Gli africani salveranno l’Italia

era il titolo di un libro di Antonello Mangano, nel 2010. Chiacchierandone in tv con Aboubakar Soumahoro.

 

 

Migranti: caro Salvini, ‘pacchia’ è andare in barca. Non essere costretto al barcone – Maso Notarianni

Pacchia è fare soldi con le slot machine, le lotterie, il gioco d’azzardo legalizzato.
Pacchia è fare accordi con la criminalità organizzata per gestire potere e soldi.
Pacchia è poter contare su una delle economie sommerse più importanti del mondo e sui suoi investimenti per evitare gli effetti devastanti della crisi e del credit crunch.
Pacchia è contare sul controllo del territorio fatto da mafia, ‘ndrine e camorra per evitare attentati.
Pacchia è intascarsi 30 dei 35 euro che dovrebbero servire ad accogliere le disperate e i disperati che arrivano ogni giorno.
Pacchia è andare a puttane minorenni impunemente.
Pacchia è eludere e frodare il fisco fregandosene degli altri, salvo poi lamentarsi del sistema sociale.
Pacchia è approfittare di chi nelle scuole e negli ospedali si fa un culo quadrato per fornire servizi migliori alle persone sputando poi sul pubblico, tagliando servizi sociali, sbattendosene dei diritti altrui.
Pacchia è pensare di avere tutti i diritti e nessun dovere.
Pacchia è poter lavarsi i denti senza chiudere l’acqua quando la maggior parte delle persone del mondo nemmeno beve.
Pacchia è poter vivere delle briciole che l’1% elargisce (per garantirsi di rimanere 1%) sbattendosene delle sorti del rimanente 99%.
Pacchia è poter andare in barca bordeggiando, non essere su un barcone in traversata.
Questa è la pacchia. Ovvero come viviamo quasi tutti noi.

da qui

 

https://www.youtube.com/watch?v=4KjKo3Nprus

https://www.youtube.com/watch?v=pViqS0uPAbI

 

DUE PADRI (strange day) – Gian Luigi Deiana

vorrei scrivere queste righe obbedendo solo a una simultaneità di fatti, e cercando di coglierne un legame senza lasciarmi prendere dalla rabbia e dalla pena; c’è tanta rabbia in giro, come poca pena, ed quindi è inutile esporre in balcone le mie;

il fatto principale è che in queste ore si vota la fiducia al nuovo governo, una creatura che ora dopo ora appare più problematica di quanto potesse apparire nei giorni del suo parto; tuttavia è l’unico governo oggi possibile, in quanto i due contraenti che lo compongono hanno vinto le quote elettorali decisive per poterlo fare;

il fatto secondario è che in queste stesse ore si prende la misura dell’omicidio di un giovane immigrato, ucciso tre giorni fa con un colpo di fucile mentre aiutava uno dei suoi compagni a prendere lamiere abbandonate per coprire una delle baracche; gli omicidi, come tante altre cose, non sono mai tutti uguali, e troppe volte il dovere di prenderne la misura coglie impreparati: in questo paese ci sono voluti tre giorni per cominciare a farlo;

la misura dell’omicidio di sacko soumaila si deve prendere considerando che era nero; era di quella regione subsahariana, il mali, tra le più povere di risorse e tra le più ricche di spiritualità del mondo; aveva ventinove anni, una moglie e una bambina di cinque anni; era in italia dal 2010 e non era un clandestino, quindi svolgeva da molti anni un lavoro regolare in cambio di un salario schiavile; non lo subiva passivamente, infatti spendeva la sua passione per la fraternità e la sua intelligenza per il sindacato: non sappiamo se il proiettile che lo ha ucciso abbia voluto colpire il diritto al sindacato, o il diritto alla fraternità, o ambedue le cose che a volte, come nel suo ultimo giorno, sono la stessa cosa;

la misura di un “fatto” come questo non è solo cronachistica o solo emotiva o solo morale, è politica: se la politica tace, o riduce, o passa ad altro il dovere della misura si sposta inevitabilmente su di lei: quanto vale una politica che non sa guardare in faccia un giovane padre ucciso in quello scenario di apocalisse? quanto vale il governo che la guida?

