I sogni e i grandi profitti

Recensione di Andrea Venturi a «La forza dell’illusione. Industria culturale, finanza e grande politica» (Ombre Corte) di Alfio Neri

Viviamo in un’epoca particolare. Cose che prima sembravano chiarissime cessano di esserlo, oscurate da altre che sembrano occupare l’intero spazio della percezione e del pensiero. Il doppio registro di distruzione/creazione è tipico della modernità ma ora il processo è diventato parossistico. Questo meccanismo della società dello spettacolo ha una genesi eterogenea. Trame di film, intrecci esotici di reali fake news, biografie di veri personaggi virtuali concorrono a creare un mondo di illusioni dai devastanti effetti di realtà.

La tesi del libro è che questa colonizzazione del pensiero è alla base dell’egemonia statunitense. L’uso del dollaro come moneta di scambio internazionale non sarebbe comprensibile senza la colonizzazione dell’immaginario operata per decenni da Hollywood. L’uso del dollaro non è legato a un’economia fiorente ma al maistream dell’industria culturale, un mondo patinato variegato e iperreale la cui regia è Usa.

Il meccanismo di costruzione delle illusioni collettive presiede la formazione delle aspettative economiche. Le considerazioni su titoli sicuri, le decisioni su investimenti certi, la formazione delle aspettative che formano i tassi di interesse si formano sulla base di cluster emotivo/informativi che percolano dal mainstream mondiale. La cosa è in fondo abbastanza evidente. Qual è la ragione della russofobia imperante? Chi mai acquisterebbe azioni cinesi? Piuttosto è poco evidente che il mainstream riguarda più aspetti macroeconomici. Gli Stati Uniti hanno una bassa crescita dagli anni Settanta, senza l’industria culturale non potrebbero convincere i mercati mondiali della loro centralità. Novemila bombe atomiche sono importanti per comunicare con i governi ma non sono lo strumento adeguato per spingere i benestanti dell’America Latina a conservare i risparmi di famiglia nella loro valuta.

L’industria culturale ha come alleata una rete mondiale di università e di business. Questi centri hanno come scopo formare gruppi di tecnici capaci di utilizzare i meccanismi della finanza senza che questi ne comprendano le evidenti falle teoriche. Per esempio, dopo il 2008 tutti i giornali mondiali hanno iniziato a parlare di bolle speculative eppure nella teoria matematica mainstream stupisce l’assenza di modelli matematici che descrivano la loro formazione. La cultura di massa e la scienza economica favoriscono i movimenti di gregge e i comportamenti collettivi semi-automatici. Questi spostamenti possono avere enormi effetti economici e predispongono il mercato a essere manipolato da chi emette moneta internazionale (il dio-dollaro), da chi ha il monopolio della teoria del sapere economico (le università anglosassoni) e da chi ha la quasi egemonia politica mondiale (gli Stati Uniti).

Esiste anche un quarto meccanismo più interattivo. In certi casi la semplice induzione di aspettative non basta a dare un adeguato vantaggio competitivo a chi controlla il mercato. Per questo quando ne hanno occasione i regolatori del mercato costruiscono concatenazioni di eventi che vanno molto oltre i modelli economici standard.

La questione merita di essere approfondita. Per esempio il saccheggio economico dell’Argentina ebbe il suo prologo quando, nel 1981 l’ambasciata statunitense diede al governo militare argentino l’implicito benestare per l’invasione delle isole Malvinas. L’Argentina dell’epoca stava avendo difficoltà finanziarie per un recente e improvviso aumento dei tassi di interesse del dollaro. I militari fascistoidi, ideologicamente vicini agli Usa, volevano compensare le difficoltà economiche con un grande successo politico che avrebbe permesso una loro indefinita permanenza al potere. Pensando di avere ottenuto il benestare di Washington, invasero le Malvinas ma vennero sconfitti dagli inglesi che invece ebbero l’esplicito appoggio statunitense. La sconfitta militare fece traballare il potere dei militari che, in pochi mesi, si trovarono costretti a lasciare il potere a un regime civile. Il nuovo governo ovviamente nacque debole e non fu in grado di impedire un decennale saccheggio dell’Argentina a opera dei fautori internazionali dell’economia di mercato e della democrazia parlamentare.

Questo meccanismo si vede anche nella crisi asiatica del 1998. I Paesi dell’area erano stati convinti, con metodi diplomatici, ad aprire le loro economie al capitale finanziario. I modelli econometrici promettevano una migliore allocazione delle risorse e anche una buona crescita del mercato interno per parecchi anni. Dopo avere aperto al capitale finanziario internazionale, la Thailandia si trovò ad affrontare una recessione ciclica. Improvvisamente i capitali finanziari sparirono da tutta l’area (compresi i Paesi che non stavano soffrendo di una crisi ciclica) e i Paesi dell’Asia Orientale dovettero alzare tutti contemporaneamente i tassi di interesse innescando una crisi generalizzata. La crisi finanziaria passò rapidamente dal settore bancario all’economia reale per divenire una crisi debitoria di molti Stati sovrani. In poco tempo un’area florida venne trasformata in una macelleria a cielo aperto. Nazioni fiorenti dovettero svendere in fretta tutto il vendibile a prezzi scontati al capitale finanziario internazionale. Ovviamente senza apertura finanziaria una crisi così selvaggia non sarebbe mai esplosa.

Questi meccanismi sono ancora in azione. Non deve sembrare strano che in questi giorni il governo turco, dopo una crisi finanaziaria, abbia “vietato i film western” cioè posto divieti espliciti all’industria culturale mainstream. Quanto all’Europa, il sistema euro è in sostanza un meccanismo costruito per fare beneficienza ai Paesi più ricchi; e quanto all’Italia siamo alleati degli Stati Uniti … come a suo tempo lo furono Argentina e Tigri Asiatiche. In tempi di cannibalizzazione degli alleati, il presidente Trump ha addirittura incoraggiato il premier Conte, indicandolo ai giornalisti come il vitello grasso, dicendo <<He’s a good boy>>. Nell’alta finanza ci si accorge di una tagliola solo quando questa scatta. I grandi profitti si fanno quando scorre il sangue nelle strade.

 

Redazione
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Un commento

  • gian marco martignoni.

    Il libro di Alfio Neri è senz’altro affascinante e dotato di una logica consequenziale impressionante, soprattutto laddove insiste sulla colonizzazione dell’immaginario e il delinearsi di una individualità sostanzialmente narcisista e consumista. Temo però che emerga una lettura prevalentemente sovrastrutturale della crisi del modo di produzione capitalistico, offuscando il lato strutturale della crisi di accumulazione del capitale. Ovvero, la preminenza accordata ai processi di finanziarizzazione del capitale , non è solo il prodotto della ” truffa ” perpetrata dalle banche d’affari, sulla scorta della avvenuta liberalizzazione dei movimenti dei capitali , ma trova la sua spiegazione più coerente nel binomio sovrapproduzione-sovraccumulazione, che ha determinato il dilagare della precarizzazione lavorativa, la crescita esponenziale delle diseguaglianze ed il ritorno a rapporti dei lavoro di tipo ottocentesco.

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