«I WAS A STRANGE AND LONELY BOY» – due

un racconto inedito di MAURIZIO COMETTO. Seconda puntata (di tre)

Maurizio Cometto

I WAS A STRANGE AND LONELY BOY

2 – La chiamata

L’enorme open space dove ha sede la direzione tecnica del maggiore cliente di B&T Italia. Schermi di workstation riempiti di immagini CAD, poltroncine girevoli, grandi tavoli con disegni stesi sopra, pareti divisorie in plexiglas trasparente, macchinette del caffè affollate, piccole salette riunioni strapiene. Ingegneri neolaureati, periti alle soglie della pensione, giovani capi-progetto rampanti e in carriera, dirigenti brizzolati in giacca e cravatta, comitive di fornitori con cartellina in mano. Tutta questa gente circola e gesticola, riempie di voci l’ambiente, ne satura l’aria con l’odore del proprio sudore. E’ un grande mercato senza merce da vendere.

E’ raro che Bertola metta piede lì dentro. E’ stato costretto a venire per un’importante riunione. Era presente anche il responsabile di tutto quel caravanserraglio. Si doveva discutere di un aspetto tecnico dell’offerta B&T Italia, non in target. Un progetto da venti milioni di euro l’anno non può essere fermato da un banale aspetto tecnico non in target. Si è trovato un accordo, e Bertola è soddisfatto.

Ora lui e i due dirigenti tecnici che lo accompagnavano stanno camminando lungo il corridoio centrale, verso l’uscita. Sono quasi le cinque del pomeriggio. Bertola per una volta farà uno strappo alla regola, e rientrerà a casa senza più passare in ufficio. Del resto è il compleanno di Gaya, e quella sera si festeggia.

Un vocione da dietro s’innalza d’improvviso sul brusio. – Ehilà!

Bertola si volta a guardare. Pochi metri avanti, dietro la parete trasparente che separa il corridoio dagli uffici, un uomo sta facendo cenno verso di lui. Un uomo grande e grosso, dal ventre prominente e il testone completamente glabro.

– Ti aspettiamo alla macchina! -, gli dicono i due che l’accompagnano, già avanzati di qualche metro. Bertola fa loro un gesto d’assenso, poi torna a girarsi. L’uomo nel frattempo è uscito dalla vetrata ed è lì davanti a lui.

Bertola, spiazzato, avverte la puzza del suo sudore.

– Dio buono! Ma tu non sei mica Bertola? Sandro Bertola?

Bertola annuisce, paralizzato da qualcosa a cui non sa dare un nome.

– Ma non mi riconosci? Sono Roberto Beretta! – Allunga una mano. Bertola gliela stringe, sentendola viscida.

– Dio buono, ma come sei tirato? E quella borsa in pelle? Quasi non ti riconoscevo più!

Bertola non sa cosa rispondere.

– Il buon Bertolino ha superato tutti gli altri. Ha fatto carriera. Chi l’avrebbe mai detto?

Bertola abbassa gli occhi. Comincia a ricordarsi quella faccia. Gli anni dell’adolescenza. L’istituto tecnico. Uno dei suoi compagni di prima.

– Io invece sono finito a fare il passacarte qui, in questa gabbia di matti. Come Fattori e Cecco. Te lo ricordi, Cecco?

Bertola annuisce. – E gli altri? Do… dove sono finiti gli altri?

Beretta sorride. – La tua voce è sempre uguale. Gli altri sono sparsi in giro. Dattoli e Cavallini si sono messi in proprio. Giorgi, DeFresu e Castore lavorano in vari uffici amministrativi. Qualcuno s’è sposato, con poca fortuna. Altri, come me, sono rimasti scapoli. E te, ti sei sposato?

Of course.

L’altro scoppia a ridere. – Of course? Mi fai morire, Bertolino. Comunque, sposato e pieno di soldi… chi l’avrebbe mai immaginato, porca di quella puttana? Devo raccontarlo agli altri. Sei quello che ha avuto più culo dalla vita. Il contrario di Remigio, quel povero cristo.

– Perché? What happens to Remigio?

– Ma smettila, come cazzo parli? Remigio è morto. Due anni fa. Tumore alla prostata.

Bertola abbassa gli occhi. Come cazzo parli?

– C’eravamo tutti al funerale. Perfino Dattoli, che non poteva sopportarlo. Mancavi solo tu.

– Mi dispiace molto per Remigio, era il migliore. Scusa, Roberto, ora de… devo andare. Ho un altro meeting tra cinque minuti al mio headquarter e sono già in ritardo.

– Senti, ogni tanto noi ci troviamo per ricordare i vecchi tempi. Perché non vieni anche tu qualche volta? Ci farebbe piacere.

Bertola non sa cosa rispondere.

– Dai, scambiamoci almeno il numero di telefono.

Lesto Bertola tira fuori il suo smart-phone. Beretta gli detta il suo numero, lui digita le cifre. – E Nicolazzi? Che fine ha fatto Ni… Nicolazzi?

– Lazzi? E’ quello messo peggio di tutti. E’ uscito male da un divorzio e ha perso il lavoro. Vive della pensione d’invalidità.