queste domande, come infinite volte è successo, sarebbero destinate a perdersi nel vento: ma oggi no; oggi esse sono il vero discorso di insediamento del nuovo governo; l’atto di accusa sospeso su di esso, da oggi, giorno dopo giorno; il nostro lutto come voto di fiducia: per quello che in questi tre giorni questa compagine ha fatto e per quello che “non” ha fatto;

in questi tre giorni il ministro investito per competenza su casi come questo, cioè il ministro dell’interno, non solo ha taciuto sulle ipotesi di indagine, non solo ha voltato il capo sul contesto criminale di quella condizione di sfruttamento schiavistico nota da anni, ma ha speso la sua prima azione da ministro, prima ancora del voto di fiducia parlamentare, per annunciare la fondazione in italia del capo sud della linea di filo spinato che parte dall’ungheria: ha cercato il razzista dichiarato orban come testimone di cerimonia del nuovo governo italiano;

cari figli di matteo salvini, è inelegante citarvi in una riflessione che riguarda l’azione politica di vostro padre, ma purtroppo è lui che in veste di sedicente papà vi chiama continuamente in causa asserendo che la sua missione è dettata dal bene paterno che profonde per voi, e ne è talmente convinto che si ritiene nel giusto quando non si riguarda mai nell’assimilare a voi i figli di tutti i papà italiani; bene cari, in questi tre giorni vostro padre aveva l’icona di orban alla sua sinistra, e il cadavere di sacko alla sua destra; ha reso omaggio al primo, rispetto al quale avrebbe almeno dovuto aspettare l’approvazione del capo del governo, e ignorato il secondo, rispetto al quale aveva invece un dovere formale di sollecitudine immediata; e poiché le sedimentazioni della propaganda restano inevitabilmente sul fondo e purtroppo hanno riguardato nelle sue esternazioni pubbliche anche voi, mi lascia sgomento, me che pure sono un padre, che possa vantare questa sua condotta come compiuta in vostro nome;

queste ore di ebbrezza, che legittimamente sono vissute con grande espansione d’animo da lui e da voi, sono ore di pianto per la piccola figlia di sacko soumaila e di migliaia come lei; se c’è un dio in cielo, come ha potuto esservi un sacko su questa terra, vi aiuterà a vedere il mondo dal punto di vista dell’orfano e dello schiavo, dall’altra parte del filo spinato e della ruggine delle lamiere; e questo è tutto.

da qui

 

Caporalato, tanta strada da fare ancora

parla Yvan Sagnet, il promotore del primo sciopero dei braccianti stranieri in Puglia nel 2011

Dalla Puglia al Piemonte, passando per la Lucania, il Lazio e la Campania, i braccianti immigrati sono vittime di un caporalato feroce che li rinchiude in veri e propri «ghetti a pagamento», in cui tutto ha un prezzo e niente è dato per scontato, nemmeno un medico in caso di bisogno.

«Questa brutale realtà, la conoscono in pochi ed è taciuta dalle istituzioni pubbliche locali, dal sistema agricolo italiano, dalla piccola e media distribuzione e dalle multinazionali dell’industria agroalimentare, che sempre più spesso si serve di questa forma coatta di sfruttamento imponendo un ribasso eccessivo dei prezzi dei prodotti», ricorda Yvan Sagnet, leader del primo sciopero dei braccianti stranieri in Italia nell’estate del 2011 nelle campagne leccesi di Nardò, difensore dei diritti dei lavoratori e autore dei libri, quali Ama il tuo sogno e Ghetto Italiai braccianti stranieri tra caporalato e sfruttamento –, raggiunto da Riforma per commentare la morte del sindacalista maliano Soumalia Sacko, avvenuta nella settimana in cui il parlamento votava la fiducia al nuovo governo.

«Ciò che sta avvenendo, e mi riferisco agli omicidi di molti stranieri in Italia, è il risultato di un clima di odio razzista alimentato da una certa politica», denuncia Sagnet.

Soumalia Sacko aveva solo 29 anni, il tre giugno è morto raggiunto da quattro colpi di fucile mentre si trovava insieme a due amici «braccianti», rimasti feriti, nei pressi di una fabbrica abbandonata per recuperare del materiale utile per riparare le baracche dove vivono, nel ghetto di San Ferdinando.

«Una “certa” politica – rileva Sagnet – ha fatto della criminalizzazione e dell’odio verso gli immigrati e gli stranieri, una bandiera. Un clima d’odio che trova consenso in una fetta sempre più ampia di popolazione, “galvanizzata” dai risultati elettorali» e dal fatto che dalle parole enunciate «si stia rapidamente passando ai fatti».

