Guatemala: la multinazionale Hidro Santa Cruz lascia il paese

di David Lifodi

 

Finalmente se ne è andata! Hidro Santa Cruz, la filiale della spagnola Hidralia Energía che ha fatto di tutto pur di costruire la centrale idroelettrica Canbalam sulle rive dell’omonimo fiume nel dipartimento di Huehuetenango, in Guatemala, ha scelto di abbandonare il paese. La ritirata, ufficialmente, è dovuta alla mancanza di passi in avanti della mega opera, all’abbandono del progetto da parte del governo e ai debiti dei soggetti finanziatori della diga, ma è anche grazie alla coraggiosa opposizione delle comunità indigene e contadine che la multinazionale è stata costretta a fare le valigie.

L’abbandono del progetto da parte di Hidro Santa Cruz non rappresenta soltanto la sconfitta di un modello imprenditoriale neoliberista fondato sul disprezzo della popolazione, ma anche di un modello politico, quello guatemalteco, che pure continua a prosperare prima tramite Otto Pérez Molina (l’ex generale divenuto presidente, costretto in seguito a dimettersi assieme alla sua vice Roxana Baldetti per corruzione), e poi attraverso l’attuale capo di stato Jimmy Morales. Tuttavia, se i padroni spagnoli di Hidro Santa Cruz continuano a rimanere nel paese nella speranza di implementare altre grandi opere o nuove commesse, la resistenza delle comunità ha svolto un ruolo di primo piano, sfidando coraggiosamente stato d’assedio e militarizzazione del territorio in tempo di pace. Quando le guardie armate al servizio di Hidro Santa Cruz fecero ingresso nelle comunità uccidendo il leader della protesta Andrés Francisco Miguel, e ferendo gravemente due suoi compagni, i movimenti sociali di tutto il paese si riunirono sotto lo slogan Todos somos Barillas. Era il 1 maggio 2012. Le comunità sotto tiro, in particolare quelle di San Carlos, El Recreo e Santa Rosa, furono decimate da arresti sommari e i detenuti subirono abusi e maltrattamenti di ogni tipo in carceri dove non potevano difendersi  a causa della scarsa conoscenza dello spagnolo. Incursioni, saccheggi e sgomberi forzati rappresentarono la strategia utilizzata dal governo e da Hidro Santa Cruz per stroncare sul nascere la resistenza delle popolazioni che abitavano sulle rive del fiume Canbalam. Oggi l’impresa è stata costretta a riconoscere che una parte respetable della popolazione non vuole la costruzione di una centrale idroelettrica. Ci sono voluti quattro anni e, nel frattempo, la gente di Santa Cruz Barillas ha dovuto battagliare contro altre dighe, senza che nessun funzionario del governo si presentasse per prendere atto delle consultas comunitarias che si opponevano a grande maggioranza alla costruzione di nuove dighe. Le comunità indigene hanno affrontato il razzismo di stato, che indicava in agenti esterni i responsabili delle mobilitazioni contro la costruzione delle dighe, ma alla fine  hanno vinto. Non si tratta di un risultato di poco conto in un paese dove alcuni anni fa, solo al Ministero dell’energia e delle miniere, erano state registrate ben 86 licenze di esplorazione mineraria e quasi seicento erano in attesa di ricevere un’autorizzazione pressoché certa.

Presentata come progetto modello e orientata, in teoria, al bene comune, la diga sul fiume Canbalam era un pretesto per mettere sotto attacco, una volta di più, quelle comunità indigene e contadine un tempo definite “terroriste” perché si opponevano ai regimi militari degli anni ’80 (responsabili del genocidio maya e dell’operazione “terra bruciata”) e oggi accusate di essere colluse con il narcotraffico da governi senza scrupoli che non tolleravano le battaglie delle comunità in difesa della terra e dei beni comuni. Lo scarno comunicato stampa di Hidro Santa Cruz, che finalmente ammette di aver preso in considerazione l’impatto sociale della diga sulle popolazioni, non permette però di celebrare la resa incondizionata dell’impresa. La criminalizzazione dello Stato nei confronti dei movimenti sociali è ben lontana dall’essere terminata e per il timido dietrofront di una multinazionale ce ne sono molte altre pronte a prendere il suo posto. Inoltre, Hidro Santa Cruz ha valutato che l’abbandono del paese sia stata semplicemente la cosa più conveniente da fare in questo momento poiché sarà più difficile indagare sulle strutture criminali che si nascondevano dietro all’impresa e solleva i proprietari spagnoli dall’obbligo di presentarsi di fronte alla giustizia per rendere conto delle loro malefatte. Ad esempio, la multinazionale non ha fatto alcun riferimento, nel suo comunicato, alle preoccupazioni delle comunità sull’inquinamento dell’acqua , sull’alterazione dell’ambiente circostante e nemmeno alle popolazioni del luogo costrette ad emigrare altrove a causa dei lavori di costruzione della diga. Non solo. Pochi anni fa Hidro Santa Cruz sosteneva di “essere vittima di un’informazione manipolata che presenta la lotta contro la centrale idroelettrica come un conflitto sociale: in realtà sono solo tre le comunità in resistenza, un gruppo di criminali manipolati dal Frente Nacional de Lucha, dal Sindicato de Trabajadores de SAlud e dall’Asamblea Departemental di Huehuetenango”, non esprimendo alcun rincrescimento per i feriti, le loro famiglie e i desplazados.

In definitiva, la sistematica aggressione delle multinazionali (spalleggiate dal governo) nei confronti della popolazione purtroppo non si ferma, ma l’abbandono del paese da parte di Hidro Santa Cruz (sebbene esista la possibilità che l’impresa possa ritornare o decidere di vendere il progetto ad un’altra multinazionale) rappresenta comunque una buona notizia.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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