I Cinque Stelle sulla cometa di Halley

di Piero Bernocchi

«Marce’, dobbiamo sfruttare questa congiunzione astrale… E’ tipo l’allineamento della cometa di Hailey. Hai capito? Cioè, è difficile che si riverifichi così… e allora noi, Marce’, dobbiamo sfruttarla ‘sta cosa, ci rimangono due anni». (NB: la cometa di Halley ha un periodo orbitale di circa 76 anni). Questo il dialogo registrato dagli inquirenti tra l’avvocato Camillo Mezzacapo e Marcello De Vito, l’ex-presidente dell’Assemblea capitolina della catastrofica giunta Raggi: quella che in circa due anni e mezzo è entrata nel Guinness dei primati per il maggior numero, ben 18, di assessori, “bracci destri” o “tutor” della Alice in Wonderland de’ noantri licenziati, dimessisi o arrestati per corruzione, senza che nello stesso periodo la Virginia vedesse, sentisse o notasse alcunché, continuando, come una Rocky Balboa in sedicesimo, ad incassare una scarica interminabile di colpi, sperando di battere per sfinimento l’avversario.

Ricordiamo che Marcello De Vito contese a suo tempo la poltrona di sindaco alla Raggi, come primo esponente della cosiddetta corrente “lombardiana” (il povero Riccardo Lombardi – per i più giovani cfr. Wikipedia – si rivolterà nella tomba per l’accostamento con la Roberta grillina) e che perse la candidatura anche a causa di una serie di dossier che lo screditavano, che sembra siano partiti (tramite Raffaele Marra, il Rasputin della sindaca per un bel po’ di strada) dalla ditta Casaleggio, invaghita del visetto ingenuo-paraculo della Raggi e del suo essere assolutamente digiuna di politica, adatta quindi per farsi scrivere lo spartito su carta bianca. De Vito, poi, provò a vendicarsi dopo le elezioni salutando la vittoria dell’odiata Raggi con l’accogliente battuta “avremmo vinto pure candidando il Gabibbo”.

L’accusa di corruzione riguarda, sia per Mezzacapo (accusato di intermediazione in operazioni corruttive) sia per De Vito, varie operazioni edilizie e finanziarie passate per le mani del Consiglio comunale di Roma; ma ha fatto scalpore e assunto grande visibilità soprattutto per aver plausibilmente contribuito all’incredibile “conversione” nei riguardi dell’erigendo stadio della Roma, prima rigettato come operazione illegittima e impossibile da tutto il Consiglio comunale e poi, incredibilmente e nel giro di pochi giorni, divenuto progetto fattibile, limpido e senza ostacoli. La consigliera ex-Cinque Stelle Cristina Grancio, espulsa dal M5s per aver messo in discussione lo stadio in quella collocazione ambientale, dopo l’arresto di De Vito ha nuovamente raccontato come l’inversione di marcia a 180 gradi partì tramite una convocazione di tutti i consiglieri operata dall’attuale ministro della Giustizia Bonafede che, con un collegamento telefonico in viva voce con Beppe Grillo (che successivamente mandò a Roma un suo protetto, Lanzalone, per guidare la Raggi verso l’approvazione dello stadio, progetto interrotto dall’arresto per corruzione anche di Lanzalone), fece sapere ai consiglieri, del tutto ignari dei dettagli del progetto, che tutto era stato sistemato, che le irregolarità erano state sanate e che dunque dovevano votare all’unanimità per l’approvazione del progetto stesso.

