Guernica: 1937, 2003 e 2013 (ma anche 1925)

Una storia basca, modenese, marocchina, universale: raccontata dal solito db con l’aiuto di alcuni guernicari e di Sven Lindqvist

Se si dice Guernica il pensiero va prima al quadro di Pablo Picasso e solo dopo alla città basca che venne distrutta, il 26 aprile 1937, dall’aviazione nazista. Il dipinto rese l’orrore di quel massacro e dovette prendere la via dell’esilio. Tornò in Spagna solo dopo la caduta del dittatore Franco.

Efficace e famosissimo ma forse, dopo tanti anni, innocuo come molte opere d’arte alle quali si fa – un errore inevitabile? – l’abitudine.

Non fu di questo parere Colin Powell, allora segretario di Stato degli Usa, che il 5 febbraio 2003 chiese che il quadro «Guernica» fosse coperto. Infatti davanti alla sala

del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a New York, c’è un grande arazzo che riproduce il quadro di Picasso. Ed è lì che spesso si fanno le conferenze stampa. Ma quando Colin Powell doveva raccontare ai giornalisti le ragioni della guerra (aerea, anch’essa) «umanitaria» pensò che non fosse bene avere quello sfondo e lo fece sparire sotto un drappo blu. Penosa la spiegazione di Fred Eckard, il portavoce dell’Onu: il quadro fu coperto perché «il misto di bianchi, neri e grigi dell’arazzo produceva un effetto di confusione visiva». Guarda caso si notò la «confusione» cromatica solo per Colin Powell che spiegava le ragioni di una guerra “per la pace”; ricordate? “siamo lì per i diritti umani, non per il petrolio” e “abbiamo le prove contro Saddam Hussein”… Per ammettere anni dopo che la “pistola fumante” era la solita bugia.

Naturalmente i grandi (supposti) media in Italia erano “distratti” e non si accorsero che la memoria di Guernica faceva ancora paura, almeno a chi voleva bombardare fingendo di non farlo.

Un altro salto nel tempo e nello spazio. Da qualche anno una piccola Guernica si aggira per Modena e fa paura a qualcuno. Proviamo a raccontare questa piccola storia dei giorni nostri.

Tutto inizia tre anni fa. Due collettivi (il Cam, Collettivo autonomo modenese, e il Cas, Collettivo autonomo studentesco) decidono di unirsi per lavorare insieme. Fra i loro obiettivi c’è il recupero di aree degradate. Come molte altre città, anche Modena è piena di aree dismesse: inutili, sporche e qualche volta pericolose per la sicurezza. Tanti dicono che sarebbe bello recuperarle e farne giardini o centri polivalenti. A dirlo sono in tanti ma poi tutto resta fermo. Così i due collettivi decidono di iniziare una ricognizione sul territorio e vedere cosa si potrebbe recuperare e, d’intesa con chi abita lì intorno, come utilizzarlo.

A fine novembre 2009 nasce la prima occupazione che si chiamerà Guernica: viene occupata (o recuperata, è questione di punti di vista) una ex concessionaria della Ford nel quartiere Madonnina Quattroville, prima periferia modenese. I giovani (e non solo) della zona sono molto interessati: se lì c’è sempre gente è un modo di bloccare il degrado. Si apre una trattativa con la proprietà, si parla di un “comodato d’uso”.

Far rivivere un luogo abbandonato garantisce socialità ma anche sicurezza: sembra evidente ma… c’è chi pensa che Guernica debba essere spazzata via: non dai bombardamenti ma da un semplice sgombero. E’ il quotidiano «Il resto del Carlino»: coerente con la sua storia (ha appoggiato prima Mussolini, poi tutti i reazionari venuti dopo) finge di credere che i centri sociali siano terroristi o peggio.

Quando poi si sparge la voce che i “guernicari” vogliono attaccare la luce, qualcuno (forse la questura) tira le orecchie a Hera, la municipalizzata dei servizi.

La campagna contro Guernica funziona: dopo un mese e mezzo arriva lo sgombero: adesso le aree degradate possono tornare alla loro solita merda.

