Il difetto costruttivo – di Mark Adin

Delle novantotto donne uccise, da inizio anno, dai loro uomini, io non so nulla. Non conosco le singole vicende. Quando mi imbatto nella notizia, volta per volta, preferisco non leggere storie diverse per modalità di esecuzione, però sostanzialmente uguali. Preferisco non conoscere di luoghi e circostanze, sapere il numero delle coltellate inferte, l’imbecillità del congetturare sulle cause. Cause di che? Possono dunque esistere “cause” come, ad esempio, la gelosia? C’è sempre una volontà di spiegare, non tanto per comprendere quanto per giustificare, per riordinare, per assicurarsi di avere individuato, che so, in una questione di soldi, nell’acutizzarsi della temperie erotica, una ragione. Non lo si fa per completezza di informazione quanto per destinare ad una archiviazione fatti che abbiano, se pur spregevoli, topiche motivazioni. Spiegare che la mano del femminicida sia stata armata per un motivo conosciuto, in certa misura rassicura. Ma forse non è così. Potrebbe darsi che la causa non ci sia, che vi sia gratuità nell’efferatezza.
C’è chi sa spiegare tutto, chi è intelligente e ha chiavi di lettura: sociologiche, femministe, psichiatriche, antropologiche, ma non impedisce il ripetersi delle uccisioni. Il compito dell’inquirente si risolve nel metodo utilizzato nell’indagine, individua i colpevoli ma non può fermare la strage futura. E neppure la durezza e certezza della pena, anche se qualcuno dovesse, con un buon margine di ragione, ritenerle cose necessarie, mette fine al sangue. I matricidi, gli uxoricidi crescono inesorabilmente di numero, si affermano nell’orrore della compitazione statistica.
Ne ho conosciuti, di questi uomini-non più uomini, li ho potuti guardare negli occhi. Nel loro sguardo non vi era niente di diverso, nulla di così lontano da quello di chiunque altro.
Qualcosa, dentro di loro, qualcosa di indefinibile, era venuto violentemente a galla, esplodendo in pochi attimi devastanti. Tutto ciò, spesso, in assenza di una motivazione plausibile.
Molte cose ci sfuggono, nonostante siano disponibili, potenzialmente, mezzi intellettivi per spiegarle e moderne griglie interpretative.
Intanto il numero di tali tragedie cresce, ed atterrisce chiunque abbia senso del vivere.
Esistono validi mezzi di contrasto? Dubito.
Lo so, è triste ciò che sto dicendo. Contraddice l’intelligenza, ammazza la speranza.
Prima che si alzino le voci di quante e quanti, diversamente da me, hanno risposte, sicumere, strategie di contrasto, proposte di legge e quant’altro, prima del riflesso automatico di chi, legittimamente, non si trova d’accordo, meglio dire che – mi sembra ovvio – ogni tentativo di arginare, con qualsiasi mezzo, la strage, è del tutto giustificato. Purtroppo, non credo cambierà la situazione.
E nel manifestare questa mia eresia, aggiungo il carico: non penso neppure si possa parlare di violenza “di genere”. Certo, se si pretende di semplificare, di ordinare, di catalogare come consumati archivisti, possiamo comodamente usare etichette e categorie. La spiegazione che, dietro questi oscuri delitti, ci sia soltanto la mano del potere maschile e maschilista non mi convince del tutto.
Lo scoppio di violenza ha prevalentemente un segno, è vero, ma non esaurisce la casistica. Il tema dei fatti di sangue consumati tra le mura domestiche è, anche se in misura decisamente minore, da ascriversi anche a donne che uccidono i propri padri e mariti e figli, o altre donne. Il quadro, come al solito, più lo si guarda, più diventa complesso.
Qualcuno potrebbe obiettare che, se volessimo esaminare ciascun fatto di cronaca (quanto mi è odiosa questa parola) nella sua estesa complessità, potremmo non venire più a capo di nulla. In effetti, il rischio c’è. Quando si allarga il campo, si può finire per perdersi. Del resto, è pur vero che anche quando lo si restringe si finisce comunque per sbagliare.
Ciò che conduce il mondo della coppia a ritirarsi in ambiti di relazione troppo angusti, a implodere la gioia del vivere assieme, come uno straccio bagnato che si strizza, a schiacciare invece di elevare, a diventare talmente stretto da far mancare l’aria, a originare il gorgo, “il rivo strozzato che gorgoglia”, potrebbe essere qualcosa che supera il nostro pur necessario bisogno di renderci ragione. Potrebbe trattarsi di un che molto più buio di un normale fatto di sangue, potrebbe essere un “difetto costruttivo” che incomincia a manifestarsi, un segnale di instabilità di genere, sì, ma di genere… umano.
I frutti velenosi del capitalismo, ovvero della vita vissuta solo in funzione della produttività e del consumo, sono anche questi, e si propongono avendo ormai esaurito la loro fase di latenza. Non sarà facile cambiare, nonostante i doverosi tentativi di ristabilire tutta la “giustizia” possibile.
Resta il nostro impegno, ostinato e solitario, a ripristinare attenzione, a esercitare in ogni momento della vita le nostre idee, residue e convinte, di resistenza sempre più ardua, in tutte le forme che sapremo mettere in atto, per quanto insufficienti.