Prescindendo dal merito della liceità o meno dello stadio della Roma nella collocazione proposta, il dialogo con il quale ho aperto questo scritto è la fotografia più nitida ed esplicativa del mondo a 5 Stelle, del comportamento e dello stato d’animo di quel personale politico (o presunto tale) che, per un incredibile miracolo della sorte (oltreché grazie all’abilità del luciferino Casaleggio senior e del Grande Imbonitore Grillo nel turlupinare milioni di persone a colpi di onestà-tà-tà e di promesse mirabolanti) è stato sottratto, con poche decine di voti telematici, allo status di assoluta mediocrità di gente senza arte né parte, senza storia politica, culturale, ideologica ma neanche professionale di una qualche consistenza, e catapultata addirittura al governo e al potere con un’ascesa sociale senza precedenti, né in Italia né altrove. Nelle parole di Mezzocapo c’è l’evidente consapevolezza di tale stato di cose, della massima fragilità dell’attuale collocazione della casta degli anti-casta, della congiunzione astrale che non si ripeterà e che richiede dunque l’acchiappare qui ed ora quel che si può, che siano soldi o posti di potere e collocazioni economiche, statali, parastatali nelle aziende amministrate ecc. che sopravvivano ai destini elettorali ballerini della creatura di proprietà della Casaleggio Associati. Stiamo parlando di gente senza storia, senza passato (e con un incertissimo futuro) politico, senza vere convinzioni che non si possano cambiare in 24 ore, ma comunque consapevole del proprio cialtronesco status al punto da accettare qualsiasi condizione-capestro imponesse e imponga la Casaleggio Associati pur di acchiappare l’attimo fuggente e la grande occasione per uscire dal più totale anonimato. Consapevole di questa assoluta precarietà e instabilità di ruolo, il casting (il termine gregge suona più brutale ma in verità sarebbe più consono) assemblato dalla micidiale coppia Casaleggio-Grillo (con il primo in posizione dominante, sia nella versione senior sia in quella junior, effettivi padroni, nel passato e nel presente, della baracca) dà vita da anni ad una comunità fratricida, che si dilania internamente a furia di colpi bassi, maldicenze, dossier avvelenati, false notizie, delazioni, pettegolezzi ignobili, vendita anche delle persone più care; e con il risultato lampante di un numero di espulsioni che gli altri partiti messi tutti insieme non hanno totalizzato nel corso di tutta la cosiddetta Seconda Repubblica.

E poi c’è la sistematicità del ricatto come arma politica all’interno del partito e all’esterno, anche nei confronti degli alleati di governo: nessun altro partito, nella storia della Repubblica, ne ha fatto un così esteso e onnicomprensivo utilizzo come i Cinque Stelle. All’interno di una filosofia da romanzo orwelliano (cfr. sempre su Wikipedia il famoso “1984”) sul controllo totale, 24 ore su 24 e 365 giorni l’anno, sui propri militanti e parlamentari, sono stati imposti: a) multe fino a 100 mila euro per i parlamentari dissenzienti; b) cumulabili per gli eletti a Roma nel Consiglio comunale fino ad un massimo di 150 mila euro; c) e per i parlamentari europei fino a 250 mila. Al di là del fatto che poi, andando in causa sul serio, queste multe verrebbero comunque vanificate da un Tribunale normale, resta la fotografia di un’organizzazione basata sul ricatto che prevede l’intercettazione continua, anche dei colloqui privati, registrazioni vocali e filmate di qualsiasi rapporto tra eletti 5 Stelle, conservazione di e-mail e di colloqui informali. E non solo all’interno del partito, perché così qualche giorno fa un leghista piuttosto importante si è sfogato con un giornalista amico: «Con loro devi parlare e scrivere sapendo che, nove volte su dieci, ti registrano. Ogni virgola ti si può ritorcere contro». Si assiste insomma a qualcosa di simile alla vita interna di Scientology (sempre Wikipedia, anche alla voce Ron Hubbard) o, per rimanere nel casalingo, a quella dei Testimoni di Geova; o, se vogliamo salire di grado e sempre si parva licet, alla grottesca parodia – certo, molto in piccolo e ovviamente senza analoghe conseguenze tragiche – dello stalinismo storico, laddove nessuno/a si fidava di nessuno/a davvero e quasi sempre si epurava per non essere epurati, ma poi inevitabilmente si passava con il tempo dal ruolo di martellatori a quello di martellati.

