Giancarlo Biffi: la Fiat e il non più diritto di sciopero

Diritti in cambio di lavoro è questa la ricetta Fiat messa in campo. Altrimenti l’alternativa è già pronta: abbandonare Pomigliano d’Arco per andare a fabbricare auto in Polonia, dove la mano d’opera costa meno e i sindacati risultano molto più malleabili. Il ricatto è servito in tavola, chiaro chiaro. Così com’è chiarissimo che accettare le proposte della casa automobilistica torinese, significa porsi su un piano inclinato che porterà tutti i lavoratori italiani a perdere una dopo l’altra le conquiste portate a casa, in anni di durissime battaglie. La lotta degli operai campani riguarda tutti noi: se perdono loro, perdiamo tutti una bella fetta di diritti acquisiti, in primis il diritto d’incrociare le braccia, di utilizzare lo strumento dello sciopero come forma di protesta e rivendicazione. Non ci può essere nessuna equità sociale nella società del profitto, in cui ogni cosa o atto è valutato unicamente attraverso la lente della domanda e offerta. In un Paese dove il lavoro nero, il precariato infinito, o come succede a tanti extracomunitari, le forme di vera e propria schiavitù sono tollerate, è evidente che il padronato può e si sente stimolato ad affondare il coltello nella polpa dei diritti dei lavoratori, diritti che nessuno ha regalato ad alcuno ma che sono conquista e patrimonio di generazioni intere. In effetti non è tollerabile accettare ricatti senza rispondere, prima o poi l’intera struttura sociale si frantumerà e le conseguenze saranno più che traumatiche. Con un debito pubblico stellare in cui ognuno di noi si trova sulle spalle un fardello di più di trentamila euro a testa e con entrate che sono in costante diminuzione, il risultato sotto gli occhi di tutti è il taglio drastico dei servizi, situazione molto ben conosciuta dagli amministratori locali. Chiedere più uguaglianza fiscale, chiedere che tutti versino nelle casse dello Stato il dovuto, chiedere che chi già paga non sia l’unica e sempre medesima preda a cui succhiare anche l’ultima goccia di sangue ma sia anche il soggetto che per primo possa beneficiare di servizi scolastici, sanitari, culturali… pare quasi una richieste pateticamente ingenua. Puntare alla massima occupazione nella pienezza dei diritti così come puntare ad un’equità fiscale sembra il minimo che il cittadino possa chiedere oggi alla politica.

Redazione
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2 commenti

  • ginodicostanzo

    La lettera di un gruppo di lavoratori della fabbrica di Tychy, in Polonia, ai colleghi di Pomigliano che stanno per votare se accettare o meno le condizioni della FIAT per riportare la produzione della Panda in Italia. Ecco la lettera:

    “La FIAT gioca molto sporco coi lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli alti. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d’Europa e non sono ammesse rimostranze all’amministrazione (fatta eccezione per quando i sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o contrattano i turni del weekend).

    A un certo punto verso la fine dell’anno scorso è iniziata a girare la voce che la FIAT aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia pensa di poter fare di noi quello che vuole. L’anno scorso per esempio ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni record di produzione.

    Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo “Giorno di Protesta” dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato come l’anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere?

    Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre.

    In questi giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia lottassero. Non per mantenere noi il nostro lavoro a Tychy, ma per mostrare alla FIAT che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli. Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e adesso ci troviamo nella loro stessa situazione.

    E’ chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente.

    Per noi non c’è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e sabotare l’azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso.

    Lavoratori, è ora di cambiare.”

    Questo invece è un mio commento, scritto qualche giorno fa:

    “Bere merda o affogare, questa è l’offerta FIAT. Accettare di trasferirsi poco alla volta dalla categoria dei lavoratori in quella degli sfruttati senza diritti; o nessun lavoro. Svendere conquiste per cui sono morti i padri per sfamare i figli. Ma quegli stessi figli, quando saranno in età da lavoro, ringrazieranno i padri della generazione della sconfitta? o diranno loro:

    – padre, io ti ringrazierò sempre per avermi allevato ed educato, ma adesso, se voglio sopravvivere con i miei figli, posso solamente abbassare la testa e lasciare che essi mi rendano schiavo senza dignità, morendo di lavoro in silenzio. Padre, hai sottovalutato la mia fanciullezza, io avrei capito le privazioni e la povertà, avrei ammirato la forza e la dignità. Padre, sarebbe stato meglio lottare.”

  • Ah le magnifiche sorti e progressive della concertazione, del sindacato che si fa promotore di sviluppo, della non-incompatibilita’ di interessi tra padrone e dipendente. DI Vittorio si rivolta nella tomba.

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