Ma i collettivi non si arrendono. Passano pochi mesi e viene trovata un’area (stavolta fuori città) interessante: sempre una ex concessionaria ma Fiat. Si scoprono abusi e bonifiche mai fatte. Lì dentro ci sono anche un po’ di poveracci che trovano rifugio: più che micro-criminali sono le classiche persone che si ritrovano in fondo alla scala sociale e nessuno tende una mano. I “guernicari” provano a ragionare con loro di qualche progetto ma la loro presenza – ingigantita (indovinate da chi?) ad arte – sarà il cavallo di Troia con cui si chiederà l’intervento delle “forze dell’ordine”. O meglio: si faranno pressioni sulla proprietà del luogo perché lo reclami (per poi lasciarlo vuoto, è ovvio). Due mesi circa ed ecco il secondo sgombero contro il Saog: infatti il nome ufficiale dei collettivi adesso è Spazio Antagonista Occupato Guernica (così il loro sito: www.saoguernica.org).

«Decidiamo di tornare subito in città» racconta un guernicaro: dietro la stazione c’è un grosso spazio abbandonato, vicino all’ex torrefazione Molinari. Lo spazio è comunale ma è al centro di un contenzioso fra Coop ed Esselunga (indovinate per farci cosa?). Nuova “inchiesta” fra gli abitanti. Poi – a ottobre 2010 – si occupa: un altro luogo viene restituito a cittadine e cittadini. Di fronte alle minacce di sgombero si organizzano «colazioni di massa» ma… a dicembre il regalo di Natale arriva con i blindati invece che con le renne: sgombero e «decretazione d’urgenza» per distruggere lo stabile. Beh – ecco il buonsenso emergere in qualche discorso – se si interviene urgentemente è per costruire qualcosa; macché, degrado e macerie.

Chi scrive è testimone di una “coincidenza” che forse è utile raccontare un prima persona: quando, nel 1994, iniziai a lavorare per il quotidiano «il manifesto», capitai a Modena per raccontare di una scuola (in disuso) in via Prampolini occupata da un po’ di giovani. Le istituzioni locali finsero di trattare ma sgomberarono subito: “quel luogo serviva” dissero. E infatti – anni dopo – furono spesi anche soldini per “ristrutturarlo”. Evviva. No, perché dopo quasi 19 anni l’ex scuola è ancora inutilizzata.

Torniamo al Sao-g. Dopo il terzo sgombero i “guernicari” modenesi appoggiano due occupazioni simboliche – in stabili che stanno per essere venduti – all’interno della campagna «Prendo casa» che decolla in varie città (Torino e Pisa fra le altre). Queste proteste durano poco (da dicembre ad aprile) ma a qualcosa servono: «c’erano tre famiglie, massacrate dalla crisi» – racconta uno dei protagonisti – «e quei pochi mesi sono serviti a ricostruire un minimo di socialità e di speranza, insomma a ricostruirsi e trovare un minimo del reddito perduto». Da quell’esperienza tre famiglie sono riuscite a tornare nel circuito “normale” di vita e a salvarsi dalla disperazione. Non è poco di questi tempi.

Siamo arrivati a gennaio 2011: l’occupazione dell’ex cinema Nuovo Scala (in pieno centro, vicino al palazzo Europa) per certi versi è la più problematica. C’è un oggettivo problema di rumore eppure la gente della zona solidarizza e non aderisce granché alla campagna che Pd e Lega Nord lanciano contro «gli estremisti». Per 5 mesi Guernica resiste poi arriva lo sgombero.

Duri sulle proprie posizioni i guernicari lanciano la quinta occupazione, in via Zarlati, all’interno dell’ex magazzino delle fonderie. Una riappropriazione che dà continuità al progetto, integrata nel quartiere. Ma anche stavolta parte una serie di attacchi e, a gennaio 2012, si arriva a un’operazione congiunta con lo sgombero e misure cautelari (volgarmente dette “di polizia”) verso una decina di compagni per «i fatti del 28 ottobre» ovvero la contestazione contro Fiamma Tricolore. Vale forse la pena ridire l’ovvio che viene rimosso: visto che il fascismo è fuorilegge, i provvedimenti dovrebbero scattare contro Fiamma Tricolore e gli altri topi di fogna che si mobilitano a ricordare il 28 ottobre (la marcia su Roma o come scrisse Ernesto Rossi «il marcio su Roma») non verso chi li contesta… Ma purtroppo la logica istituzional-poliziesca ignora persino la Costituzione.