Ma tornando allo specifico della vicenda De Vito, il gruppo dirigente dei 5 Stelle ha provato a costruirsi una trincea con la risibile tesi dell’«unica mela marcia» in dieci anni, facendo finta di ignorare la lunga sequela di inquisiti e arrestati che ha costellato la storia a 5 Stelle in un pugno di anni, al punto che tra le gag di questo periodo va molto forte la battuta: “non fanno a tempo ad entrare in un qualsiasi organo elettivo che arrivano i carabinieri”: improponibile tesi spalleggiata però dal manettaro – a senso unico – numero 2 d’Italia, quel Marco Travaglio che ha costruito la sua carriera e le sue fortune giornalistiche sul giustizialismo a modello del forcaiolo numero 1, quel Piercamillo Davigo la cui bussola ideologica e giuridica è da sempre “non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti”: e però ignorando o sorvolando sul lungo elenco di Cinque Stelle con la tessera – o “associati” con incarichi di assoluto rilievo nella gestione dei pochi Comuni conquistati negli ultimi anni – presi, come si dice a Roma, “cor sorcio in bocca”, a partire proprio dalla Capitale e dal primigenio “cerchio magico” della Raggi, composto da Raffaele Marra, Salvatore Romeo e Daniele Frongia, quartetto definito da Bonini su “Repubblica” “il tavolo dei bari tenuto insieme dai ricatti”, quelli che quando dovevano parlare di cose delicate salivano sui tetti del Campidoglio e che hanno spadroneggiato in lungo e largo a Roma prima dell’intervento dei magistrati e dei carabinieri.

Nel frattempo – tra un arresto e un altro, un licenziamento e un altro, un’espulsione e un’altra – l’azienda di Casaleggio-Grillo-Di Maio ha perso disastrosamente tutte le elezioni regionali, provinciali e comunali tenutesi dopo la formazione del governo giallo-nero. L’ultima batosta è arrivata domenica 24 marzo in Basilicata e stavolta i voti si sono più che dimezzati rispetto alle Politiche di marzo, passando dal 44% al 20%. Pure stavolta, spudoratamente, Giggino Di Maio, detto “Ping”, ha parlato di una vittoria, visto che – questa è la tesi farlocca – non si dovrebbero paragonare le elezioni locali con quelle nazionali. Tesi appena appena sostenibile se stessimo parlando di elezioni comunali in qualche centro sperduto di montagna o al massimo di un unico caso di elezione regionale in un luogo segnato da qualche recente avvenimento sfavorevole ai Five Stars. Ma qui abbiamo una sequenza di elezioni regionali e provinciali che coprono circa un terzo del territorio nazionale, dal Friuli Venezia Giulia al Trentino e Alto Adige, dal Molise, all’Abruzzo, dalla Sardegna alla Basilicata, con l’aggiunta di Cagliari (elezioni suppletive) e di altri comuni non trascurabili: zone peraltro quasi tutte tra le più disagiate e a più alta presenza dei sedicenti “redditi di cittadinanza” che avrebbero dovuto portare un bel gruzzolo di voti aggiuntivi alla creatura casa leggio-grillina. E invece…

E invece i voti sono più che dimezzati, ancor più che nei sondaggi nazionali che comunque danno i Cinque Stelle crollati dal 33% elettorale all’attuale 20% e in continuo calo. Crediamo di aver spiegato abbondantemente e in dettaglio i motivi di questa débacle e rimandiamo chi abbia interesse per un approfondimento in materia ai nostri articoli scritti dal giugno 2018 in poi, che si possono trovare nel sito www.pierobernocchi.it. Qui ed ora ci basti sottolineare come anche la leadership a 5 Stelle tenda ad imitare la Virginia Raggi nella sua parallela imitazione del Rocky Balboa che incassava un fracco di botte per quasi tutto il combattimento, aspettando di sfiancare l’avversario per colpirlo all’ultima ripresa. Solo che il personaggio di Sylvester Stallone è immaginario, filmico, mitologico. Nella realtà dei ring veri, 999 volte su 1000 se hai beccato botte per 14 riprese ne prenderai altrettante, o ancor più, nella quindicesima, sempre che non ti abbiano portato fuori dal ring a braccia prima e ricoverato d’urgenza all’ospedale.

25 marzo 2019

 

Redazione
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