«Le vittime di questo clima sono persone che certamente “non vivono nella pacchia”, e che prima di arrivare in Italia hanno dovuto attraversare sofferenze atroci nel deserto, torture e maltrattamenti in Libia; violenze, privazioni della libertà e della dignità. Giunte in Italia, queste persone, pensando di poter vivere una vita dignitosa sono diventate vittime dello sfruttamento delle mafie, di uomini senza scrupoli, usate come nuovi schiavi da utilizzare nelle campagne per la raccolta. Questa è stata anche la storia dell’amico e compagno Sacko. Un ex bracciante, un ex schiavo, che ha deciso di ribellarsi al suo “caporale” entrando nel sindacato per dare una mano ad altre persone nelle sue stesse condizioni».

Tra i motivi della sua morte, prosegue Sagnet «la matrice razzista; non si può sparare a un essere umano con tale brutalità e premeditazione. Un altro motivo: le condizioni di lavoro e sociali alle quali sono costretti a vivere i braccianti. Sacko è stato ucciso mentre raccoglieva lamiere in un vecchio capannone, tra l’altro sequestrato dalla magistratura, per riparare baracche fatiscenti. Se i lavoratori non fossero costretti a vivere in condizioni così precarie, non avrebbero bisogno di raccogliere lamiere per ripararsi dalla pioggia e dal freddo».

Oltre all’odio razziale e alle precarie condizioni sociali, la morte di Soumalia può essere riconducibile alla criminalità organizzata «molto diffusa in Calabria, con la ’ndrangheta che controlla il territorio».

Sagnet è stato protagonista della legge anti-caporalato, approvata definitivamente il 18 ottobre del 2016 dalla Camera dei deputati, un disegno di legge che tra le altre cose contiene specifiche misure per i lavoratori stagionali in agricoltura ed estende responsabilità e le sanzioni per i «caporali» e gli imprenditori. I voti favorevoli furono 336 con nessun contrario e 25 astenuti (Forza Italia e Lega).

«Le leggi e le norme ci sono, ma spesso sono disattese. La legge sul “caporalato” è stata approvata con sforzi enormi, proprio per contrastare un fenomeno atavico e che colpiva molti italiani ben prima dell’arrivo dei migranti africani. Questo strumento legislativo, utile alla magistratura per contrastarne il fenomeno, se non è sufficientemente supportato dalla politica non può essere applicato».

L’ultima parte della legge introduce misure di sostegno e di tutela del lavoro agricolo come il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, che dovrebbe raccogliere, certificare e «bollinare» le aziende virtuose e un piano per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori stagionali.

«Lo Stato deve farsi garante della legalità, prosegue Sagnet –, dall’altra, le imprese, devono rispettare le regole attraverso il Contratto collettivo nazionale del lavoro. Dalla Puglia alla Sicilia, ovunque, le condizioni dei lavoratori sono pressoché le stesse; una violazione spaventosa dei principi fondamentali del lavoro. Tutti noi siamo lo Stato, non esiste come qualcuno sostiene lo Stato centrale, ognuno di noi ha una parte di responsabilità e può giocare un ruolo importante: la popolazione italiana, i sindacati, le imprese».

La presenza di un gran numero di lavoratori vulnerabili e disponibili a salari bassi ha consentito a molte aziende di reggere alla crescente pressione sui prezzi dei prodotti agricoli operata da commercianti, industrie e catene della grande distribuzione «molti dei prodotti che acquistiamo nei supermercati portano l’odore del lavoro nero, dello sfruttamento; è importante porsi delle domande quando acquistiamo il cibo che mettiamo sulle nostre tavole: da dove arriva il prodotto, com’è stato raccolto, chi lo ha coltivato e in quali terreni? Se non ci interroghiamo, se non indaghiamo, potremmo alimentare il meccanismo dello sfruttamento di braccianti stranieri e della mafia che ne trae guadagno».

La mappa dello sfruttamento lavorativo e del caporalato in agricoltura ha individuato il fenomeno in 18 regioni e 99 province a dimostrazione del fatto che lo sfruttamento del lavoro agricolo e il caporalato, seppur con forme e intensità diverse, sono fenomeni ormai insediati su tutto il territorio nazionale: «la battaglia per la legalità e il contrasto alla violenza e all’odio potrà avere un futuro solo se saranno coinvolte e sensibilizzate le nuove generazioni, se saranno le scuole italiane a farsi promotrici di un’attenta sensibilizzazione. Una battaglia per i diritti e la legalità che deve partire anche dal basso grazie all’impegno della società civile. Molti giovani, purtroppo, non sono a conoscenza di ciò che gli accade intorno. Dobbiamo contrastare il male dell’indifferenza e ricordare ai giovani che il futuro del loro paese passa attraverso le loro azioni, i loro interventi, le loro decisioni, e alla loro indignazione di fronte ai soprusi e alle ingiustizie».

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