– Invalidità?

– Poco dopo il divorzio s’è schiantato con la macchina e ha perso una gamba.

Oh my GodIt’s crazy… e dire che sembrava il più forte di tutti.

– Era un osso duro. Solo che ha avuto troppe batoste. Povero Lazzi.

In realtà a Bertola non frega niente di Lazzi. Ha fatto la domanda per distrarre Beretta. Per fargli dimenticare di chiedergli il suo numero. Ha funzionato, perché Beretta sembra immerso in brutti pensieri.

– Ora vado. Mi faccio vivo presto. Buo… buona serata, Roberto.

L’altro di nuovo sorride. – Ciao, Bertolino. Salutami tua moglie.

Quel banale incontro cambia la vita di Bertola. Da fuori, gli altri non si accorgono di nulla. E’ dentro di lui che succede qualcosa. Tante brutte facce spuntano dalle nebbie del passato, come diabolici pupazzi a molla. Beretta, Dattoli, quel povero cristo di Remigio, morto di un tumore alla prostata, Nicolazzi, senza una gamba, e poi Castore, DeFresu e tutti gli altri. Lo guardano e ridono. Anche Remigio, che dovrebbe essere morto. Un ghigno ne distorce i lineamenti sfatti. Pure Lazzi, il più forte di tutti, che la vita ha ridotto a un relitto umano. La sua risata è la più terribile, gonfia di echi sinistri.

Bertola fatica a dormire. Strani sogni lo disturbano, fino a risvegliarlo. E poi non riesce più a prendere sonno.

Nel più terribile li vede tutti lì, davanti a lui, che gli sorridono come se volessero prenderlo in giro. E’ notte e si vedono solo le loro pance gonfie e i loro volti di cinquantenni rovinati dalla vita. Dalla cintola in giù sono immersi in una nebbia melmosa e ribollente. Lazzi gli dice: Hai avuto troppo culo dalla vita, Bertolino. Beretta rincara: Proprio Bertolino… Chi l’avrebbe mai detto? Perfino Remigio, il cadavere, muove la mandibola e dice la sua: Non te lo meritavi, Bertolino. Dentro quella bara dovevi esserci tu, non io. Tu! Bertola vorrebbe rispondere, urlare, ma invece della sua solita voce, gli esce un balbettio indistinto. Gli altri scoppiano a ridere. Sei sempre il solito, Bertolino. Poi cominciano ad avvicinarsi. Lo circondano. Si accorge di avere anche lui le gambe immerse in quella melma, e qualcosa, laggiù in fondo, lo blocca. Guarda le facce ghignanti dei suoi vecchi compagni di scuola.

Hai avuto troppo culo dalla vita, Bertolino. Però puoi rimediare. Puoi tornare a essere uno di noi, gli dice Lazzi.

Co-cosa devo fare?, farfuglia lui.

E’ semplice. Devi immergerti.

Co… come? Quella parola, immergerti, gli incute un terrore senza nome. No… non voglio immergermi… non voglio!

Sì invece. E devi farlo ora.

Per favore, la… lasciatemi… Lasciatemi!

La mano di Lazzi si posa sopra la sua testa, e lo spinge giù.

E’ allora che Bertola si sveglia in un bagno di sudore.

In famiglia, in ufficio, al tennis, poco o nulla traspare agli altri. Quando rimane solo, anche pochi istanti, tira fuori lo smart-phone e naviga su Facebook. Lui ha un profilo fittizio, che usa per controllare le figlie. Non gli sono mai interessati i social network. Ora visita uno per uno i profili dei suoi ex-compagni. E’ roso da una curiosità insaziabile. Guarda come si è ridotto Dattoli, pensa, osservandone la foto; tutte le ragazze gli facevano il filo, alto e slanciato com’era, ora si è incurvato e indossa sempre degli improbabili camiciotti con il colletto sporco di forfora. E DeFresu, che gli è venuta una pancia peggio di quella di Beretta? Non fa che postare foto di pinte di birra e di trattorie sperdute che conosce solo lui. Quello che gli fa più impressione forse è Castore. Nessun commento o scritta; solo foto. Foto di lui insieme a un signore più vecchio di almeno dieci anni, coi capelli tutti bianchi e improbabili giacche color pastello. Roma, Londra, Vienna, Parigi. Pochi like, nessun commento. Che si tratti di un parente? O forse…?

Cerca anche il profilo di Lazzi. Non lo trova. Del resto, con tutto quello che gli è successo…

Anche durante le riunioni più impegnative, una parte della sua mente non smette di arrovellarsi. Tutte quelle facce le aveva dimenticate. Ora sono tornate, ora le ricorda tutte. Il primo anno all’istituto tecnico. Sa che fu un anno terribile, forse il peggior anno della sua vita. Ma non ricorda altro. Momenti in classe, interrogazioni, giochi… non ricorda nulla. Si impegna, si sforza, eppure è tutto inutile. Solo quelle facce, spuntate dal passato. Un senso di angoscia imminente. E Lazzi che gli dice: Immergiti, Bertolino. Immergiti!

