Il diritto di resistenza nelle lotte…

…e nelle Costituzioni latinoamericane

di Maria Teresa Messidoro, presidente associazione Lisangà, «culture in movimento» di Giaveno (*)   

Premessa personale: non sono né un avvocato, né una studiosa in senso classico, semplicemente una persona che da anni si occupa di – cercando di comprenderne la realtà – America Latina.

Premessa generale: è importante confrontarsi con altre situazioni, in questo caso l’America Latina, senza però prenderle come oro colato, né immaginare di trasportarle totalmente nel nostro contesto.

I diritti umani si dividono in

Prima generazione – i diritti individuali (a esempio il diritto alla vita e all’integrità fisica, o alla libertà di espressione)

Seconda generazione – i diritti economici – socio culturali (diritto alla casa a esempio)

Terza generazione – i diritti di solidarietà o collettivi (diritto all’autodeterminazione a esempio)

di recente si è introdotta una Quarta generazione, i diritti per tutelarsi dalle minacce di nuove tecnologie (per esempio il diritto a un cibo non ogm)

 

Esiste dunque anche il diritto alla resistenza?

La risposta per me è sì, anzi è un dovere.

Sono proprio le lotte dei popoli latinoamericani a dimostrarlo, in modo così forte da imporre questo Diritto alla Resistenza addirittura nelle proprie Costituzioni.

Primo esempio il Nicaragua

Dal 1984 all’86, dopo la vittoria del sandinismo contro la dittatura di Somoza (nel luglio 79) dopo una consultazione popolare fu promulgata una Costituzione, in cui, nell’articolo 1, si cita il Diritto alla Resistenza, con le armi se necessario. Ciò non sarebbe stato possibile senza la lotta del popolo nicaraguese.

Secondo esempio l’Ecuador

Nel 2008, in Ecuador, viene promulgata la nuova Costituzione, appartenente a quel gruppo che viene definito di nuova generazione: una Costituzione tra le più ampie al mondo, che dedica un’intera sezione al Buen Vivir; all’articolo 98 di questa sezione si parla esplicitamente di Diritto alla Resistenza. Una costituzione “imposta” dalla caratterizzazione indigena del movimento che ha portato all’elezione del Presidente Correa.

Criticità: non bastano ovviamente le Costituzioni ovviamente per affermare concretamente un diritto; proprio in Ecuador in questi anni, e parzialmente anche in Nicaragua – dove comunque le minoranze indigene sono fra le più tutelate al mondo – ci sono state lotte di resistenza contro devastazioni, usurpazioni, etc…

La lotta trasforma: un esempio significativo dell’incidenza delle lotte popolari nell’acquisizione di nuove consapevolezze anche a livello più istituzionale è quello di monsignor Romero, vescovo di San Salvador: era un tradizionalista, conservatore, nato nella culla dell’oligarchia borghese salvadoregna e proprio per questo venne eletto arcivescovo in una situazione drammatica come quella del Salvador ma poi fu ammazzato nel 1980, perché si era fatto “convertire” dal suo popolo.

Alcuni elementi delle lotte latinoamericane, legate al diritto di resistenza che possono essere interessanti anche per noi:

  1. La capacità dei popoli latinoamericani di individuare elementi comuni, di appartenenza e unificanti, capaci di contrastare/arrestare la frammentazione che il potere economico e politico porta avanti nella nostra società moderna.
  2. Capacità di far emergere responsabilità precise: ad esempio è il sistema economico – e quello politico che lo tollera, o lo appoggia , o lo difende – a essere responsabile della fame, che colpisce ancora moltitudini di persone; in apparenza non si violano diritti, tutto appare fatalità, o casualità.
  3. L’affermazione del diritto di sfidare proibizioni “legali”, quando questi atteggiamenti di sfida possono concretizzare diritti fondamentali – vedere la lotta dei Sem Terra del Brasile.
  4. Capacità di trasformare la propria identità collettiva, cultura, lingua, tradizione in un valore, opponendosi al luogo comune di un pericoloso “ritorno al passato”, anti-moderno, anti-progressista, etc … Si veda in Guatemala la valorizzazione di un diritto maya presente accanto a quello “occidentale”, o la creazione di Università Popolari per il recupero di antichi saperi.

