I malviventi della Serra: una narrazione con polizia

di Gianluca Ricciato

un estratto del libro L’ultimo anno (*)

 

malviventi della serra

Giugno 1996

Walter, Miky e Checco sono in Salento.

Il primo ha lasciato Bologna ormai definitivamente da mesi e aspetta di capire se il suo futuro prossimo sarà in divisa o meno. Gli altri due sono presi dagli esami di maturità. O meglio lo sarebbero se fossero studenti liceali più responsabili, in realtà approfittano del periodo sabbatico dell’amico già patentato per cazzeggiare in macchina tutto il giorno, tra le prime nuotate della stagione e le continue sortite nelle campagne in pieno rigoglio.

Insieme a loro c’è Filippo, Phil per noi amici, cugino coetaneo di Miky che però ha pensato bene di lasciare le scuole superiori e la casa paterna già da due anni, subito dopo essere stato colto con le mani nel sacco, cioè con l’erba nell’armadio, uno stupendo raccolto di due piante femmine di cannabis indica messe a seccare a testa in giù al buio, da manuale, curate e coccolate durante l’essiccazione con la stessa materna amorevolezza che Phil aveva profuso durante gli otto mesi di crescita nelle terre di famiglia. Era riuscito ad eclissarle tra gli aranci e i limoni per tutti quei mesi, ma non aveva previsto che il padre, noto imprenditore della zona, mentre un giorno impazziva per cercare la giacca blu di velluto – necessaria a suo dire per l’imminente serata di gala organizzata per l’apertura della nuova sede di Alleanza Nazionale a Lecce – proprio quello storico giorno avrebbe malauguratamente ravanato perfino in quel vecchio armadio in disuso in soffitta. La forza della disperazione, in quei casi in cui anche le mogli del Sud alzano le mani in segno di resa. Ma invece di trovare la giacca avrebbe fatto la repellente scoperta. Il suo valore morale e la giustezza della sua identità maschiofascista non avrebbe lasciato spazio a dubbio alcuno, occorreva infliggere pene corporali al figlio, le più dure, non c’erano alternative. Dopo le mazzate, il rapporto tra il Phil sedicenne e il padre finì. Quasi per sempre, esclusi i cerimoniali portati avanti per amore della madre. Phil si arrabatta ora tra lavoretti per reggere l’affitto e le spese della casetta presa da solo in paese ed è sostanzialmente libero.

Ma a giugno il raccolto non è ancora pronto, per cui è costretto ad andare con Walter, Checco e il cugino a rifornirsi nel capoluogo, frequentando oscuri vicoletti bui anche di giorno e trentenni sfregiati poco raccomandabili, che fanno la loro misera fortuna spacciando per strada a tutti la pericolosa sostanza grondante THC.

Fanno fortuna loro ma molto più di loro i boss che li marionettano e gli amici dei boss che spesso sono anche amici degli imprenditori in giacca blu di velluto. Ma Phil, per un residuo senso di amor di razza, preferisce pensare che suo padre sia onesto, sebbene infinitamente stronzo, e si tenga alla larga da questi affari politico-mafiosi.

Questo è quanto, ma intanto questo pomeriggio di giugno dopo tutte queste chiacchiere aspetta ancora di essere colorato dall’erba e i quattro, dopo essersela procurata, tornano in paese e si perdono nelle solite zone di campagna dove si imboscano per fumare, anzi ci imboschiamo, ci sono anche io quando torno lì, ma io nel frattempo sono impegnato a Bologna a costruire il mio futuro nella casa-relitto.

100_2229I quattro malviventi vorrebbero andare al mare con il bottino, ma la transazione risulta essere più lunga del previsto, sicché quando lasciano la città sono già le sei di pomeriggio, ragione per cui optano per le solite campagne note. Si abbarbicano sulla serra, la collinetta tra gli ulivi da cui si vede tutto il paese e dalla quale da tredicenni si tuffavano con le biciclette sprezzanti dei rischi dell’alta velocità. Checco rolla un carciofo, cioè una complessa impalcatura di cartine erba e tabacco, mentre Phil detiene il resto del bottino e gli altri due aspettano sui sedili anteriori.

