I RISCHI (DELL’UOMO ABITUDINARIO)

(Roba del Pabuda-Locomotiva, ch’è come un libro aperto…)

 

per non correre     

il rischio

di dimenticare

di fare

qualcosa d’importante

che per la mia

discreta sopravvivenza

devo assolutamente

e regolarmente fare

ho preso l’abitudine

ogni giorno che viene in terra

di rispettare

una mia rigida e ripetitiva

tabella mentale:

la terapia, l’esercizio,

le notizie, il jazz,

i collage, i libri, i dischi

il medicinale,

il salvavita, le vitamine

per la testa,

l’ammazza-colesterolo,

il calmante & l’eccitante

le mutande pulite

quotidiane

(le preferisco ben stirate,

ma questo è un altro tipo

di fissazione),

ogni pasto è previsto

al suo orario, quello giusto

(per essere sincero:

ho programmato,

senza stressarmi,

un invariabile percorso

a tappe regolari

di innumerevoli spuntini

a cadenzare il giorno intero.

al principio della tabella,

col disegnino

d’una invisibile campanella

è indicato il trillo muto

della mia sveglia interna:

biologica ma alterata:

silenziosa, antelucana,

di molto anticipata:

serve a raggiungere il lavoro

con calma, cazzeggiando,

come capitandoci per caso,

nel corso

d’una spensierata passeggiata.

poi viene tutto il resto,

ben ordinato,

ogni giorno ripetuto.

comunque,

nella tabella di marcia

settimanale

lascio in bianco qualche

casella:

in posizione laterale:

le riempio, all’abbisogna,

coi pochi vizi superstiti

(robetta senza grande sballo):

tipo: caffeina, tabacco,

musica da ballo.

eventualmente,

spese sconsiderate

in qualche edicola.

poi, capita che l’uomo

abitudinario

sgarra, come un fesso:

basta un espresso:

al bar,

al pomeriggio,

al di fuori

dell’abituale orario:

così l’uomo abitudinario

si fotte

il necessario riposo

previsto, di norma, per la notte:

una sciocchezza, sembrerebbe.

invece, è un guaio bello bello:

infatti, il mezzo cervello

di cui dispongo

richiede –  per lavorare

come fosse un cervello intero –

di riposare almeno

il doppio del normale.

dopo un in inciampo notturno

siffatto

(detto volgarmente:

notte in bianco)

ideare

una belinata come questa

è il massimo

che il mezzo cervello

al mio servizio

riesce a fare:

col rischio

d’un’intera e onesta carriera

neuropoetica

del suo abitudinario proprietario,

in un lampo, sputtanare.

 

(nell’illustrazione: particolare di Locomotive 1927-33, di Vera Latonina, designer, stampa su cotone)

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Pabuda
Pabuda è Paolo Buffoni Damiani quando scrive versi compulsivi o storie brevi, quando ritaglia colori e compone collage o quando legge le sue cose accompagnato dalla musica de Les Enfants du Voudou. Si è solo inventato un acronimo tanto per distinguersi dal suo sosia. Quello che “fa cose turpi”… per campare. Tutta la roba scritta o disegnata dal Pabuda tramite collage è, ovviamente, nel magazzino www.pabuda.net

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