Il 5 dicembre è un buon giorno… per chi?

     Riflessioni di db sulla risposta di Francesco Troccoli a Bifo e sul libretto «La Costituzione del 2016» di Ireneo Corbacci

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Partiamo dall’articolo 1 della Costituzione che – leggetelo con calma, senza correre come al solito – suona così: «L’Italia è una Repubblica del Capitale a guida statunitense, fondata sul lavoro non pagato di quanti vi nascono e di coloro che vi vengono importati. La sovranità appartiene ai Funzionari del Capitale, che la esercitano senza limitazioni e vincoli di qualsiasi natura».

Avete avuto un soprassalto? Vediamo insieme l’amato – e tradito, state pensando? – articolo 11: «L’Italia promuove la guerra come mezzo di uniformazione dei popoli ai Bisogni e ai Valori del Capitale; ricerca accordi con altri Stati per rendere effettive le intese umanitarie stabilite in sede internazionale sotto l’egida dell’ONU, della NATO, degli Stati Uniti d’America e dell’Unione Europea; partecipa alla gestione umanitaria della guerra in collaborazione con le Agenzie internazionali dei Funzionari del Capitale, con particolare riguardo alla ripartizione delle popolazioni in territori diversi da quelli di origine e di transito».

Leggiamone insieme un altro soltanto – l’articolo 32 – e poi cerchiamo di capire che razza di Costituzione è codesta. «La Repubblica tutela la salute dei Funzionari del Capitale come diritto fondamentale e inviolabile. Garantisce loro cure gratuite per tutta la durata della vita. Tutti gli altri cittadini sono obbligatoriamente iscritti al servizio sanitario e ricevono cure nei limiti dei fondi ad esso assegnati. La sanità privata è libera e concorrente con quella pubblica nel quadro dei bisogni del Capitale».

Ho ripreso questi tre articoli costituzionali “riscritti” – come tutti gli altri – in un agile e utile librino uscito in ottobre (Zambon editore: 80 pagine per 8 euri) a cura di Ireneo Corbacci, si intitola appunto «La Costituzione del 2016».

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Nella seconda parte del libretto leggiamo: «2016 – Anno mondiale della Legge – COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA – PRINCIPI FONDAMENTALI» e arriviamo fino al «Titolo VI- Riforma della Costituzione» dove l’articolo 105 chiarisce che il testo originale è in inglese e questa italiana è solo una traduzione. Ovvio no?

Nella presentazione il curatore – in realtà l’ideatore di questa intelligente provocazione – cioè Ireneo Corbacci immagina che questo testo gli arrivi, per vie traverse, da un manoscritto ritrovato fra i padiglioni dell’Expò 2015 e spiega: «loro, i dominanti sul suolo italico […] scelgono di non usare pubblicamente quel linguaggio più chiaro ed adeguato che corrisponderebbe appieno ai loro più intimi propositi». Certo quel che si dice nei comizi non corrisponde al pensiero dei presunti leader: racconta un’amante tradita (quella con cui ha tradito l’amante precedente, se la memoria non mi inganna) di Hollande che il presidente “socialista” in privato chiama «pezzenti, sdentati» o peggio quelli che in campagna elettorale corteggiò giurando di garantire la giustizia sociale… come ben si è visto.

La breve presentazione del libretto di Corbacci a me è parsa inutilmente complicata mentre la “riscrittura” costituzionale è davvero bella – ci costringe a riflettere su realtà e maschere, belle parole e fatti che le contraddicono – proprio per la sua «eloquente, sfacciata nudità».

Provo a immaginare – anche alla luce dei documenti e delle discussioni qui in “bottega” intorno al 4 dicembre – come questa Costituzione del Capitale potrebbe essere commentata da alcune/i di noi. Se vale ancora la divisione fra «apocalittici e integrati» è ovvio che i primi diranno “è già così” mentre i secondi negheranno o proprio non si porranno il problema… ammesso che passino per la “bottega”. Per fortuna, penso io, in mezzo fra gli apocalittici e gli integrati c’è un’area (non so quanto grande ma esiste) di non rassegnate/i: possono dirsi riformiste, rivoluzionarie o critiche ma sono comunque persone che non si arrendono e provano a combattere “lo stato di cose presente” che è, difficile negarlo, bruttino assai.