Di solito è abbastanza sicura la zona, o almeno fino a quel giorno lo era stata, ma per ulteriore zelo queste cose si fanno sempre o dispersi a piedi tra i trulli e gli ulivi oppure più comodamente restando all’interno dell’abitacolo, pronti alla fuga.

Contro tutte le previsioni quel giorno, intorno alle diciannove spunta improvvisa la Uno dei carabinieri a valle della serra, i quali – subito dopo aver rilevato l’autovettura dei malviventi – ingranano la marcia in salita e in pochi secondi sono lì da loro. Phil è abile a disfarsi dell’erba gettandola in un rovo di macchia ispida difficilmente perlustrabile a mani nude, mentre Checco preso dal panico si lascia letteralmente scivolare dalle mani il carciofo ormai pronto per essere acceso.

Giunti al loro cospetto, i pubblici ufficiali li trascinano fuori dall’auto e rinvengono il carciofo. Dopo accurate quanto inutili ispezioni nel territorio circostante, decidono che basta quello come corpo del reato, in mancanza di bottini più grassi. In pochi minuti li conducono in caserma dal maresciallo che li sottopone al primo interrogatorio condito di enfasi moraleggiante:

«Voi non capite cosa state facendo, state buttando la vostra vita, dovreste pensare a studiare, con tutto quello che hanno fatto per voi le vostre famiglie!»

Conoscendo le situazioni e riconoscendo i polli, egli sa bene che si tratta di piccoli borghesi renitenti e non della solita feccia proletaria post-contadina assoldata dalla malavita locale e senza speranza di redenzione.

«La prego maresciallo, pensi se fosse suo figlio in questa condizione» miagola incautamente Miky.

«Come ti permetti! Mio figlio non farebbe mai queste cose!» protesta il maresciallo alzandosi di scatto e facendo rotolare sul pavimento la sedia su cui riposava i suoi centodieci chili.

«E tu» prosegue nei confronti di Walter ricomponendosi, «tu con quella barba, a chi ti ispiri, a Che Guevara?»

«Nossignore, io sono di tutt’altra parte politica!» mente ruffiano mentre i tre accanto faticano a smorzare un urlo di disapprovazione che li comprometterebbe per sempre.

«Marescià, io ho fatto il concorso per l’esercito due mesi fa, sto aspettando la risposta, non mi rovini» non era vero, era già stato scartato a quel concorso e stava aspettando di fare il militare semplice sperando di farla franca per esubero.

«Allora inizia a tagliarti quella barba e smetti di fare queste cazzate!» urla inferocito il militare.

Gli interrogatori proseguono in privato.

Uno alla volta, maresciallo e appuntato procedono all’identificazione e alla stesura dei verbali punitivi.

«Lo sappiamo che la roba è tua» insinua il maresciallo gironzolando intorno a Checco al chiuso della stanza, «gli altri hanno parlato.»

«Bastardi, non è vero, non è vero!» fa per alzarsi, ma viene stoppato subito, finendo rassegnato con le mani nella sua lunga criniera normanna che tanto infastidisce il comandante.

Entra Phil.

«Allora, cognome e nome.»

«Bramante Filippo… madonna chi glie lo dice a mio padre adesso» mormora fingendo di parlare a se stesso.

«Perché chi sarebbe tuo padre?!»

«Vittorio Bramante, il cavaliere del lavoro.»

Questa volta l’ondata di gelo si sposta dai piccoli malviventi agli uomini in divisa. Il maresciallo guarda l’appuntato, che gli domanda:

«Che facciamo marescia’?»

«Stai zitto!» risponde. Quindi si alza e con gesto solenne strappa tutti i verbali, si avvicina a pochi centimetri dall’orecchio destro di Phil e gli ordina:

«Se tu adesso non vai da tuo padre e non gli racconti tutto quello che è successo lo faccio io domattina. Vai via adesso! E stai in campana, tu e quegli altri coglioni degli amici tuoi!»

Quello che successe dopo tra Phil e suo padre potete immaginarlo. Ma questa volta non aveva scelta, o ubbidiva o emigrava a Santo Domingo sul momento e vita natural durante. Ma per lui non era ancora ora di emigrare.

(*) in “bottega” il libro è stato recensito qui:Quando a Bologna succedevano cose

 

Gianluca Ricciato

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