Una notte Bertola si sveglia all’improvviso. Non ricorda se stava sognando. Sa solo che il cuore gli batte all’impazzata, e che gli manca l’aria come se avesse dormito in apnea. Deve fare qualcosa. Cerca di rallentare i respiri secchi, di allungarli gonfiando e sgonfiando il ventre. Tocca una spalla di Federica, che dorme girata dall’altra parte. Cosa cazzo gli è successo? Federica si è svegliata, del resto ha il sonno leggero. Si volta e lo guarda, le palpebre pesanti. Subito in allarme.

– Stai bene?

Lui annuisce, deglutendo a vuoto.

– Sicuro? – Federica si tira su.

Keep calm, Fede -, sputa. – Keep calm. – Mette giù i piedi dal letto e si alza.

– In questi giorni sei strano, Sandro.

– No. It was only a nightmare.

– Dove vai adesso?

– A prendere un calmante.

E’ stata una crisi di panico. Una sensazione già provata altre volte, che d’un tratto s’è ingigantita e l’ha travolto. Forse già nel sonno, anche se non capisce in che modo.

Come se il tempo si fermasse, e lo schiacciasse in un presente senza fine, senza speranza.

E l’aria che gli manca.

Bertola va in cucina. Mette l’acqua a bollire, sceglie una bustina di tisana alla malva. Prende il blister con le pillole. Si siede al tavolo. Il cellulare in mano, sempre acceso.

Devi immergerti, Bertolino. Devi immergerti!

Bertola chiude gli occhi. I pupazzi a molla sono sempre lì. Ciascuno lo guarda con la sua espressione tipica. Lo accusano di qualcosa. Perché? Cos’ha fatto loro? Nulla. Non è stato più fortunato. Non ha avuto culo. Ha lavorato sodo per conquistarsi tutto ciò che ha.

Sono loro che dovrebbero chiederti perdono, gli sussurra una voce.

Bertola torna a letto e dopo un’ora, finalmente, la pillola fa effetto e riesce a dormire.

La Business Review. E’ Bertola che guida, insieme al Project Management Director. Uno dei suoi manager sta esponendo il budget previsto il prossimo anno coi clienti tedeschi.

It’s not possible -, interviene d’un tratto Bertola.

Il manager impallidisce. Controlla a lungo la slide piena di numeri. Si gira di nuovo verso il suo capo. – Perché…?

It’s not possible. Look at the total.

– Non ci vedo niente di sbagliato. Se intendi i margini…

– Non me ne frega un cazzo dei margini! Look at the total! Dove sta la quota relativa all’acquisizione del nuovo stabilimento?

– Abbiamo stabilito che fino a che la trattativa…

– La trattativa si chiuderà a breve! Quei numeri dovevano essere già dentro! Why aren’t they?

Nessuna delle venticinque bocche riunite intorno al tavolo ovale proferisce parola. Tutti i cinquanta occhi sono abbassati. Il Project Management Director bisbiglia qualcosa a Bertola.

– Non stai esagerando?

Bertola scuote forte il capo. Esce d’improvviso dalla sala, senza dire nulla. La sorpresa è generale.

Il senso di soffocamento. Il presente congelato in un momento eterno.

Va in bagno e si chiude dentro. Si pianta le unghie nelle cosce.

Devi immergerti, Bertolino. Devi immergerti!

Afferra il cellulare. Il numero di Beretta. Beretta, Beretta… Si, ce l’ha ancora.

Schiaccia il tasto verde. Dall’altra parte è libero.

– Pronto! -, risponde qualcuno.

– Ciao Beretta, so… sono Bertola.

– Bertolino! Che sorpresa! Come stai? – In sottofondo il brusio del grande open space pieno di gente.

– Be… bene. Volevo chiederti… Ti va se… se una sera ci vediamo?

– Ci vediamo? Cosa intendi?

– Io e te so… soli. Per fare qua… quattro chiacchiere. Da… da amici.

– Ehi, ma domani sera ci ritroviamo tutti!

– Come?

– E’ in programma la nostra cena annuale! Ci saranno tutti, perfino Lazzi verrà!

Lazzi…

– E’ un miracolo che mi hai chiamato proprio adesso, Bertolino. Devi venire anche tu. Devi venire assolutamente!

– Io…

– Non voglio sentire scuse. Ceniamo all’Oca d’Oro. Lo conosci il posto?

Bertola non lo conosce. Si fa dare l’indirizzo. Un posto sperduto su in collina.

– Allora vieni davvero? Non dirò niente a tutti gli altri. Dio buono, che sorpresa che sarà… Faranno delle facce!

– Se… se non dovessi venire co… comunque ti avverto.

– Perché non dovresti venire?

– Se a… avessi un malore… poi ho un sa… sacco di impegni, e mia mo… moglie…

– Non sei proprio cambiato, eh, Bertolino? Sempre la scusa pronta.

– E’ che… Non sono così ce… certo di voler venire. – Per la prima volta Bertola sente di essere sincero con Beretta.

– Ma certo che hai voglia di venire, Bertolino! E non te ne pentirai, sta sicuro!

L’IMMAGINE – scelta dalla “bottega” – è di Topor

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *