un sudanese-americano ucciso a colpi di pistola dalla polizia all’inizio di questo mese in Georgia.

“Era musulmano, arabo e nero. Incarnava tutte e tre le identità. E forse questo fa parte del processo educativo che deve svolgersi all’interno di una parte della comunità musulmana qui in America”, ha detto Walid.

 

Solidarietà

Gli eventi di Minneapolis hanno dato vita ad appelli alla solidarietà da parte di molti gruppi e sostenitori arabo-americani. Giovedì, l’American-Arab Anti-Discrimination Committee (ADC) ha rilasciato una dura dichiarazione che condanna il razzismo contro i neri.

“Anche se condividiamo alcune lotte, dobbiamo riconoscere che è giunto il momento di ascoltare i neri americani e i gruppi per i diritti civili neri riguardo le loro specifiche esperienze e interrogarci su come possiamo sostenere al meglio la nostra lotta collettiva contro l’ingiustizia”, afferma la dichiarazione .

” Come arabo-americani è anche nostro dovere educare noi stessi sulle lotte che affrontano i nostri fratelli e sorelle neri e riflettere su come possiamo fare la nostra parte per contrastare il razzismo contro i neri.

“Dobbiamo anche chiederci: ‘Ho fatto abbastanza per liberare la mia comunità dal razzismo contro i neri? Cosa stiamo facendo nelle nostre case, nei nostri luoghi di culto e nei nostri negozi per combatterlo?’ Ricordate, inizia da noi. Discutiamo, confrontiamoci, e prendiamo posizione contro l’intolleranza settaria”.

C’è una lunga storia di cooperazione politica tra attivisti arabi e neri in America, in particolare per quanto riguarda la causa palestinese.

Intellettuali neri, tra cui Angela Davis, Cornel West e Marc Lamont Hill, appoggiano il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), che cerca di esercitare pressioni economiche su Israele affinché ponga fine ai suoi abusi contro i palestinesi.

Nel 2014 Angela Davis, insieme a molti attivisti afro-americani, si espresse a sostegno della palestinese Rasmea Odeh, che stava affrontando un processo per non aver comunicato, sulla sua domanda di naturalizzazione, di essere stata incarcerata da Israele.

Hatem Abudayyeh, direttore esecutivo dell’Arab American Action Network (AAAN) con sede a Chicago, dove Odeh aveva lavorato prima di lasciare il Paese nel 2017 dopo aver perso la lunga battaglia legale, ha affermato che il gruppo ha una lunga storia di forti legami con la comunità nera.

Ha dichiarato che sin dalla fondazione dell’AAAN, nel 1972, i suoi leader hanno compreso  che “la nostra liberazione si intreccia con la liberazione di altre comunità oppresse”.

“La lotta più importante in questo Paese è la lotta per la liberazione dei neri, e si manifesta oggi nella lotta per far riconoscere le responsabilità degli agenti e contro la violenza della polizia”, ha detto Abudayyeh al MEE.

L’AAAN ha iniziative congiunte con la Chicago Alliance Against Racist and Political Repression, un importante gruppo di attivisti afroamericani.

 

Interazioni giornaliere

La solidarietà tra attivisti non si riflette però pienamente nei rapporti quotidiani tra arabi e afroamericani.

“Sappiamo che il rapporto tra la leadership dell’AAAN e la leadership dell’Alliance di Chicago è buono, perché condividiamo valori e principi teorici e ideologici”, ha detto Abudayyeh, aggiungendo che “non significa però che tutti i membri delle fila e dei ranghi della comunità araba e tutti i membri delle fila e dei ranghi della comunità nera condividono quelle idee, quei pensieri e quei rapporti “.

Questo è il motivo per cui l’AAAN ha condannato i presunti aumento di prezzi applicati dai proprietari di negozi arabo-americani dopo lo scoppio del coronavirus.

“Ci siamo espressi pubblicamente contro il razzismo anti-nero nella nostra comunità”, ha detto Abudayyeh a MEE. “Sappiamo che è un problema con cui dobbiamo continuare a lottare”.

Ha anche sollecitato a sfidare atti ed espressioni razziste all’interno delle comunità arabe, compreso l’uso della parola abeed [schiavi] per definire gli afroamericani. Per quanto riguarda le attività commerciali, ha affermato che i proprietari dei negozi dovrebbero reinvestire i guadagni nelle comunità da cui traggono profitto.

“Ci sono storie orribili sul modo in cui membri della comunità nera vengono trattati dai nostri imprenditori e dalle guardie di sicurezza che assumono”, ha detto. “Ma ci sono anche alcuni sviluppi positivi, buoni esempi che dovrebbero essere seguiti da tutti: l’assumere persone e guardie della sicurezza , se ce n’è bisogno, dalla comunità, l’investire nella squadra di baseball locale”.

L’attivista iracheno-americano M Baqir Mohie El-Deen ha fatto eco ai commenti di Abudayyeh, affermando che durante i suoi anni di lavoro nelle stazioni di servizio, per lo più nei quartieri neri di Detroit e New Orleans, aveva visto esempi sia positivi che terribili.

“I proprietari di negozi che non rispettano la comunità che servono non dovrebbero lavorare in quella comunità, tanto per cominciare”, ha detto Mohie El-Deen a MEE.

Da parte sua, Abuznaid, l’attivista palestinese-americano, ha affermato che la solidarietà politica e le interazioni quotidiane tra arabi e afro-americani sono collegate.

“Costruiamo le relazioni all’interno delle comunità nere e arabo-americane su base quotidiana e scopriamo modi di vivere insieme. Ciò migliora il modo in cui riusciamo ad essere solidali con la Palestina, migliora il modo in cui riusciamo ad essere solidali con Black Lives Matter “, ha detto.

 

(Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” –Invictapalestina.org)

 

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