I sogni perduti di Samia Yusuf

In memoria della podista che ha perso la vita nel Mediterraneo, con altri 5 compagni di viaggio, il 12 aprile 2012, al largo di Lampedusa, cercando di raggiungere le coste italiane.

di Francesca Masserdotti (*)

Samia Yusuf Omar, nasce a Mogadiscio il 30 aprile del 1991, anno in cui il presidente Siad Barre viene destituito dal movimento di liberazione somalo, nel pieno della guerra civile. Il padre, Omar Yusuf, viene ucciso da un colpo di pistola mentre è a lavoro al mercato di Bakara e il mese dopo Samia, la più piccola di sei figli, abbandona la scuola per occuparsi dei fratelli, perché la madre deve iniziare a lavorare per mantenere la famiglia.

E’ in questo periodo che Samia inizia a correre: in un paese dominato dai fondamentalisti islamici non è certo una cosa semplice. Non può allenarsi allo stadio perché le strutture sportive sono danneggiate o completamente distrutte dalla guerra. Il paese è in rovina, non esiste nessun sostegno per gli atleti e Samia è anche una donna: corre per strada con maniche lunghe, pantaloni della tuta e una sciarpa sulla testa. In ogni caso non è ben vista.

Racconta alla BBC “Tradizionalmente i somali considerano “rovinate” le ragazze che praticano sport, suonano musica o indossano abiti trasparenti o pantaloncini. Quindi sono stata messa sotto pressione”. Mentre si allena viene spesso fermata ai posti di blocco e subisce intimidazioni, una volta viene anche arrestata e minacciata di morte perché si ostina a fare sport. Samia non si arrende e continua ad allenarsi e a correre per le strade di Mogadiscio.

Nel maggio del 2008, a 17 anni, partecipa alla gara dei 100 metri ai Campionati africani di atletica leggera, arrivando ultima nella sua batteria. Nonostante il risultato viene scelta per gareggiare alle Olimpiadi di Pechino come rappresentante della Somalia e dichiara “Non mi importa se vinco. Ma sono felice di rappresentare il mio paese in questo grande evento”e ancora “Noi sappiamo che siamo diverse dalle altre atlete. Ma non vogliamo dimostrarlo. Facciamo del nostro meglio per sembrare come loro. Sappiamo di essere ben lontane da quelle che gareggiano qui, lo capiamo benissimo. Ma più di ogni altra cosa vorremmo dimostrare la nostra dignità e quella del nostro Paese”.

Il 19 Agosto corre, nella corsia numero 2, la gara dei 200 metri della prima batteria, contro la grandissima e super favorita Veronica Campbell-Brown e ad altre atlete molto preparate. La gara viene vinta dalla giamaicana in 23,04 secondi e Samia, con un fisico decisamente diverso da quello delle sue avversarie, finisce la gara in 32,16 secondi, ultima, ma incoraggiata e applaudita da tutto il pubblico presente.

“Sono felice” dice Samia “le persone mi hanno incoraggiato ed è stato molto bello. Ma mi sarebbe piaciuto essere applaudita per aver vinto. La prossima volta farò del mio meglio per non essere ultima”.

Samia torna in Somalia con un sogno, partecipare alle Olimpiadi di Londra del 2012, ma arrivata a Mogadiscio non viene accolta come si aspetta. Nessuno, a parte i suoi genitori, ha visto la sua gara, che si è svolta intorno alla mezzanotte ora locale e nessuna radio, televisione o giornale ha parlato dell’evento.

Samia sa che per realizzare il suo sogno ha bisogno di un allenatore, ma riceve nuove minacce dal gruppo islamista Al Shabaab, che in Somalia prende sempre più potere ed è costretta a nascondere sempre di più la sua passione sportiva.

Nel dicembre del 2009 si ritrova a vivere con la famiglia in un campo profughi, a circa venti chilometri da Mogadiscio e nel luglio dell’anno dopo riesce a partecipare ai Campionati africani di Nairobi. Poco dopo decide di trasferirsi in Etiopia, nella speranza di trovare una situazione migliore e di potersi allenare con l’aiuto di un vero allenatore.

Da qui la storia di Samia diventa la storia di tanti uomini, donne e bambini, che per inseguire i loro sogni, intraprendono un viaggio disperato e rischioso, scappando dalla guerra e dalle carestie. Attraversa il deserto del Sudan e arriva in Libia, con il pensiero fisso delle Olimpiadi di Londra, alle quali vuole assolutamente partecipare. Riceve supporto economico da una delle sorelle, che ha ottenuto nel frattempo asilo politico a Londra e decide di pagare i trafficanti per partire verso l’Europa. Non ci arriverà mai.

Samia perde la vita nel Mediterraneo, con altri 5 compagni di viaggio, il 12 Aprile del 2012, al largo di Lampedusa, mentre cerca di raggiungere le coste italiane.

Samia aveva un sogno, partecipare alle Olimpiadi di Londra, con un paio di scarpe da corsa e gli applausi del pubblico attorno. Voleva essere l’atleta più veloce della Somalia e dire alle donne del suo paese che si può essere libere, basta crederci. Samia è una un’atleta coraggiosa che non può e non deve essere dimenticata. Same sport, same rights!

(*) Fonte: Sport alla rovescia

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