Guatemala: l’incendio di El Hogar Sicuro è un femminicidio di Stato

La morte delle 42 giovani bruciate nel rogo si deve alla totale assenza delle politiche statali per i minori. Tutti erano a conoscenza dell’estremo degrado e delle violenze all’interno della casa-famiglia

di David Lifodi (*)

Lo scorso 8 marzo un incendio divampato nella casa-famiglia El Hogar Sicuro Virgen de la Asunción, nel municipio guatemalteco di San José Pinula, nei dintorni di Città del Guatemala, ha provocato la morte di 42 giovani donne. Il fatto ha sollevato, una volta di più, il dramma di un’infanzia spesso sottoposta ad abusi di ogni tipo in uno dei paesi più poveri dell’America centrale. La colpa non può che essere di uno Stato assente e mai realmente impegnato per assicurare un futuro alla gioventù guatemalteca. Soprattutto durante la presidenza di Otto Pérez Molina, ma anche adesso che la guida del paese è nelle mani dell’ex comico Jimmy Morales (sostenuto dai militari e dall’estrema destra), si ripetono le tristi operazioni di limpieza social, eredità della guerra sporca protrattasi per oltre trenta anni contro gli indigeni maya ed ora messe in atto contro i giovani provenienti dall’estrema periferia di Città del Guatemala.

El Hogar Sicuro, a dispetto del nome, era un luogo tutt’altro che sicuro. Definito un lugar para los olvidados, abitato da bimbi nati lì figli di madri anch’esse adolescenti e nella maggior parte dei casi violentate, da giovani reclutati dalle pandillas e in cui le ragazze sottoposte a violenze erano costrette ad affidare i neonati ai loro carnefici, El Hogar Sicuro era una vera e propria prigione. Gerard Lutte, fondatore del Movimiento Jovenes de la Calle (Mojoca) a Città del Guatemala, attivo nei movimenti di base degli anni ’60-’70 nelle baraccopoli romane e docente universitario, in una recente intervista rilasciata al quotidiano il manifesto ha dichiarato: “I giovani venivano mandati lì da genitori senza risorse, oppure da giudici perché con precdenti penali. Avrebbero avuto bisogno di rispetto, attenzione, tenerezza, educazione professionale, sostegno psicologico. Il governo ha costruito una struttura per cinquecento minorenni che però ne conteneva oltre 700 in condizioni subumane”.

La miccia si accesa il 7 marzo quando, a seguito di una rivolta di un gruppo di giovani che avevano subito più volte abusi, il personale ha aperto le porte della struttura lasciandole libere di andarsene. Quando il presidente Morales in persona ha dato ordine di riprendere i fuggitivi, la polizia è accorsa per riportare ragazzi e ragazzi all’interno della struttura. In gran parte ripresi, maltrattati e chiusi a chiave in due diverse stanze, i giovani all’alba dell’8 marzo hanno dato vita ad una nuova ribellione: un materasso incendiato da alcune giovani ha provocato l’incendio. Le organizzazioni popolari guatemalteche hanno parlato di 42 femminicidi simultanei indicando subito lo Stato come il principale responsabile della tragedia e denunciando che i pompieri sono stati chiamati almeno trenta minuti dopo il propagarsi dell’incendio. Questo episodio, che sotto certi aspetti ricorda la morte delle 123 operaie tessili (e di 23 uomini) avvenuto il 25 marzo 1911 nella fabbrica Triangle di New York, non ha smosso la politica guatemalteca. Morales si è limitato a decretare tre giorni di lutto nazionale, ma non si è recato sul luogo della tragedia e, soprattutto, si è guardato bene dal chiedere scusa in qualità di presidente del paese o dal cambiare rotta a proposito del rispetto dei diritti dell’infanzia, nonostante la Secretaria de Bienestar Social (ancora una volta, un nome che è una contraddizione in termini) sia alle sue dirette dipendenze. Non solo. Fin dall’epoca del presidente Pérez Molina, uno dei generali che più ha dato impulso allo sterminio dei maya durante gli anni del conflitto armato, tanto da guadagnarsi l’inquietante soprannome di “Mano Dura”, si erano accumulate le denunce a proposito della situazione di estremo degrado della casa-famiglia El Hogar Sicuro. A questo proposito, una delle poche sopravvissute al rogo, ha denunciato che all’interno di El Hogar Sicuro tutti sapevano che la casa-famiglia era divisa in veri e propri settori, da quello dei pandilleros a quello dei migranti, passando per quelli delle prostitute e delle adolescenti sottoposte ad abusi sessuali.

“La morte delle 42 giovani donne non è un semplice incidente, si tratta di un vero e proprio omicidio di stato”, ha sottolineato l’artista guatemalteca Alba Marina Escalón. Solo una settimana prima, di fronte alla costa guatemalteca, era arrivata la barca delle Women on Waves, organizzazione internazionale che si batte per garantire l’aborto sicuro alle donne, vittime in Guatemala di una vera e propria criminalizzazione a livello statale. L’imbarcazione è stata costretta ad andarsene a seguito delle minacce dell’esercito guatemalteco. Non solo non esiste alcuna politica specifica del governo per i minori, ma le istituzioni addirittura le disprezzano. Ad esempio, il delegato al Benessere sociale del governo Morales ha sostenuto che le ragazze si sono ribellate perché il cibo della casa-famiglia non era di loro gradimento.

Seguirán vivas es nuestra revolta, hanno gridato i movimenti sociali guatemaltechi, scesi in piazza per denunciare quanto accaduto e ricordare che le giovani si sono ribellate proprio perché erano a conoscenza dei loro diritti, con buona pace di Jimmy Morales e dell’oligarchia guatemalteca.

(*) tratto da Peacelink – 27 marzo 2017

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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