Mark Adin

Redazione
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4 commenti

  • Anch’io, come uomo e come scrittore, sto da tempo analizzando la questione di cui scrivi. Anzi, le questioni. Registro anch’io il fastidio per i crescenti femminicidi e ho il brutto vizio di provare anche a cercare delle motivazioni. Anticpando il fatto che spesso ogni episodio è una storia a sè, mi sono impegnato nella ricerca di alcune cose in comune, cercando di non cadere nel luogo comune e sempre avendo ben presente come ogni punto della mia ricerca sia da considerarsi “in generale” o “nella maggioranza dei casi”. Con tutto ciò che di poco giusto ne consegue per chi è personalmente coinvolto in tragedie senza scampo.

    1-Antropologicamente il maschio è più aggressivo della femmina. Ho 3 figli, frequento quindi amici, famiglie, parchi pieni di bambini ed è così.

    2-Il maschio, antropologicamente, è più pauroso della femmina e si fida meno.

    3-In Italia, la giustissima “ascesa femminista” della donna, dagli anni 70 in poi, non ha trovato nè una risposta sociale, nè una risposta politica. Questo ha portato i maschi in una situazione di “frustrazione” che non trova nuove basi su cui fondare il rapporto con il partner.

    4-Il maschio crea un branco e si fa forte con quello, il branco legittima i comprtamenti contro la femmina e deride il contrario. Il maschio che attacca la femmina, si sente in qualche modo “scusato” per tutto quello che fa o potrebbe fare.

    5-La femmina non fa branco e odia l’altra femmina giudicandola una rivale, spesso gode delle sventure della femmina fintamente amica. Non facendo branco, si fida del branco maschio e questo può tradirla.

    Mi fermerei qui, probabilmente ne ho già sparate anche troppe. Grazie.

  • Marco Pacifici

    Marco Mark Adin è stata Gioia ri-conoscerti-vi dal vivo dal vero ieri a Tuscania. Luigi: sei un Umano coraggioso ; se capiti su feis buk il mio profilo (che ci son tanti marchi pacifici…) è quello con “non accettate sogni dagli sconosciuti” : leggendo vedrai che abbiamo molte opinioni simili , puoi vedere sul mio commento alla splendida poesia(ode la chiamerei) di Edoardo Sanguineti alle Donne Femmine . Marco Pacifici. (mi fermo qui perchè faccio parte dell’ala “ignorante” del Movimento Antagonista e non riesco piu a scrivere a lungo). Che la Vita ci sia leggera.

  • ragazzi ma di che parlate?
    peoprio oggi su radio 3 hanno raccontato dei centri antiviolenza e come la loro presenza sul territorio abbassi notevolmente non solo il femminicidio ma persino le violenze meno gravi.cercate in podcasting parlava iacona.
    poi avete appena pubblicato un bellissimo articolo sulle capanne della pace!
    imsomma la prevenzione funziona le buone pratiche esistono vanno solo estese e finanziate..

  • Non credo che si possa ricondurre il femminicidio alla generalizzata crescita di violenza che invade molte (tutte?) società.
    Capisco il ragionare di Mark ma mi pare sottovaluti la specificità: ovunque o quasi c’è una educazione al disprezzo di bambine, ragazze e donne accompagnata spesso da leggi che ne sminuiscono (o addirittura) cancellano la gravità; ne consegue che quando c’è da “sfogare la violenza” questi esseri poco rispettabili, inferiori, indegni sono il primo bersaglio. Dove e quando questa educazione al disprezzo è ostacolata; dove gli assassini, i violentatori e i molestatori non riscuotono consenso; dove non si permette alle religioni di calunniare metà dell’umanità, dove si fanno leggi migliori (tanto per citare due Paesi: Marocco e Argentina) e poi le si fa rispettare … io sono certo che la vita è un poco migliore per tutte e tutti.
    Poi restano miliardi di passi da fare per liberarci da tante altre violenze ma se non riconosciamo che il femminicidio è un problema dei maschi (di come sono educati contro le donne) secondo me avvaloriamo un equivoco.
    Qundo parlo di educazione non penso solo a talibani o Iran ma anche alla nostra società. Per esempio alla pubblicità: mi ha colpito il silenzio, qui in blog, sul post “Donne in strada a vender cosa?”. A me sembra che il lavoro ventennale di Ico Gasparri dimostri come si sia lavorato per far crescere il disprezzo e l’istigazione alla violenza. Ico Gasparri non è, per fortuna, l’unico maschio che si ponga in modo serio – cioè drammatico – la questione, come ci ricordano, qui in blog, alcuni articoli di Maria G. Di Rienzo e altrove l’impegno di Maschile Plurale o di Uomini in cammino. Minoranze certo, piccolissimi gruppi almeno in Italia. ma che incidono e possono crescere, come ci dimostra l’esperienza di altri Paesi. (db)

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