 

Alcuni esempi di lotte latinoamericane attuali:

  • Resistenza indigena in Guatemala contro le centrali idroelettriche e non solo.
  • Resistenza in Honduras, contro un colpo di stato prima, contro una frode elettorale ora (nel mese di novembre) e contro la repressione generalizzata contro le organizzazioni popolari (vedere il sito della cantante Karla Lara,. Che dedica una sezione al “Trabajo en resistencia”).
  • Resistenza in Honduras del popolo Lenca che ha costretto, dopo otto mesi di lotte, la multinazionale cinese Sinoydro a ritirare i propri macchinari dal progetto idroelettrico Agua Zarca.
  • Resistenza in Cile dei Mapuche.
  • Resistenza in Colombia, per esempio contro la Centrale di Hidrouituango e Il Quimbo.
  • Resistenza dei Sem Terra in Brasile, una lotta che dura da più di 30 anni.
  • Resistenza in Ecuador contro lo sfruttamento petrolifero della zona di Yasuni, proprio appellandosi al diritto di Resistenza citato nella Costituzione.
  • Resistenza in El Salvador contro le miniere, creando la cosiddetta “Mesa frente de la Mineria”.
  • Resistenza in Bolivia, in difesa della zona del Tipinis, dove proprio l’anno scorso c’è stata una grande manifestazione popolare di donne, con lo slogan «Siamo tutte Berte», a sostegno di Berta Bejarano, leader indigena, accusata di “terrorismo” per la sua attività a favore della terra.
  • Resistenza a Cuba contro le ingerenze e minacce statunitensi, in particolare nella campagna per la liberazione dei Cinco, portata avanti senza tregua da anni.
  • E poi ancora…

 

Indovinello finale

Esistono elementi in comune fra la lotta di resistenza in Val di Susa e quella portata avanti dai popoli latinoamericani?

Leggete questa frase tratta dal «Popol Wuj», testo sacro Maya e ditemi a cosa può essere apparentato ……

«Que todos se levanten, que se se llame a todos, que nadie se quede atras de los demas» (Che tutti si alzino, che si chiami tutti, che nessuno rimanga indietro rispetto agli altri).

Grazie e che la Resistenza continui

(*) Bussoleno, 7 dicembre 2013, nell’ambito del convegno «Il diritto alla resistenza» organizzato dal movimento No Tav. Qui sotto i materiali allegati alla relazione.

Ciò che dicono le Costituzioni latinoamericane

  1. La costituzione in Nicaragua

Cronologia del processo costituzionale

4 novembre 1984

Elezioni nazionali, nelle quali si eleggono i 96 rappresentanti dei sette partiti politici dell’Assemblea Nazionale, incaricata di redarre la nuova Costituzione, dopo la dittatura somozista, nei primi due anni del suo mandato.

Maggio 1985

L’Assemblea Nazionale nomina una Commissione Speciale Costituzionale di 22 membri, rappresentanti di tutti i partiti, con il compito di organizzare una Consultazione Nazionale sulla Costituzione per giungere alla sua stesura definitiva.

Agosto – settembre 1985

Inizia la Consultazione Nazionale: i partiti politici e 13 organizzazioni sociali si presentano all’Assemblea avanzando le proprie proposte di Costituzione.

Ottobre 1985- Gennaio 1986

Redazione del primo progetto della Costituzione. Nella Commissione Speciale si raggiunge il consenso di 165 su 221 articoli, lasciando alla Consultazione Popolare la discussione sui principi più controversi.

Febbraio 1986

Viene reso pubblico il primo Progetto di Costituzione del Nicaragua

Maggio – giugno 1986

Si svolgono 73 Cabildos Abiertos (Assemblee Popolari), nei quali ogni settore della società ha l’opportunità di esprimere opinioni sul progetto. Si calcola che circa 50.000 persone abbiano partecipato, con 2500 interventi e 1800 contributi scritti.

(La popolazione del Nicaragua era di circa 3.500.000 abitanti)

Luglio – agosto 1986

Revisione del progetto da parte della Commissione Esaminatrice Costituzionale, che terrà conto delle assemblee popolari, dei contributi scritti di singoli cittadini, organizzazioni nazionali e internazionali. I mezzi di comunicazione danno ampio spazio alla discussione in corso.

Settembre- Dicembre 1986

Il documento, presentato dalla Commissione, viene discusso e approvato dall’Assemblea Nazionale.

9 gennaio 1987

Firma e promulgazione della nuova Costituzione Politica del Nicaragua, composta da 11 titoli e 202 articoli.

 

Dalla Costituzione

Articolo 1

L’indipendenza, la sovranità e l’autodeterminazione nazionale sono i diritti irrinunciabili del popolo e fondamento della nazione nicaraguense. Ogni ingerenza straniera negli affari interni del Nicaragua o qualsiasi tentativo di ridurre questi diritti, attentano alla vita del popolo E’ diritto del popolo e dovere di tutti i cittadini preservare e difendere con le armi in mano, se è necessario, l’indipendenza della patria, la sovranità e l’autodeterminazione nazionale.

