«Il cinema al tempo della visibilità lesbica»

Monica Macchi su «Sguardi che contano» di Federica Fabbiani

Se è la mano che impugna la penna

a scrivere la Storia,

è la mano che impugna la macchina da presa

a girare la storia

Questo librino della giornalista Federica Fabbiani spiega sin dal titolo l’intento, partendo dal presupposto che il lesbismo sia diventato visibile – quando addirittura non ipervisibile – sugli schermi mainstream occidentali (e a tal proposito sul numero di biofiction uscite nell’ultimo periodo si chiede e ci chiede caustica “una donna in via di riconoscimento dalla storiografia ha bisogno di una storia di letto lesbico per essere rappresentata?”).

Sorretto da un buon apparato teorico, affronta subito la definizione di film lesbico, individuando nel sesso l’esperienza lesbica (ossia la personaggia è lesbica se fa sesso con una donna) per ripercorrere poi alcuni approcci teorici della critica cinematografica femminista concentrandosi in particolare sul posizionamento della spettatrice di fronte alla lesbica che “chiede di essere guardata perché il suo desiderio, attraverso il suo/nostro sguardo, conta”. Ed è proprio lo sguardo che scardina il codice binario visibilità/invisibilità perché il “peccato” e il “crimine” risiedono non tanto nella diversità quanto piuttosto nell’ostentazione.

Si prosegue con un interessante excursus storico basato su una esaustiva filmografia (riportata integralmente in appendice e suddivisa tra film e serie tv): inizialmente il lesbismo è relegato ai porno poi è sfumato in un legame non erotizzato – “amicizia” o “sorellanza” – e ancora viene stereotipato nella figura della butch (una lesbica mascolina con tratti patologizzanti e patologizzati) infine, sebbene con una maggiore articolazione, viene fagocitato e digerito dal sistema neoliberista e patriarcale che lo trasforma in una merce controllata e garantita. Ancora una volta l’autrice contro “la tirannia del lieto fine” si chiede e ci chiede: “ma la normalità è veramente una conquista?”.

Ma ci sono film che superano questo inedito innesto del lesbismo sul modello familiare eterosessista in coppia (con moglie e prole) e un’aura romantica ed edulcorata: fra questi ne segnalo due. Il primo è La Favorita di Yorgos Lanthimos del 2018 dove il corpo di Anna Stuart (un “mostruoso femminile” come teorizzato da Barbara Creed) brutto, cagionevole e malato è comunque vivo, e come tale sfugge al controllo del patriarcato sovvertendo e annichilendo lo sguardo maschile. Il secondo è Vida, una serie tv ispirata al concetto di frontiera come strumento di de-costruzione delle ideologie egemoni della scrittrice e attivista femminista e lesbica Gloria Anzaldùa. Ebbene qui la protagonista è il mestizaje, cioè l’arte di vivere al confine, navigando in e tra culture e lingue, accettando e valorizzando ambivalenze, incertezze ed ibridità in una prospettiva latina queer femminista.

Un libriccino agile e nello stesso tempo denso, che si legge tutto d’un fiato, aspettando magari una prossima edizione sugli schermi non-occidentali.

 

Redazione
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