Honduras: giornalisti sotto tiro

ll governo di Juan Orlando Hernández accusa gli operatori dell’informazione non allineati di terrorismo e favorisce la campagna d’odio nei loro confronti.

di David Lifodi

Negli ultimi 17 anni in Honduras sono stati uccisi 75 giornalisti e comunicatori sociali. Secondo il Comisionado Nacional de los Derechos Humanos en Honduras (Conadeh), solo in sei casi la giustizia ha aperto le indagini, a testimonianza che la corruzione, le minacce, il narcotraffico e la politica esercitano un ruolo di primo piano nella battaglia contro gli operatori dell’informazione.

La situazione è peggiorata a seguito del colpo di stato del 2009, ma soprattutto con l’approvazione, nel 2014, della Ley para la Clasificación  de Documentos Públicos Relacionados con la Seguridad y la Defensa Nacional, conosciuta comunemente come Ley de Secretos. Questa legge fa in modo che determinate notizie restino secretate per un certo numero di anni, a partire dalle informazioni ritenute “riservate”, che non possono essere divulgate prima di cinque anni, fino a quelle considerate “segrete” e “ultra segrete”, per le quali questi termini arrivano rispettivamente fino a 15 e 25 anni. Il connubio tra potere politico, imprenditoriale e militare fa il resto, mettendo quindi a forte rischio la vita dei giornalisti, oltre a rendere loro  la vita difficile anche dal punto di vista professionale.

Secondo il Comité por la Libre Expresión (C-Libre) la Ley de Secretos attacca la libertà di espressione e il diritto all’informazione, non a caso il suo fine principale è quello di criminalizzare e mettere in discussione la stessa libertà di stampa. In teoria, i giornalisti avrebbero dalla loro parte una Ley de Protección approvata dal governo nel 2015, ma la sua applicazione è più di facciata che altro e comunque, per dare l’idea dell’aria che tira, soltanto negli ultimi due anni ben 198 operatori dell’informazione hanno chiesto di far parte del sistema di protezione previsto dalla legge.

Rieletto poco meno di un anno fa a seguito di votazioni fortemente contestate, Juan Orlando Hernández ha scatenato una vera e propria campagna contro la libertà d’informazione (e non solo), come denunciato dal Colegio de Periodistas de Honduras. Fu proprio a seguito delle elezioni  che lo sfidante di Juan Orlando Hernández, Salvador Nasralla, lo accusò di aver pagato i giornalisti della stampa allineata affinché non coprissero la frode elettorale. Più volte, il presidente del Colegio, Dagoberto Rodríguez, ha ricevuto numerose denunce da parte di giornalisti sottoposti ad aggressioni e minacce, anche a causa di pesanti attacchi condotti dai siti web e dalle reti sociali filogovernative. Inoltre, ha spiegato Rodríguez, le fotografie dei giornalisti minacciati sono state pubblicate sui social network con precise indicazioni su dove risiedono e lavorano.

A migliorare la situazione non contribuisce certo l’articolo 335 del Codice penale, ribattezzato Ley Mordaza, che condanna al carcere i giornalisti e tutti coloro che fanno propaganda ad un non meglio specificato “terrorismo” tramite i mezzi di comunicazione, i social network o le manifestazioni di piazza. È superfluo dire che il governo considera “terrorismo” l’espressione di ogni tipo di protesta o le pubbliche opinioni contrarie a Juan Orlando Hernández. Ad esempio, sono considerati “terroristi” a prescindere, e accomunati ai pandilleros, tutti coloro che partecipano a cortei di protesta, senza alcuna distinzione.

Infine, a farla da padrona, è la totale impunità di cui godono coloro che minacciano i giornalisti, come segnala anche la Misión de Apoyo de lucha contra la Corrupción e Impunidad en Honduras, peraltro organismo di quell’ambigua Organizzazione degli stati americani (Osa) che si dice preoccupata per la libertà di stampa sotto attacco nel paese, ma non ha mosso un dito quando il 28 giugno 2009 ci fu il colpo di stato che rovesciò Zelaya. Nel frattempo, a inizio 2019, il Codice penale inasprirà ulteriormente le pene contro i giornalisti se saranno approvate, come sembra, nell’ambito di una serie ulteriore di misure che criminalizzano la protesta sociale. Viene da chiedersi dove sono tutti coloro parlano di assenza della democrazia in Venezuela, ma non spendono una parola sull’Honduras.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *