i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane sono in sciopero della fame per la Libertà e la Dignità

due articoli per non dimenticare cosa succede nel buio delle celle israeliane

Quello sciopero che non fa notizia – Patrizia Cecconi

La chiamavano la lady di ferro. Sembrava quasi un complimento e magari ne andava fiera. In realtà era una donna terribile e non averla definita in modo corretto ha fatto sì che non si percepisse il suo essere un’assassina. Parliamo di Margaret Thatcher, premier britannica negli anni Ottanta, la donna che ha fatto grandi danni alla Gran Bretagna distruggendo il welfare a favore del liberismo più sfrenato. La donna-premier che ha ordinato che morissero di fame dopo lunga agonia Bobby Sands e altri nove prigionieri politici nord irlandesi alle cui proteste rispondeva che “i carcerati non rappresentano nessuno e non hanno diritto di essere ascoltati”. La donna che alla sua nomina di Primo Ministro aveva dichiarato “dove regna la disperazione porterò la speranza.” E il mondo delle istituzioni aveva finto di crederle. L’etichetta di “democrazia” ha coperto e copre tuttora le peggiori nefandezze, basti vedere Israele come esempio paradigmatico di questa affermazione.

La Thatcher pensava che la morte dei prigionieri politici sarebbe stata la fine delle rivendicazioni dell’IRA, ma si sbagliava. Così come si sono sbagliati finora tutti gli statisti israeliani, dai vecchi terroristi sanguinari come Begin, poi diventato Primo Ministro di Israele, ai nuovi razzisti come Lieberman o Bennet.

“Sono un prigioniero politico perché sono l’effetto di una guerra perenne che il popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante, non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra” aveva scritto Bobby Sands nei pezzetti di carta igienica che riusciva a far uscire dal carcere, quando aveva iniziato la forma di lotta nonviolenta – che lo avrebbe portato alla morte –  per rivendicare i diritti dei prigionieri politici che lottavano per l’indipendenza della loro terra.

Ma la “lady di ferro” li scherniva, i carcerieri li massacravano e la più antica democrazia d’Europa non perdeva “per così poco” la sua definizione di nazione democratica, grazie a quella complicità mondiale tra i potenti della terra che supera anche le loro stesse rivalità. Le supera quando il nemico non ha altri padrini che la solidarietà umana e politica dei movimenti di piazza.

 

Ora nelle carceri israeliane sono ben 1600 i prigionieri in sciopero della fame. Non fa riflettere questo numero?

No, non solo non fa riflettere, ma non fa neanche notizia se è vero – come è vero – che alla conferenza stampa convocata dall’Ambasciata palestinese a Roma non si è presentato neanche un giornalista. Neanche uno! Non fa notizia ciò che non si vuole dire, né ciò che “non si può” dire. E sappiamo molto bene quanto la stampa mainstream sia addomesticata tra bastone e carota, al punto che piuttosto che mettere a rischio la propria carriera (spesso peraltro misera) molti  giornalisti preferiscono autocensurarsi. Per questo è di fondamentale importanza l’uso dei social, per questo chi ha fatto simbolici digiuni ad acqua e sale e li ha condivisi sul web supplisce alla mancanza dell’informazione mainstream. Per questo è importante la stampa libera online. Poi, quando ormai la notizia sarà comunque arrivata, non potrà più essere ignorata neanche da Tv e quotidiani a libro paga.

Ma fino al momento in cui questo articolo viene redatto, neanche la disgustosa reazione israeliana allo sciopero della fame ha fatto notizia in Italia. Dai giornali israeliani si è appresa la notizia della reazione allo sciopero, ma solo i social media l’hanno rilanciata. E’ stata una reazione di un razzismo e di una ferocia degna della più abietta sub-cultura in stile Ku Klux Klan.  Sappiamo che la feccia di quel tipo è trasversale ad ogni nazione e ad ogni credo, ma il particolare gravissimo per uno Stato che si dice democratico, è che le stesse esternazioni le ha fatte il Ministro della Difesa Avigdor Lieberman, il quale ha tranquillamente affermato, sapendo di avere il favore di gran parte del popolo israeliano, che per lui i prigionieri dovrebbero essere lasciati morire di fame.

Ma siccome la disumanità, unita alla ferocia di chi sa che resterà impunito non ha limiti, sono varie le esternazioni di rappresentanti istituzionali di Israele che hanno raggiunto picchi da denuncia. E’ grave che i media siano rimasti distratti, perché la conoscenza di tali dichiarazioni è fondamentale per capire quale grave rischio stia correndo la cosiddetta democrazia israeliana, visto che non c’è sanzione, ma al contrario plauso per affermazioni quali quella del parlamentare della Knesset Oren Hazan, che dileggia con feroce ironia  le legittime proteste dei prigionieri dicendo che possono morire anche tutti, tanto “le prigioni sono sovraffollate, mentre sulla terra c’è posto per tutti i loro cadaveri”.

Se questo esprimono ministri e parlamentari di uno Stato definito democratico, è naturale che la feccia, compresa probabilmente quella fatta di leggiadre bambine invitate nel 2014 a scrivere insulti sui missili mortali destinati ai loro coetanei a Gaza, aggiunga odio a odio, invocando addirittura l’uso del gas e dei campi di sterminio nei confronti dei palestinesi. Quel “mai più” invocato da Primo Levi ha finito per avere la sua reinterpretazione in un “mai più per noi, popolo eletto”, ma i palestinesi sono un’altra cosa!

 

Ma cosa chiedono i prigionieri politici che stanno mettendo consapevolmente a rischio la propria vita, esattamente come fecero Bobby Sands e gli altri ragazzi irlandesi lasciati morire per decisione della Thatcher? Chiedono ciò che non dovrebbe neanche essere chiesto in uno Stato realmente democratico se, come già affermato oltre due secoli da Voltaire, il grado di civiltà di uno Stato si giudica dalle sue prigioni.

Dunque imporre trattamenti degradanti, rinchiudere centinaia di persone senza capo d’accusa, consentire percosse e torture diverse ai prigionieri, privarli dell’assistenza dei loro avvocati, delle visite dei loro familiari, lasciarli morire di tumore incatenati e senza cure, privarli dei più elementari diritti stabiliti dal Diritto universale e dalle varie normative della legalità internazionale a partire dalle Convenzioni di Ginevra, tutto questo non solo mostra la vera faccia di Israele, ma mette nella giusta luce la nobiltà di una protesta come quella lanciata da Marwan Barghouti, in galera da 15 anni e accolta da quasi 1.600 detenuti, che sanno che forse questa forma di lotta segnerà la fine della loro vita.

Ma la speranza dei detenuti è quella di conquistare la solidarietà di tutte le fazioni palestinesi dentro e fuori le galere israeliane e l’attenzione del mondo. Se il silenzio dei media verrà rotto dai social attivi nel web, forse ce la faranno. Il “Comitato palestinese per i prigionieri” chiede che si faccia pressione su Israele affinché accolga le richieste legittime dei detenuti.

Ma non basta. Israele è paese occupante e questo il mondo democratico non può sottacerlo o tollerarlo. Ne va della democrazia di tutti. Questo lo sanno bene i leader dello sciopero, i quali hanno rilasciato un comunicato in cui chiedono al  popolo palestinese, sia in Palestina che nella diaspora, di scatenare la sua rabbia contro l’occupazione e di bloccare le ambasciate israeliane in tutto il mondo, di organizzare presidi ovunque possibile, sia dentro che fuori dalla Palestina.

Intanto si sa che la Lega Araba ha finalmente chiesto all’ONU di aprire immediatamente un’inchiesta internazionale sulle violazioni commesse da Israele nelle sue carceri. Intanto il governo israeliano sta cercando medici disposti a praticare l’alimentazione forzata, pur sapendo che è vietata dalle convenzioni internazionali e in particolare dal protocollo di Malta del 1991, che la considera una forma di tortura.

Se i prigionieri ce la faranno, Israele sarà comunque sostenuto dai suoi protettori internazionali, ma la sua immagine ne uscirà macchiata. Se non ce la faranno, perché Israele può contare sul sostegno del Presidente degli Usa e di tanti altri paesi alleati, alcuni di loro cominceranno a morire, ma l’immagine di Israele sarà comunque compromessa. Ciò che ormai non si potrà più nascondere sarà la superiorità morale dei prigionieri politici, i quali interpreteranno il ruolo che la storia gli assegna: quello di rappresentanti di un popolo oppresso da un paese occupante, armato e potente contro il quale si batte chi lotta per la giustizia. Da qui il motto del loro sciopero: Dignità e Libertà.

(L’articolo di Patrizia Cecconi è stato pubblicato anche da Pressenza)

da qui

 

Mio padre, terrorista come lo fu Mandela – G. Levy e A. Levac

Aarab Barghouti era un bambino piccolo quando sono diventato amico di suo padre, Marwan Barghouti, ed era ancora un ragazzino quando suo padre è stato arrestato dalle forze israeliane ed in seguito processato e condannato a 5 ergastoli, più 40 anni, dopo essere stato ritenuto colpevole di cinque omicidi e successivamente di tentato omicidio. L’ultima volta che ho incontrato suo padre quando era ancora un uomo libero è stato nel novembre 2001: era ricercato ma non ancora arrestato.

Dopo che qualcuno ha spalmato una sostanza sconosciuta sulle finestre del nascondiglio in cui avevamo stabilito di incontrarci, l’incontro è stato spostato. La volta successiva l’ho visto nel tribunale distrettuale di Tel Aviv. Ed è stata anche l’ultima volta. Aarab, il suo figlio minore, aveva 11 anni quando suo padre è stato arrestato, ed è ora un bellissimo, brillante studente di 26 anni. Con una elegante kefiah attorno al collo, prende posto per una lunga conversazione su skype con me dalla sua residenza di San Francisco.

Il nostro colloquio ha avuto luogo all’inizio di questa settimana (la prima di maggio, ndr), alla vigilia del “Giorno dell’Indipendenza” [in cui si festeggia la creazione dello Stato di Israele, ndtr.]. I boati dei fuochi d’artificio nel cielo di Tel Aviv ogni tanto sovrastavano la sua voce, in quello che era una specie di avvenimento surreale: una conversazione con il figlio dell’ “arciterrorista”, come suo padre è chiamato in Israele, durante i festeggiamenti per l’indipendenza del Paese. Solo le persone che conoscono suo padre sanno che era un vero uomo di pace, e probabilmente lo è ancora. Suo figlio dice che si identifica totalmente con tutto quello che suo padre rappresenta.

Aarab, che recentemente ha terminato il suo master in analisi finanziaria e gestione di investimenti al Saint Mary’s College della California, a Moraga (Ca), pensa di tornare presto a casa. Lo aspettano molte offerte di lavoro a Ramallah. Egli non ha intenzione di seguire le orme di suo padre, soprattutto per non provocare ancora più dolore a sua madre, Fadwa. “Per noi l’attività politica significa prigione, e lei ha già sofferto abbastanza,” dice. Dalla prigione suo padre lo ha incoraggiato a continuare i suoi studi all’estero. In precedenza, Aarab aveva conseguito una laurea in economia dell’università di Bir Zeit, nei pressi di Ramallah, dove suo padre si era specializzato in scienze politiche.

Il primo ricordo di suo padre gli viene da una vacanza con la famiglia in Tunisia nel 1998 o nel 1999. Non aveva mai visto prima, e sicuramente non dopo, suo padre così contento, dice da San Francisco. Nel mio incontro con Marwan, nel novembre 2001, quando i carri armati israeliani erano già a Ramallah, mi disse che era stato al Ramat Gan Safari [zoo di Tel Aviv, ndtr.] con i suoi figli circa un mese prima. Aarab non vide suo padre, che era latitante, per circa tre mesi prima dell’arresto, il 15 aprile 2002. Nel novembre 2001, passammo nei pressi della sua casa insieme – Marwan la indicò, le diede un’occhiata e non disse niente. I suoi figli – tre maschi e una femmina – erano probabilmente là in quel momento, ma lui non osava più entrare. Era convinto che il suo destino fosse quello di essere assassinato da Israele.

“Ho paura ma non sono un codardo,” mi disse nella piccola macchina in cui c’erano anche le sue due guardie del corpo disarmate. I passanti lo salutavano. Quattro anni prima, nel “Giorno della Terra” del 1997, mentre viaggiavamo in mezzo a pneumatici bruciati in giro per la Cisgiordania, mi aveva chiesto: “Quando capirete che niente spaventa i palestinesi come le colonie?” Citò un amico che aveva detto: “Voi israeliani avete un presente e non un futuro, e noi palestinesi abbiamo un futuro ma non un presente. Dateci il presente ed avrete un futuro.” Allora, vedendo dei carri armati che stavano in agguato alla fine della strada, aggiunse: “Nessuno al mondo riuscirà a spezzare la volontà di un popolo con la forza militare. Non siamo né commando né organizzazioni. Siamo un popolo.”

Pronunciava sempre la parola ebrea che significa occupazione, “kibush”, con una b dolce- “kivush”. E’ possibile che durante i suoi lunghi anni di prigione abbia imparato a pronunciarlo con una b dura.

Marwan Barghouti era un tifoso della squadra di calcio Hapoel di Tel Aviv. Disse di temere il momento in cui i palestinesi avrebbero perso la speranza. Ora sta digiunando per garantire condizioni più umane per le migliaia di prigionieri palestinesi. Non è il primo sciopero della fame che guida in prigione, ma è il più lungo.

La scorsa settimana suo figlio Aarab ha lanciato una campagna su Facebook – “la sfida dell’acqua salata” – in cui celebrità arabe ed altre sono riprese mentre bevono acqua salata in solidarietà con i palestinesi in sciopero della fame, per i quali l’acqua salata è l’unico alimento. La prossima domenica [7 maggio, ndtr.] segnerà la fine della terza settimana dello sciopero.

Aarab è preoccupato per la salute di suo padre. Nessuno, tranne le sue guardie carcerarie, lo ha visto per due settimane, da quando le autorità della prigione hanno impedito al suo avvocato di incontrarlo. “Mio padre è forte, ma non è più giovane – quest’anno compirà 58 anni,” dice Aarab. “Lo sciopero inciderà sulla sua salute, e spero che le autorità carcerarie dimostrino umanità e pongano fine al loro atteggiamento arrogante di non negoziare con mio padre. I prigionieri non stanno chiedendo molto, solo condizioni minime”.

Al tempo dell’arresto di suo padre, Aarab era in casa di suo zio nel villaggio di Kobar, a nordovest di Ramallah, dove Marwan Barghouti è nato e cresciuto. Ricorda di aver visto l’arresto di suo padre in televisione, e di essere scoppiato a piangere. Fu il peggior momento della sua vita, che non dimenticherà mai. Né avrebbe mai pensato che quel momento sarebbe durato così tanto. Fu solo dopo otto mesi che incontrò suo padre per la prima volta in prigione insieme al fratello maggiore, Sharaf. “Ricordo di aver avuto paura, “rammenta. “Attraversammo circa 20 cancelli. Il babbo era in isolamento, e quando arrivammo due secondini lo controllavano dalla sua parte e dalla nostra, e c’erano un sacco di telecamere attorno a noi.”

“Mi piacque il modo in cui ci fece forza e ci confortò,” continua Aarab. “Non voleva mostrare alcun segno di debolezza davanti a noi. E’ sempre positivo. Sapevo già allora che tipo di interrogatorio e di torture aveva subito, ma come sempre non smetteva di sorridere. Tutto quello che voleva era che stessimo bene.”

In un’occasione Aarab fu portato a un’udienza in tribunale durante il processo di suo padre, e fu preso a schiaffi in faccia dal membro di una famiglia israeliana in cui qualcuno era stato ucciso. Fino al suo sedicesimo compleanno, Aarab vide suo padre due volte al mese – viaggi estenuanti di 20 ore fino alla prigione di Be’er Sheva per visite di 45 minuti con un vetro tra loro. Compiuti i 16 anni, gli venne concessa solo una visita all’anno. Durante gli ultimi cinque anni, Israele gli ha consentito solo tre visite, e non ha più visto suo padre negli ultimi due anni.

Sua sorella Ruba visita il padre due volte all’anno. Una volta ha portato la figlia di otto mesi, Talia, ma le guardie della prigione hanno rifiutato di consentire alla bambina di entrare anche solo per un momento, sulla base del fatto che non era una parente di primo grado. Talia ora ha 4 anni e ha una sorellina, Sarah. Nessuna delle due ha incontrato il nonno. Lo conoscono solo in foto.

La visita di Aarab di due anni fa alla prigione di “Hadarim”, nei pressi di Netanya, rimane impressa nella sua memoria. “Ricordo piccoli dettagli, “dice. “Ho visto i peli bianchi improvvisamente comparsi nella sua barba, ed aveva anche più capelli bianchi in testa. Ho visto occhi arrossati. Sinceramente l’ho visto invecchiato. Tutti pensano che quelle visite gli davano forza, ma lui dava forza a noi. Quell’uomo è incredibile. Può dare speranza e forza a tutto un popolo. Durante tutto il tragitto fino a lui, penso a come potrò dare forza al suo spirito – ma lui da forza a me. Mi parla del futuro. Mi incita a studiare. Mi cambia la vita, è il mio maestro di vita. Mi spinge a studiare, e ogni volta che sto studiando mi ricordo del suo sorriso.”

Suo padre è stato incarcerato da un tribunale israeliano per 5 omicidi, dico ad Aarab; è chiaro che per gli israeliani è un terrorista. “E’ stato un processo politico che non era fondato su alcuna prova o fatto,” risponde Aarab. “Mio padre fu corretto e chiaro: negò tutto e sostenne che si trattava di un processo politico. E’ stato condannato a cinque ergastoli. Anche (Nelson) Mandela fu condannato all’ergastolo. Mio padre è un uomo di pace. Ha sempre cercato la pace. L’unica cosa che non dimenticherà mai sono i diritti del suo popolo. Chiedi a un palestinese qualunque – non solo in Palestina ma ovunque nel mondo – e più del 90% sarà d’accordo che la politica di mio padre e il suo pensiero su una soluzione sono la strada giusta. Non sta chiedendo molto, ma il governo israeliano non vuole persone che rivendichino i diritti del popolo palestinese.”

“Anche in prigione mio padre cerca la pace. Nessuno cambierà ciò. Solo la propaganda israeliana lo presenta come un terrorista. Anche Nelson Mandela venne dipinto come un terrorista. Passò 27 anni in prigione. E poi divenne un eroe e gli venne assegnato il premio Nobel per la Pace. Mio padre è un terrorista esattamente come Nelson Mandela. Agli israeliani voglio dire: se ammirate Mandela, dovreste sapere che mio padre sta ripercorrendo la storia di Mandela. E se non stimate Mandela, non mi importa quello che pensate. Sono sicuro che un giorno gli israeliani arriveranno alla conclusione che l’unica soluzione è la pace, e non avrete mai un partner come lui. Un giorno, gli israeliani vedranno chi è Marwan Barghouti.”

Che cosa proporrebbe che suo padre facesse in modo diverso? “Quando guardo lui e il suo percorso, penso che sia perfetto. Mio padre non è un pacifista e non è un terrorista. Mio padre è una persona normale che sta lottando per i diritti del suo popolo. Se solo non fosse in prigione. Ha sacrificato la sua vita in nome della giustizia. E’ una cosa nobile. Viviamo solo una volta, e lui ha scelto il modo migliore di vivere.”

 

La campagna virale lanciata da Aarab Barghouti

https://www.facebook.com/MarwanBarghouthiOfficial/videos/1034542083313629/

 

UN AGGIORNAMENTO MOLTO ALLARMANTE (da Al Fatah Italia 15 maggio)
Ecco come realmente viene trattato Marwan Barghouti da Israele!
Per la prima volta dall’inizio del suo sciopero della fame, il 17 aprile, l’avvocato Khadr Shaqirat ha potuto visitare il suo assistito Marwan Barghouti. Shaqirat ha riferito alla stampa che le condizioni di Barghouti sono molto deteriorate.
Le Autorità carcerarie, pur detenendolo in isolamento in una cella posta in un seminterrato dove non penetra luce e che non ha aperture esterne, lo sottopongono a perquisizioni quattro volte al giorno, mantenendolo ammanettato alle caviglie e ai polsi. Inoltre, nella cella pervengono assordanti suoni di allarmi a tutto volume più volte nella giornata, costringendolo a proteggersi le orecchie con fazzoletti.
L’avvocato ha tenuto a precisare che la cella dove è detenuto Barghouti è priva di ogni requisito di base ed è piena di insetti. Il detenuto dispone di una sola coperta, non può cambiarsi i vestiti dall’inizio dello sciopero della fame e gli sono stati tolti tutti i libri.
Dall’inizio delle sciopero della fame, Marwan Barghouti ha perso 12 chili, arrivando oggi a pesare 53 chili.

(traduzione di Amedeo Rossi – Zeitun.info)

da qui

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Da:*Ester Prestini [mailto:ester.prestini@fastwebnet.it]
    > *Inviato:* mercoledì 17 maggio 2017 14:29
    > *Oggetto:*I: 32 giorni di sciopero della fame
    >
    > Basilio Rizzo , Franco Calamida, Edoardo Bai, Vittorio Bellavite ,
    > Rita Brivio , Massimo Gatti, Ester Prestinied altri hanno
    > incontrato Luisa Morgantini , Presidente di Assopace Palestina ,
    > Hafez Hurrraini e Nasser Narwaja , esponenti della resistenza
    > palestinese . Oltre mille detenuti palestinesi sono in sciopero
    > della fame da 32 giorni . Il governo rifiuta di trattare su
    > richieste che altro non sono che i diritti per i detenuti
    > riconosciuti dalla convenzione di Ginevra . La situazione è assai
    > grave e dolorosa per gli scioperanti . Il silenzio dei mass media
    > è IMPRESSIONANTE. Chiediamo solo che si riferisca dei fatti , che
    > si sappia di questo sciopero della fame di massa . La risposta
    > che loro si attendono è la solidarietà internazionale. L’
    > indifferenza , che purtroppo c’è , è anche il prodotto del muro
    > del silenzio : si tratta della cancellazione di un dramma , come
    > se non esistesse.
    > Noi , i presenti all’ incontro , ci siamo impegnati a contribuire
    > , per quel che possiamo , a rompere questo muro del silenzio (con
    > tutti i contatti e gli strumenti disponbili) . Crediamo che questo
    > impegno valga per tutti coloro che seguono le drammatiche vicende
    > dell’occupazione israelianae per quanti /e ricevono questo appello
    > . Far saper, far sapere , far sapere. Adesso basta , basta con il
    > silenzio , basta con l ‘indifferenza . Appunto : abbattiamo i
    > muri. Il loro dramma è anche il nostro dramma . Il 40% della
    > popolazione è stata imprigionata , dal 1967 sono 200 i palestinesi
    > morti in carcere . Il villaggio dove vive Hafez è stato dichiarato
    > illegale da un giudice che vive in un insediamento di coloni che
    > il diritto internazionale considera illegale , perchè è , quello
    > si , illegale . E dovrà essere distrutto , quello palestinese ,
    > purtroppo. Nell ‘incontro Hafez e Nasser ci hanno raccontato
    > semplici storie di vita quotidiana , dello zio di 100 anni (
    > bravissimo) , dei figli e degli affetti famigliari fortissimi ,
    > che rappresentano la loro forza. Dei droni dei coloni che
    > sorvolano e controllano i loro villaggi . Ci hanno mostrato brevi
    > “film da cellulare” , con le tende ove vivono , le bambine che
    > danzano : laggiù, la vita continua . Per questo , dice
    > Morgantini , non dobbiamo cedere alla disperazione. La
    > disperazione è il vuoto immenso che confina con la fine della
    > speranza. Nasser , pastore , di tutto quel che ha visto passando
    > da un villaggio , assediato tra due insediamenti di coloni , con
    > campi aridi per carenza d’acqua che vien loro negata , arrivando
    > nel nostro paese , con tutto quel che c’è di nuovo e sorprendente,
    > grandi città e grattacieli , da una cosa è rimasto colpito : un
    > gregge , non grande , di pecore belle e gonfie di lana , che
    > tranquillo pascolava in un prato di erba verde lucente.
    > Scrive Marwnan Barghouthi , in un recente articolo : “Avevo solo
    > 15 anni quando sono stato imprigionato la prima volta” , anche il
    > figlio è stato in prigione , per 3 anni . Il reato : essere figlio
    > di Barghuthi , solo questo , null’ altro . Essere figlio di
    > Barghuthi . Che si sappia. Per quel che possiamo facciamo il
    > possibile affinchè si sappia. Parlatene ,parlatene , parlatene.
    > franco calamida .
    >
    >
    > con “La voce d Marwan Barghuthi dal carcere”
    >

