Hawking, Marx, i buchi neri e noi

L’astrofilosofo, al secolo Fabrizio Melodia, nella 125esima puntata di di «Ci manca(va) un Venerdì» si muove fra i geniacci, saltando fra il 2018 e il 1818
“Ricordatevi di guardare le stelle e non i vostri piedi… Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare, e in cui si può riuscire”:  cosi aveva detto Stephen Hawking, uno dei maggiori scienziati e fisici teorici dell’ultimo millennio. Il 14 marzo è andato a farsi un viaggio oltre il buco nero di Cygnus X-1 nel bicentenario della morte di Karl Marx, un altro geniaccio.
Casualità? Meccanica quantistica incomprensibile? Teoria del fato e della necessità? Una semplice coincidenza sincronica calcolabile con la teoria degli orbitali?
“Credo di poter dire con sicurezza che nessuno… comprende la meccanica quantistica” affermò – con molta serietà – Richard Feynman, un noto collega di Hawking. Ogni tanto si fa una scoperta che è troppo grande per le teste umane? Sembrerebbe di sì.
“Non esiste un mondo quantistico. C’è soltanto una descrizione quantistica astratta” aveva rincarato un altro grande fisico, Niels Bohr forse con un moto di stizza.
Come a dire che la meccanica quantistica è un modo astratto di rappresentare la realtà con altri sistemi utili a capirne l’andamento… ma con il rischio di prendere più seriamente il dipinto che la realtà stessa.
Proprio il vecchio Karl Marx ebbe modo di dire: “L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. […] La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi”.  Nella fattispecie, la teoria deve trasformarsi in un fiore vivo: ”la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse” (Marx nella introduzione a “Per la critica della fenomenologia del diritto di Hegel”).
Allora fiori vivi sì e la meccanica quantistica – tanto cara a Stephen Hawking – no?
“Se questi dannati salti quantici dovessero esistere, rimpiangerò di essermi occupato di meccanica quantistica!” avvisò l’altro geniaccio dei quanti, Erwin Schrödinger.
“Riassumendo, allora, il potenziale quantistico è in grado di costituire una connessione non locale [una connessione nell’universo più rapida della luce, in violazione della teoria di Einstein della relatività generale, secondo cui nulla può andare più veloce della luce] dipendendo direttamente dallo stato del tutto, in un modo che non è riducibile a un preassegnato rapporto tra le parti. Non solo determina un’attività organizzata e coordinata di interi insiemi di particelle, ma determina anche quale sottoinsieme relativamente indipendente, nel caso, ci può essere all’interno di un tutto più grande” ha scritto il fisico e filosofo statunitense David Bohm.
Tutto chiaro? Ok, rispiego. State attenti, questa volta, birichini.
“La meccanica quantistica ci costringe a vedere l’universo non come una collezione di oggetti fisici separati, bensì come una complicata rete di relazioni tra le varie parti di un tutto unificato. Questo, peraltro, è anche il tipo di esperienza che i mistici orientali hanno del mondo, e alcuni di essi hanno espresso tale esperienza con parole che sono quasi identiche a quelle usate dai fisici atomici”: così il fisico austriaco Fritjof Capra, sottolineando come misticismo e fisica quantistica potrebbero essere gemelli in eterna lotta danzante fra di loro.
La fisica scade nel misticismo o i mistici sono fisici poco compresi, come lo erano i fisici greci a partire da Talete, Anassimandro, Anassimene, Eraclito, Senofane, Parmenide e Democrito?
Vale ribadire un concetto: ” principio delle cose che sono è l’infinito… donde le cose che sono hanno la generazione, e là hanno anche il dissolvimento secondo la necessità. Infatti esse pagano l’una all’altra la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”; lo affermò Anassimandro in uno dei pochi frammenti pervenutici sulle sue teorie “del tutto”.
I presocratici e i fisici quantistici hanno scoperto l’acqua calda? Sentite il fisico Sheldon Cooper, protagonista immaginario della sit-com “The Big Bang Theory”: ”La fisica quantistica mi manda in estasi. […] È come guardare l’universo senza veli”.
Ci sarebbe da obiettare: ”La fisica dei quanti formula leggi che governano non già gli individui ma le moltitudini. Non sono più le proprietà ma le probabilità a essere oggetto della descrizione. Le leggi formulate non ci dischiudono più il futuro dei sistemi presi in esame. Sono leggi che governano le variazioni delle probabilità nel tempo; leggi relative a grandi aggregati d’individui” riepilogò Albert Einstein alla fine del libro “L’evoluzione delle fisica” (scritto insieme a James Infeld).
Per concludere un saluto a Marx, anche per la sua ultimissa affermazione. Alla collaboratrice domestica che lo esortava in punto di morte a dire le ultime parole cosicchè lei potesse scriverle, Marx rispose ”Vai fuori! Le ultime parole vanno bene per gli sciocchi che non hanno detto abbastanza in vita”.
Così saluto Stephen Hawking. A me piace pensarlo ora sull’Enterprise in compagnia del simpatico androide Data, di Albert Einstein e di sir Isaac Newton che giocano a poker – vedi l’immagine in alto – divertendosi come matti e magari discutendo di alieni. A proposito: “Come si spiega la mancanza di visitatori extraterrestri? È possibile che là, tra le stelle, vi sia una specie progredita che sa che esistiamo, ma ci lascia cuocere nel nostro brodo primitivo. Però è difficile che abbia tanti riguardi verso una forma di vita inferiore: forse noi ci preoccupiamo di quanti insetti o lombrichi schiacciamo sotto i piedi? Una spiegazione più plausibile è che vi siano scarsissime probabilità che la vita si sviluppi su altri pianeti o che, sviluppatasi, diventi intelligente. Poiché ci definiamo intelligenti, anche se forse con motivi poco fondati, noi tentiamo di considerare l’intelligenza una conseguenza inevitabile dell’evoluzione, invece è discutibile che sia così. I batteri se la cavano benissimo senza e ci sopravviveranno se la nostra cosiddetta intelligenza ci indurrà ad autodistruggerci in una guerra nucleare. […] Lo scenario futuro non somiglierà a quello consolante definito da Star Trek, di un universo popolato da molte specie di umanoidi, con una scienza e una tecnologia avanzate ma fondamentalmente statiche. Credo che invece saremo soli e che incrementeremo molto, e molto in fretta, la complessità biologica ed elettronica”. E con questa sua frase – tratta dal libro “L’universo in un guscio di noce” – in controluce vediamo Stephen Hawking allontanarsi sui ponti di Einstein-Rosen…
Qui sotto Mauro Biani ieri su “Il manifesto”.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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