Grup Yorum: voce dei popoli oppressi

di GIANNI SARTORI

Erdogan continua la repressione contro chiunque dissenta

Attualmente sono 11 i membri di Grup Yorum imprigionati per il loro impegno a favore della democrazia e della libertà di stampa. Se nei confronti dei curdi il governo turco sta ormai applicando un autentico genocidio e la pura e semplice pulizia etnica (per sostituire la popolazione nel nord della Siria) analogamente una dura repressione si è scatenata contro giovani, lavoratori, giornalisti, scrittori, avvocati e dissidenti turchi.

Dopo il colpo di Stato del 2016 (quello vero, di Erdogan) in Turchia vige lo stato di emergenza con la conseguente carcerazione di migliaia di persone.

Dalla nascita nel 1985, Grup Yorum ha sempre garantito il proprio sostegno (e la sua presenza) sia alle lotte della popolazione turca che a quelle internazionali per la giustizia e la libertà, coniugando sapientemente la vena di protesta con le melodie tradizionali. A conferma del suo spirito internazionalista e del rispetto per tutte le culture, le canzoni vengono eseguite sia in curdo che in arabo e in circasso, sostanzialmente in tutte le lingue parlate in Anatolia.

Presente nelle manifestazioni contro il regime turco di studenti, operai, minatori, contadini, sempre a fianco dei popoli oppressi – di tutti i popoli oppressi – i membri di Grup Yorum hanno subìto, oltre alla (scontata) censura anche repressione, galera e tortura per un totale di oltre 400 – quattrocento! – processi. E ricordo che stiamo parlando di un gruppo musicale.

Tuttavia Grup Yorum continua a esistere, a lottare in quanto «strumento della coscienza collettiva» di oppressi, sfruttati, umiliati e offesi. Voce della Resistenza e della speranza. Voce di coloro che continuano a rialzare la testa, nonostante tutto.

Il gruppo ha al suo attivo 25 album di cui sono stati venduti oltre due milioni di esemplari. Attualmente i loro concerti (che hanno visto ripetutamente riempire gli stadi con centinaia di migliaia di persone) sono vietati oltre che – ovviamente – in Turchia, anche in Germania.

Recentemente il ministero dell’Interno turco ha invitato a denunciare (in cambio di cospicue somme di denaro, una sorta di taglia) le persone inserite in cinque liste di presunti “terroristi ricercati” avviando una caccia al dissidente anche sul suolo europeo. Nella lista sono inseriti 6 musicisti di Grup Yorum. Inoltre il centro culturale di Idil, a Istanbul, ha subìto diverse perquisizioni con distruzione dei loro strumenti musicali (oltre che seri danneggiamenti ai locali)

Come hanno scritto i militanti della sinistra turca: «Non è distruggendo uno strumento che potrete far tacere la voce di un popolo». O come scrivevano i Repubblicani irlandesi sui muri di Derry e Belfast negli anni settanta-ottanta: «Potere mettere in galera i rivoluzionari, ma non potrete incarcerare la Rivoluzione».

Redazione
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2 commenti

  • Gianni Sartori

    “Pulizia etnica” e “genocidio”. Ad Afrin, città della Siria nord-occidentale conquistata oggi dalle forze turche e dai ribelli dell’Esercito siriano libero (Fsa, gruppo che si oppone al governo di Damasco col sostegno di Ankara) quello che sta accadendo è di una gravità assoluta. Othman Sheikh Issa, funzionario delle milizie curde dell’Unità di protezione dei popoli (Ypg) della città di Afrin, citato dall’agenzia di stampa curda “Rudaw” usa parole molto chiare. “Il nostro popolo negli ultimi 58 giorni ha mostrato una tenace resistenza contro il secondo esercito più potente della Nato. Abbiamo lavorato duramente per aiutare a trasferire i civili dalla città di Afrin ed evitare una catastrofe umanitaria”, ha detto Sheikh Issa. “Da ora in poi utilizzeremo una nuova tattica per proteggere i civili. Le nostre forze sono ovunque nelle aree di Afrin e prenderanno di mira le postazioni del nemico”, ha detto l’esponente curdo.
    L’annuncio di Erdogan della presa del centro di Afrin, secondo Sheikh Issa, non significa necessariamente che la Turchia abbia vinto. “Le nostre forze dappertutto ad Afrin e diventeranno il loro incubo. La resistenza continuerà finché non avremo liberato ogni area e il popolo sarà tornato nelle loro case”, ha aggiunto Sheikh Issa. “Chiediamo all’Onu e al Consiglio di sicurezza di rompere il loro silenzio e di esercitare pressioni sulla Turchia per fermare questo genocidio e aiutare a riportare il popolo di Afrin nelle loro case. Molti civili che erano tornati nei loro villaggi sono stati uccisi dalle forze turche e dai loro alleati siriani”, ha affermato l’esponente delle Ypg. “Fino ad ora, 500 civili tra cui donne e bambini, anziani e giovani sono stati uccisi dal fuoco d’artiglieria e dai raid aerei; i feriti sono più di 1.000. Il loro sangue sarà versato invano. La resistenza è la nostra unica strada”.

    Che il ritiro curdo da Afrin non significa che la guerra sia finita lo conferma anche Salih Muslim, l’ex co-presidente del Partito dell’Unione Democratica (Pyd), il principale partito al governo nella regione curda siriana del Rojava. “La lotta continuerà e il popolo curdo continuerà a difendersi”, ha scritto oggi Muslim su Twtter. L’esponente curdo era stato arrestato a Praga, in Repubblica Ceca, nel mese di febbraio su richiesta della Turchia, per poi essere rilasciato con la condizione di collaborare con possibili procedimenti di estradizione. Il politico, accusato in Turchia di sostegno al terrorismo, ha promesso di collaborare e di rimanere all’interno dell’Unione europea. Le autorità turche sostengono che il Pyd sia legato al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica da Turchia, Stati Uniti, e Unione Europea. Il Pyd, da parte sua, nega queste accuse.

    Più di 1.500 combattenti curdi sono stati uccisi nell’operazione militare “Ramo d’ulivo” lanciata da Ankara il 20 gennaio scorso per liberare l’area di Afrin dalle milizie curde Ypg. Il conteggio arriva dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione non governativa con sede a Londra. “La maggior parte di loro è stata uccisa in attacchi aerei e fuoco d’artiglieria”, aggiunge l’Osservatorio. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato oggi che l’Esercito siriano libero ha assunto il controllo “totale” della roccaforte curda nel nord-ovest della Siria. Attualmente, ha aggiunto il capo dello Stato turco, sono in corso le operazioni per disinnescare gli ordigni esplosivi improvvisate e le mine. “Ora la bandiera turca sventola laggiù. Ora la bandiera dell’Esercito siriano libero sventola laggiù”, ha detto Erdogan, intervenendo a una cerimonia per commemorare la battaglia dei Dardanelli della Prima guerra mondiale.
    QUESTO TESTO è stato ripreso dal sito: “Contro la crisi l’informazione di nostra in rete”

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