Haiti: alla ricerca della sovranità perduta

Nell’isola occupata militarmente dalla Minustah si sperimentano le tecniche di repressione utilizzate nelle favelas brasiliane

di David Lifodi

Sono trascorsi undici anni dall’occupazione militare di Haiti da parte della Minustah (la missione della cosiddetta “stabilizzazione” imposta dall’Onu): era il 2004 quando, sotto il comando brasiliano, si stabilì nell’isola ufficialmente allo scopo di pacificare, ma rendendosi in realtà responsabile delle peggiori nefandezze.

Violazioni dei diritti umani, violenze sessuali e abusi di ogni tipo hanno contraddistinto la presenza della Minustah ad Haiti e, quel che è peggio, tra i principali responsabili vi sono i militari brasiliani, colpevoli della repressione di un paese fratello dell’America Latina. Le truppe Onu dovrebbero lasciare l’isola nel 2016, ma da tempo si discute su quale sarà il futuro del paese, che gli haitiani si augurano senza Minustah. Tuttavia, gli Stati Uniti, con l’appoggio interessato del Brasile, hanno violato l’autonomia di un paese sovrano e, secondo José Luis Patrola, coordinatore delle attività di sostegno per Haiti in seno a Vía Campesina Brasile e attivista per tre anni in una brigata di solidarietà con la popolazione haitiana, il suo paese svolge un ruolo molto ambiguo nell’ambito di una missione che, con tutta la buona volontà, non può essere definita di pace come invece la propagandano Onu e Planalto. I movimenti sociali haitiani si sono sempre schierati contro la presenza militare della Minustah nel loro paese, ricevendo anche la solidarietà delle organizzazioni popolari latinoamericane. Composta da truppe provenienti da oltre trenta paesi, la Minustah ha finito per trasformare Haiti in una terra di nessuno: gran parte dei paesi aderenti alla missione partecipa solo per soddisfare la pressante richiesta degli Stati Uniti e così tutte le malefatte degli occupanti vengono facilmente silenziate con la complicità dell’Onu. Ad esempio, l’inquinamento di un fiume con il virus del colera ad opera di alcuni militari nepalesi aderenti alla missione è passato pressoché inosservato nonostante siano morte, per questo motivo, migliaia di persone. Inoltre, è emerso un preoccupante parallelismo tra le modalità di azione della Minustah e quelle della polizia militare nelle favelas brasiliane. Alcuni favelados di Maré (Rio de Janeiro), in occasione di un seminario di solidarietà con la popolazione haitiana, hanno denunciato che le truppe brasiliane sperimentano ad Haiti tecniche di repressione poi messe in pratica nelle stesse favelas delle metropoli brasiliane, soprattutto a Rio de Janeiro, dove nel 2016 si svolgeranno i giochi olimpici ed è necessario già da adesso controllare socialmente le proteste, ogni giorno crescenti, contro il grande evento sportivo. Sotto accusa, nelle favelas, è la polizia cosiddetta pacificadora ad utilizzare tecniche di repressione già attuate nei quartieri difficili di Port-au-Prince. Il Brasile si trova al comando della Minustah poiché Lula, presidente del paese nel 2004, voleva ottenere un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e il miglior modo per raggiungere l’obiettivo era quello di accettare il mandato per la stabilizzazione di Haiti. In realtà, il vero motivo della presenza militare della Minustah ad Haiti è di carattere economico, non certo umanitario: agrobusiness, estrazione mineraria e turismo di lusso fanno affari d’oro con l’instabilità politica del paese, al pari di multinazionali quali Halliburton, che approfittano dei bassissimi salari assai diffusi ad Haiti. Sono in molti a pensare che Haiti non sia uno tra i paesi più pericolosi al mondo (soprattutto se paragonata a Colombia, Centroamerica e lo stesso Brasile), per cui è evidente come la presenza militare della Minustah serva solo per garantire gli interessi delle imprese statunitensi, francesi e canadesi. Per governare il paese gli Stati Uniti si sono affidati al Brasile puntando tutto sull’effetto della fratellanza tra i due paesi (uniti anche dalla stessa, travolgente, passione per il calcio), ma per fortuna in tutto il continente latinoamericano l’inganno è stato presto scoperto. E ancora, se all’inizio del 2004 la presenza della Minustah avrebbe potuto anche avere un senso, quello di sgominare le bande armati presenti sull’isola, in seguito le truppe Onu non si sono adoperate per la ricostruzione delle infrastrutture del paese, come dovrebbe avvenire in casi simili, ed è per questo che la campagna per il ritiro dei militari da Haiti ha avuto un certo seguito in tutta l’America Latina. Attualmente Haiti sta vivendo una crisi strutturale dovuta ad un sensibile aumento della povertà negli ultimi dieci anni, frutto in particolare delle politiche neoliberiste, ma generata anche dalla connivenza tra l’ ingombrante presenza internazionale ed una piccola (e corrotta) elite locale.

Haiti uscirà dalla crisi solo se scomparirà un aiuto internazionale che finora si è dimostrato più interessato ad imporre la propria visione del mondo e dell’economia più che  a risolvere i reali problemi di un paese la cui autonomia politica resta limitata.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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