Torniamo alla tenaglia repressiva. I guernicari non si scoraggiano e mettono in campo rapporti, iniziative, inchieste sul territorio per arrivare alla sesta occupazione: stavolta a Modena Nord all’interno di uno stabile di proprietà di una coop rossa. Solito scenario: alla riqualificazione si è risposto con uno sgombero che pone sotto sequestro tutto il materiale raccolto con la campagna «dal basso alla Bassa», messa in piedi dal Guernica per sostenere le popolazioni colpite dal terremoto. Siamo sull’orlo della demenza o semplicemente la mano destra delle istituzioni ignora quel che fa la mano sinistra?

Infine l’ultima – per ora – occupazione, in via dei Gavassetti 167, di una azienda che produce “moda giovane”, la Liu Jo. Buffo: quando i giovani si auto-organizzano la vita invece di «comprarla» i venditori di merci vedono rosso: viene sgomberata a metà marzo.

Finisce qua? Macchè.

Mentre raccolgo queste storie i “guernicari” modenesi preparano l’ennesima ricognizione-occupazione-restituzione.

Per fare cosa?

«Quello che sin dall’inizio abbiamo portato avanti» spiegano: «laboratori di fotografia; spazi per il collettivo Hip hop e forse per un collettivo di compagne; cinema popolare; concerti a basso costo; se possibile una palestra, uno sportello informativo sui diritti per il lavoro e la casa e per il futuro anche una scuola d’italiano».

Ma questa piccola Guernica modenese fa paura a chi e perchè?

La storia modenese finisce qui ma propongo un altro salto nel tempo. Uno zig zag tra il futuro e il passato, il 1925. Quando i guernicari occuperanno io andrò lì – anche per sdebitarmi delle storie che mi hanno raccontato – a narrare di un’altra, sconosciuta “Guernica”.

Eccola in queste frasi a seguire, che fanno parte di una lettura scenica (intitolata «Il tranquillo calduccio della paura») che negli ultimi anni ho spesso messo in scena con qualche complice.

«Voi avete sentito nominare Chechaouene? Ecco cosa scrive Sven Lindqvist nel “Secolo delle bombe”, un libro che è un labirinto di paura con 22 ingressi e, almeno in apparenza, nessuna uscita.“A Chechaouene tutti conoscono Guernica… A Guernica nessuno ha mai sentito parlare di Chechaouene. Eppure sono due città gemelle. Due piccole città arrampicate sui monti. L’una a pochi chilometri dalla costa settentrionale della Spagna, l’altra del Marocco. Sono entrambe molto antiche. Ed entrambe luoghi santi: Guernica ospita la quercia sacra del popolo basco, Chechaouene ospita la tomba sacra di Abdessalam Ben Mcich. Entrambe capitali: Guernica per i baschi, Chechaouene per il popolo jibala. Entrambe contavano circa seimila abitanti quando furono distrutte. Guernica fu bombardata nel 1937 e Chechaouene venne distrutta nel 1925”. Furono entrambi bombardamenti crudeli – racconta Lindqvist – ma Guernica ebbe il suo Picasso e per questo ne ricordiamo l’orrore; invece Chechaouene non trovò il suo Picasso… o forse sì, e noi non lo sappiamo. Oppure la ragione di questa dimenticanza è un’altra: a Guernica c’erano europei e in Marocco no. In Africa abitano bestie selvagge. Non hanno storia, non hanno Picasso, non hanno paura o coraggio. O almeno molti la pensano così, qui in Occidente, a due passi da dove siete seduti adesso. Voi no, non la pensate così, vero?… ». Ma quel voi a chi si riferisce? Ai guernicari, ai chi sgombera, a chi ricorda la storia, a chi copre i quadri? Quanto è grande la paura di chi ha il potere e quanto coraggiosi quelli che invece di adagiarsi sul cuscino sfidano la fabbrica degli inganni e sognano una città per vivere e fare anziché per consumare e obbedire?

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