Il Congo negli occhi di Denis Mukwege

di Federica Tourn (*)

Più volte rinviate, le elezioni nel grande Paese africano sono ora fissate per il 23 dicembre. Ma per Denis Mukwege, il medico recentemente insignito del Nobel per la pace, è probabile un nuovo rinvio: «I difensori dei diritti umani sono sotto inchiesta»

foto: Endre Vestvik (via Flickr)

La Repubblica Democratica del Congo scalda i motori delle elezioni. Più volte rinviate, sono previste per il 23 dicembre 2018. E anche se Joseph Kabila, al potere dal 2001, non si ripresenterà, ci sarà il suo fedele delfino, Emmanuel Ramazani Shadary, conosciuto per aver represso nel sangue le manifestazioni contrarie al regime.

Il rispetto dei diritti umani è a rischio, dunque. Pochi conoscono la realtà locale meglio di Denis Mukwege, il medico congolese che ha dedicato la vita ad assistere donne vittime di stupri di guerra e che dal 5 ottobre è conosciuto anche per aver vinto il Premio Nobel per la Pace.

Mukwege, 63 anni, ha curato oltre 40mila donne nel suo ospedale congolese di Panzi, a Bukavu, nel Sud Kivu. E ha sempre definito gli abusi da loro subiti «non effetti collaterali di un conflitto, ma crimini di guerra veri e propri».Osservatorio Diritti pubblica oggi per la prima volta un’intervista inedita che risale allo scorso novembre.

Dottor Mukwege, qual è la situazione dei diritti umani nel suo Paese?
«Lo stato dei diritti umani si è molto deteriorato. Il governo utilizza la strategia del caos per prolungare il suo potere: siamo di fronte al rinascere di nuovi gruppi armati ed equipaggiati per ricominciare la guerra. E sappiamo che, quando c’è la guerra, non solo i diritti delle donne e dei bambini vengono violati, ma anche i difensori dei diritti umani sono sotto inchiesta e i giornalisti vengono messi in prigione. In particolare le associazioni senza scopo di lucro sono sotto il mirino del governo e non abbiamo di fronte a noi prospettive di miglioramento in Congo».

Le elezioni sono state rimandate più volte da Kabila. Quali sono le prospettive?
«Il fatto di posticipare le elezioni è anticostituzionale e fa sì che tutte le istituzioni in Congo siano illegittime, dal presidente della Repubblica al Parlamento fino agli organismi provinciali. In questa situazione aspettare fino alla fine del 2018 vuole dire che tutti gli abusi sono autorizzati dal fatto che ci si muove fuori dalla Costituzione. Sono anche convinto che siamo di fronte a delle manovre di Kabila per rimandare le elezioni a tempo indeterminato e continuare a esercitare il potere illegalmente, contro il volere del popolo congolese. Temo che alla fine a dicembre 2018 non si terranno affatto».

Se glielo chiedessero, accetterebbe il ruolo di leader di un governo di transizione?
«Ho sempre detto che bisogna essere pronti ad assumersi le proprie responsabilità e non ci si può sottrarre alle esigenze del popolo. Ma io vorrei che i congolesi capissero che un governo di transizione non è una finalità a cui tendere, ma soltanto l’eventuale inizio di una ricostruzione. Subito dopo dovrebbero infatti tenersi elezioni libere, trasparenti e credibili per permettere al popolo di scegliere i propri rappresentanti e dirigenti futuri».

(*) L’articolo integrale di Federica Tourn, “Congo: elezioni 2018 in una situazione di «non guerra non pace»”, in cui il Premio Nobel per la Pace parla anche della situazione delle donne nel Paese, può essere letto su Osservatorio Diritti.

 

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