Qualche giorno fa Francesco Troccoli commentando in “bottega” il post «Il mio no è sociale» di Franco Berardi Bifo ha scritto: «Temo però che il NO al referendum sia un palliativo per porre rimedio a tutto questo. Chiunque, al posto di Renzi, avrebbe adottato e adotterà le stesse inique misure liberiste e distruttive dell’identità dei lavoratori. La lotta contro la progressiva erosione dei diritti dei lavoratori e dei cittadini è questione molto più ampia. Ma, lo ammetto, può alimentarsi anche di questa tappa, per cui quella tanto ben descritta resta una ragione più che legittima per votare in tal senso. Io ne aggiungo due, banalissime, più strettamente inerenti le ragioni del voto: 1) la riduzione della facoltà popolare di scelta dei propri rappresentanti (al Senato e nelle nuove autonomie che sostituiranno le province, che per nulla sparirebbero ma semplicemente cambierebbero nome); 2) la riduzione dell’autonomia dei territori. Per anni ci hanno spaccato i testicoli dicendo che il federalismo era la chiave vincente, sul modello della Germania, e adesso invece va di moda questo nostalgico neo-centralismo. Andare a votare resta per me una scelta inevitabile, ma sofferta, e votare NO è di certo un imperativo […]. E chiunque vinca, temo gli esiti di questa consultazione, che saranno strumentalizzati da questo e quell’altro per far sì che, fra orpelli fiscali, ulteriori misure drastiche, rischi di populismi o criptofascismi al potere, restrizioni o sospensioni ulteriori della nostra democrazia ormai “nominale” più che fattuale, fra un mese da oggi ci pentiremo tutti (noi, il cosidetto 99%) dell’esistenza del 4 dicembre 2016 sul calendario. Con viva speranza di essere smentito».

Sono d’accordo con l’asse del ragionamento di Francesco. Se il No prevarrà, come io mi auguro, i «Funzionari del Capitale» (il giusto nome che usa – anzi Usa – nel libretto Ireneo Corbacci) ovviamente giocheranno le loro carte di riserva. Potrebbe essere l’ennesimo governo “tecnico” o un’ammucchiata sfacciata che recuperi persino il signor tessera P2-1816, alias Silvio Berlusconi, ma secondo me è persino possibile la temporanea resurrezione di MDA, che sono sì le iniziali di Massimo D’Alema ma da sempre io le leggo come Mi Dà Angoscia.

Per quale altro motivo infatti MDA sarebbe salito sul “carro” del no? Sentendo puzza di sconfitta per Renzi – e speriamo che ci abbia preso – MDA ha pensato bene di riciclarsi e offrirsi per il dopo. Chi infatti darebbe più garanzie di lui al Capitale e alla Nato cioè agli Usa? E’ l’uomo della guerra alla Serbia e dell’ulteriore smantellamento dei diritti, per dirne solo due.

Insomma, come ha scritto Francesco Troccoli, «fra un mese da oggi ci pentiremo tutti (noi, il cosiddetto 99%) dell’esistenza del 4 dicembre 2016 sul calendario»? E’ possibile e purtroppo probabile, però c’è un fattore importante che Francesco non ha considerato. La mobilitazione per il «No» ha mostrato, anzi confermato, che esiste in Italia una grande, diffusa aggregazione sociale la quale conta e pesa, pur se non ha rappresentanza “politica”; i giornalisti (quasi tutti «Funzionari del Capitale», è ovvio) hanno fatto di tutto per cancellare questa realtà indicando in Salvini o MDA gli alfieri del «No». Se però domenica il «No» vincerà – magari di un soffio – è chiaro che questa variegata area ne trarrà ragioni e forza per continuare la lotta contro il governo dei «Funzionari del Capitale» con le sue varianti populiste e/o criptofasciste: come sempre il futuro dipende, almeno in parte, da ognuna/o di noi. Nella lotta contro «le restrizioni o sospensioni ulteriori della nostra democrazia» è possibile mettere le basi per un movimento di massa organizzato che, con il tempo, vada oltre la semplice difesa contro i vari Renzi, MDA, Prodi, Monti o Salvini. Sarà lunga e dura perché da tempo siamo in una palude velenosa … ma, caro Francesco e car* tutte/i è possibile che fra qualche anno ricorderemo il 4 dicembre 2016 come l’inizio della risalita dalle sabbie mobili.

LA VIGNETTA IN APERTURA è di VINCENZO APICELLA

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Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

Un commento

  • Onorato dell’attenzione a quello che era un semplice commento.
    Qui scrivi: “è possibile che fra qualche anno ricorderemo il 4 dicembre 2016 come l’inizio della risalita dalle sabbie mobili.”
    Sappi che puoi contar da ieri sul mio appoggio perché sia così e solo così.
    #IOVOTONO.

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