Guatemala: c’è bisogno di un nuovo Jacobo Arbenz

di David Lifodi

Nell’agosto 2012, un centinaio di famiglie dell’asentamiento Jacobo Arbenz della zona 5 di Città del Guatemala fu sgomberato con violenza dalla polizia. L’insediamento portava il nome del presidente guatemalteco, simbolo (per la verità un po’ appassito) degli ideali di giustizia sociale a cui aspirano i guatemaltechi, sebbene il paese sia in mano ad una banda di personaggi interessati solo a vendere al miglior offerente le ricchezze del paese. I diritti delle comunità indigene e contadine, in questo caso, non sono nemmeno presi in considerazione.

L’edizione di giugno di Le Monde Diplomatique ha dedicato una pagina all’unico presidente che fece intravedere la primavera al Guatemala quando salì al potere, nel 1951. La presidenza di Arbenz, stroncata dalla Cia con un colpo di stato nel 1954 e l’indispensabile assenso della multinazionale United Fruit, fu l’ultimo periodo di quei dieci anni che sembrarono poter cambiare la storia del paese centroamericano, quando un gruppo di giovani ufficiali guatemaltechi mise fine ad una delle innumerevoli dittature che avevano insanguinato il Guatemala. Era il 20 ottobre 1944. Prima di Jacobo Arbenz, la presidenza di Juan José Arévalo abolì la servitù (allora regolamentata per legge) e, nel 1949, creò l’Istituto di sicurezza sociale che assicurava cure gratuite per tutti. Oggi, quel Guatemala sembra un sogno lontano e irrealizzabile. Lo scorso 13 maggio, grazie al voto di 87 deputati sui 111 che compongono il Congresso guatemalteco, è stata approvata una risoluzione che nega il genocidio consumatosi per almeno tre decenni ai danni della comunità maya, dei campesinos e delle organizzazioni sociali e sindacali. Il presidente Otto Pérez Molina e i suoi più stretti alleati garantiscono che questa risoluzione è stata varata nell’interesse dei guatemaltechi: dicono che fa parte del processo di riconciliazione di un paese esausto per il conflicto armado protrattosi fino al 1996. La pacificazione nazionale, denominata con enfasi reconciliación sin mirar al pasado, mira anche a disinnescare il cosiddetto juicio del siglo, il processo all’ultraottantenne Ríos Montt, responsabile dell’operazione “terra bruciata” all’inizio degli anni Ottanta, quando era presidente del paese e lo governava con il pugno di ferro. La condanna di Montt, annullata solo dieci giorni dopo dalla Corte Costituzionale, che lo scorso febbraio ha concesso al sanguinario dittatore gli arresti domiciliari, potrebbe trasformarsi in un nulla di fatto. Il processo a suo carico riprenderà solo il 5 gennaio 2015, con buona pace dei 1771 assassinati e di cui proprio Montt  risulta essere, nel migliore dei casi, il mandante morale. Del resto non è un caso che i deputati responsabili del voto che cancella il genocidio maya appartengano al Partido Patriota (quello del presidente Molina, all’epoca dei fatti tra i militari responsabili della repressione) e al Partido Republicano Institucional (Pri), l’ex Frente Republicano Guatemalteco fondato dallo stesso Montt e che ha cambiato nome per dare una minima e ingannevole parvenza di partito democratico. L’opera di rimozione della memoria del genocidio maya non è l’unica in corso di svolgimento. L’inviato di Le Monde Diplomatique Mikaël Faujour ha scritto: “Teoricamente, i giovani guatemaltechi scoprono Arbenz al terzo e soprattutto quarto anno della scuola primaria. Lo studio viene approfondito nel primo anno di secondaria. La consultazione di diversi manuali scolastici rivela un modo onesto e sovente abbastanza completo di trattare l’argomento. Il problema è che questi testi non hanno nulla di ufficiale, perché non esiste un manuale comune per tutti gli allievi della Repubblica. Nella maggior parte dei casi, essi non ne hanno uno personale”. La rimozione a livello storico viene completata con delle vere e proprie aggressioni negli insediamenti indigeni e contadini. Ha colto di sorpresa tutti, compreso lo stato, la resistenza tutta al femminile nei confronti dell’impresa statunitense Kappes, Cassiday & Associates (Kca), a cui il governo ha concesso l’autorizzazione a svolgere esplorazioni minerarie nell’ambito del megaprogetto estrattivo El Tambor. Il saccheggio del territorio e l’espulsione delle comunità dai luoghi dove hanno sempre vissuto è tipica del conflicto armado, che causò inoltre il fenomeno di desplazamiento dei maya. Negli ultimi anni storie simili si sono ripetute più volte. Il 1 maggio 2012 tre esponenti della comunità di Santa Cruz Barillas, in lotta per scongiurare la costruzione della diga Canbalam, subirono un’imboscata dalle guardie armate dell’impresa Hidro Santa Cruz: il saldo fu di un morto e due feriti gravi, oltre all’imposizione dello stato d’assedio per un mese. Da allora tutta la zona nord del dipartimento di Huehuetenango è sotto assedio militare per permettere alle multinazionali di condurre a buon fine i propri progetti idroelettrici. Il 4 ottobre 2012 toccò invece al dipartimento di Totonicapán subire una vera e propria incursione dell’esercito, che sparò ad altezza uomo contro centinaia di indigeni maya che avevano occupato un tratto della Carretera Interamericana per protestare contro l’aumento della tariffa del servizio di energia elettrica.

Dal colpo di stato della Cia del 1954 gli Stati Uniti non sono più intervenuti direttamente nel paese a livello , militare ma lo hanno ridotto in macerie, prima appoggiando dittatori come Montt in chiave anti-guerriglia (grazie anche agli insegnamenti della famigerata Scuola delle Americhe ai militari centro e sudamericani), e poi, ai giorni nostri, lasciando in balia di se stesso un paese che vive quotidianamente soprusi di ogni tipo ad opera di un’oligarchia locale difficile da cacciare dal Guatemala e ben salda al proprio posto. Tutto ciò in attesa di un nuovo Jacobo Arbenz che salvi questo paese dal baratro in cui si trova.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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