  • Daniele Barbieri

    RAGGIUNTO UN ACCORDO
    27maggio: Coordinamento a Sostegno dei Prigionieri Politici Palestinesi in Sciopero della Fame, comunicato Stampa
    I prigionieri politici palestinesi dopo 40 giorni di digiuno riescono a strappare un accordo alle autorità israeliane.
    Ci sono voluti quaranta giorni di sciopero della fame di 1500 prigionieri che giorno dopo giorno sono diventati 1800; ci sono volute centinaia di manifestazioni in tutta la Cisgiordania e a Gaza, prese di posizioni e attestazioni di solidarietà in tutto il mondo, un fermo intervento della croce rossa internazionale, persino la pressione negli ultimi giorni degli stessi servizi di sicurezza israeliani, preoccupati per le avvisaglie di una protesta di massa contro l’occupazione, per costringere il governo israeliano a lasciare che dirigenti del Servizio Carcerario Israeliano aprissero un negoziato con Marwan Barghouti ed altri leaders della protesta. La trattativa si è svolta nella prigione di Ashkelon con la partecipazione della Croce Rossa Internazionale. è durata 20 ore e si è conclusa con un accordo firmato da Issa Karake e Qadura Fares, esponenti dell’Autorità Nazionale Palestinese e responsabili per l’assistenza ai prigionieri.
    Dell’accordo ha dato immediatamente notizia con una propria dichiarazione la “Campagna per la liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi” dalla quale si apprende che l’accordo prevede l’aumento delle visite dei familiari, l’installazione di telefoni pubblici nelle prigioni e la possibilità di accedere con gli apparecchi televisivi installati nelle celle ad un maggior numero di canali in modo da potersi informare meglio su quanto accade fuori dei penitenziari.
    Si sottolinea inoltre come la determinazione dei prigionieri abbia prevalso sulla riottosità del Governo Israeliano che . Sottolinea infine che si tratta di .
    Si tratta infatti di un passo importante. Ma solo di un primo risultato, sia perché dovrà verificarsi l’effettiva applicazione dell’accordo, sia perché i prigionieri continuano a restare rinchiusi nelle carceri israeliane, come continua l’occupazione della Cisgiordania, Gaza continua ad essere assediata, ed il popolo palestinese continua ad essere privato dei propri diritti.
    Per tanto anche la lotta di liberazione deve continuare .
    L’accordo conseguito dimostra per altro che la lotta nonviolenta può aver successo, tanto più se condotta con saggezza, determinazione ed unendo tutte le forze, come è avvenuto con lo sciopero della fame dei prigionieri politici, che è stato sostenuto da tutte le forze politiche palestinesi e da tutta quanta la popolazione.
    Il Coordinamento, nel manifestare sollievo per la sospensione dello sciopero, auspica che una pace giusta possa estendersi presto dalla Palestina a tutto il Medio Oriente ed invita i/le militanti a proseguire nella vigilanza e nel massimo impegno .
    Roma 27 Maggio 2017
    coordinamentoprigionieri@gmail.com
    <https://www.facebook.com/Coordinamento-a-sostegno-dei-prigionieri-palestinesi-in-sciopero-della-fame-437001423327587/?ref=page_internal>

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