Honduras: l’illegalità delle città modello

di David Lifodi

Le Zonas Especiales de Desarrollo Económico (Zedes), conosciute più familiarmente sotto il nome di città modello, rappresentano una delle peggiori eredità lasciate in Honduras dal colpo di stato del 28 giugno 2009 che rovesciò Manuel Zelaya. Da quando è stato eletto,  l’attuale presidente Juan Orlando Hernández ha deciso di scommettere sulla creazione delle ciudades modelo in tutto il paese per favorire, come al solito, le imprese straniere.

L’Organización Fraternal Negra de Honduras (Ofraneh) ha più volte denunciato il governo per le sue responsabilità: l’edificazione delle città modello, infatti, sta avvenendo senza che sia stata realizzata alcuna consultazione delle comunità indigene, sebbene l’Honduras abbia ratificato la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni approvata dalle Nazioni Unite. In particolare, sono le comunità garífunas quelle maggiormente danneggiate dalle città modello. Già nel 2014, una marcia indigena di protesta contro la costruzione di una Zede a Puerto Castilla fu attaccata  da militari e polizia a suon di lacrimogeni. Attualmente questa zona rischia di trasformarsi in una città modello a scopi turistici: è per questo motivo che le imprese straniere hanno deciso di investire nell’intera Bahía del Trujillo chiedendo al governo lo sgombero delle comunità indigene garífunas. Questo territorio in realtà apparteneva ai garífunas fin dal 1889, quando fu il generale Luis Bográn a concederglielo. Fu nel 1977 che le comunità indigene furono cacciate dalle loro terre da parte dell’Empresa Nacional Portuaria (Enp), che se ne impadronì sfruttando il sostegno del generale Alvarez Martinez, il quale, pistola alla mano, obbligò i garífunas a sloggiare. Nel 1996  l’Enp decise di vendere una parte di quel terreno alla compagnia Intermares, che lo ha gestito fino ad ora in collaborazione con la cooperazione giapponese. Il caso di Puerto Castilla è emblematico di quanto sia pericolosa la nascita delle città modello in tutto il paese. Il progetto delle Zedes, approvato dal Congresso nel 2013 sotto il nome di Redes Especiales de Desarrollo (Red), è stato messo in discussione dai movimenti sociali fin dall’inizio, soprattutto perché, accanto alle Zonas Especiales de Desarrollo Económico, il governo ha affiancato la Comisión de Alianza Público-Privada (Coalianza), incaricata di gestire e amministrare le città modello. Considerate da Ofraneh un attacco frontale alla vita delle comunità indigene ed un favore alle corporations legate ai governi golpisti che si succedono nel paese dal 2009, le Zedes servono anche per dare impulso ai progetti di carattere idroelettrico e minerario, di cui beneficiano, soprattutto, le imprese canadesi. In pratica, le città modello rappresentano un’appendice, in chiave ancor più liberista, dei vari trattati di libero commercio a cui si sottomette il paese fin dagli anni Novanta. In questo contesto, il presidente Juan Orlando Hernández ha pensato di utilizzare le Zedes per militarizzare ancora di più un territorio assai irrequieto dal punto di vista sociale: è stato così che nelle città modello si sono installati piccoli battaglioni di polizia militare, dipinti come difensori del territorio sulla stampa allineata, ma in realtà con la funzione di reprimere il dissenso di contadini e comunità indigene. Le Zedes, spiega Ofraneh, sono vendute all’asta al capitale straniero, con buona pace della sovranità territoriale, e si sono trasformate nel principale cavallo di battaglia del presidente Juan Orlando Hernández. All’inizio dell’estate Joh (così è conosciuto popolarmente il presidente) aveva già programmato di partecipare ad una conferenza a San Francisco dall’emblematico titolo “Interrumpiendo la democrazia: nuevas formas de gobernanza para Honduras”, ma fu costretto a declinare l’invito a causa delle proteste promosse dai movimenti sociali in tutto il paese. Inoltre, proprio in quel periodo, era scoppiato lo scandalo legato alla Comisión de Alianza Público-Privada, denunciata dal Consejo Nacional Anticorrupción per l’assenza di trasparenza e per aver occultato i progetti relativi alle città modello. Non si tratta dell’unico scandalo che ha scosso un paese le cui istituzioni sono svuotate di democrazia e nelle mani del capitale straniero. Durante la visita di Juan Orlando Hernández in Corea e in altri paesi asiatici, avvenuta a fine luglio, il presidente ha cercato di promuovere un trattato di libero commercio tra la Corea e il Centroamerica per favorire l’ingresso in Honduras della multinazionale Daewoo, filiale della corporation metallurgica Posco. Joh però non aveva fatto i conti con le molteplici denunce di corruzione nelle quali si trovava impelagata Posco, i cui dirigenti, presidente compreso, sono in prigione da almeno un anno. Tuttavia, nonostante la credibilità di Posco-Daewoo fosse pari a zero, Juan Orlando Hernández ha deciso di procedere ugualmente con il suo progetto di affidare le Zedes all’impresa coreana, con il supporto dell’agenzia di cooperazione Koika. Non è la prima volta che Posco-Daewoo si trova nella condizione di poter soffiare la terra alle comunità indigene e contadine con l’autorizzazione governativa. Già nel 2009, su indicazione dell’economista Paul Romer, inventore delle città modello, Posco-Daewoo aveva convinto il primo ministro del Madagascar, Marc Ravalomanana, a farsi regalare oltre un milione di ettari di terra. E ancora, in India, nella provincia di Odisha, Posco-Daewoo ha tentato di cacciare dalla propria terra oltre ventimila persone per costruire un mega-impianto siderurgico. Nonostante l’impresa coreana sia tutt’altro che socialmente responsabile e i suoi vertici in carcere o indagati, Juan Orlando Hernández non sembra intenzionato a recedere dal suo progetto, approfittando anche della corruzione imperante in Honduras e di un sistema giudiziario al collasso.

Se l’Honduras diventerà un paradiso fiscale lo sarà grazie all’appoggio della pseudo-cooperazione coreana, ad una classe dirigente interessata solo al proprio guadagno e ad una comunità internazionale che in certi casi quasi plaudì al golpe per evitare il contagio bolivariano (Zelaya si era avvicinato molto all’Alternativa Bolivariana per le Americhe-Alba) ed ora non muove un dito per risollevare un paese in agonia, affossato da imprenditori senza scrupoli e che vive in una sorta di democratura.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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