Articolo 2

La sovranità nazionale risiede nel popolo, fonte di ogni potere e costruttore del proprio destino. Il popolo esercita la democrazia decidendo e partecipando liberamente alla costruzione del sistema economico, politico e sociale, che è più conveniente ai suoi interessi.

Il potere è esercitato direttamente e attraverso i suoi rappresentanti liberamente eletti con il suffragio universale, uguale, diretto, libero e segreto.

 

  1. La costituzione dell’Ecuador

La Costituzione dell’Ecuador, approvata nel 2008, è una delle più ampie al mondo, composta da ben 444 articoli, divisi in 40 capitoli., raccolti in 9 titoli.

Il sesto titolo è interamente dedicato allo Sviluppo, il settimo al Buen Vivir, in riferimento all’educazione, salute, sicurezza nazionale, cultura, biodiversità e risorse naturali, ecologia urbana ed energia alternativa.

Titolo IV, capitolo primo (Partecipazione alla democrazia), art. 98

Gli individui ed i gruppi potranno esercitare il Diritto alla resistenza di fronte ad azioni od omissioni del potere politico, di persone fisiche o giuridiche non statali che debilitano o possono mettere a repentaglio i loro diritti costituzionali, e richiedere il riconoscimento di nuovi diritti.

 

A proposito di violenza e resistenza

Monsignor Romero, arcivescovo di San Salvador

Ucciso il 24 marzo 1980, mentre celebrava messa, a San Salvador, da un sicario su mandato di Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore ARENA. Durante il funerale, a cui parteciparono migliaia di persone, l’esercito aprì il fuoco sui fedeli, compiendo un nuovo massacro.

«(La violenza istituzionalizzata) si manifesta nelle organizzazioni e nel funzionamento quotidiano di un sistema socioeconomico e politico che accetta come normale e abituale che il progresso non sia possibile se no con l’utilizzazione della maggioranza della popolazione come forza produttiva da parte di una minoranza privilegiata. Incontreremo storicamente questo tipo di violenza tutte le volte in cui la macchina istituzionale della vita sociale funzioni a beneficio di una minoranza e sistematicamente discrimini quei gruppi e quelle persone che difendono il vero Bene Comune.

(La violenza repressiva dello Stato) è una vera violenza ed è ingiusta perché con essa lo Stato difende, soprattutto e con i propri poteri istituzionali, la persistenza di un sistema socio economico e politico in atto, impedendo di fatto la vera possibilità che il popolo – come soggetto ultimo della volontà politica – possa trovare un nuovo cammino istituzionale verso la giustizia».

Terza Carta Pastorale, agosto 1978

«La giustizia è il criterio per giudicare la violenza… Per la sua ispirazione evangelica, la Chiesa si sente stimolata a cercare la pace prima di tutto. Però la pace che la Chiesa cerca è una pace di giustizia. Per questo, i suoi giudizi sulla violenza che turba la pace, non possono dimenticarsi dei postulati su cui si fonda la giustizia. Ci sono giudizi differenti, a seconda delle differenti forme di violenza, per cui la Chiesa non può affermare, in forma semplicistica, che condanna qualsiasi tipo di violenza… La Chiesa condanna la violenza repressiva e autoritaria dello Stato. Sappiamo bene come in El Salvador si reprima, ogni volta in forma sempre più violenta e ingiusta, qualsiasi forma di dissidenza contro la forma attuale del capitalismo e della sua istituzionalizzazione politica, ispirata alla teoria della Sicurezza Nazionale.

Sappiamo anche che la maggioranza dei contadini, operai, abitanti dei tuguri, etc che si sono organizzati per difendere i propri diritti e promuovere legittimi cambiamenti strutturali, siano semplicemente definiti “terroristi” o “sovversivi” e per questo sono catturati, fatti sparire o assassinati, senza poter contare su una legge o istituzione giuridica che li protegga o dia loro l’opportunità di difendersi o provare la propria innocenza.

Di fronte a questa situazione svantaggiosa e ingiusta, si sono visti molte volte obbligati ad auto-difendersi anche in forma violenta, trovando ancora di fronte, come risposta, la violenza arbitraria dello Stato.

(…) Per legittimare la violenza insurrezionale e di legittima difesa c’è bisogno:

  1. che la violenza della legittima difesa non sia maggiore della violenza ingiusta (a esempio se è sufficiente difendersi con la mano non è lecito sparare un colpo all’aggressore)
  2. che si ricorra alla violenza solo dopo aver provato tutti i mezzi pacifici possibili, senza risultato
  3. che la difesa violenta non comporti come conseguenza un male peggiore di quello che si cerca di eliminare.

Il cristiano è pacifico, ma non passivo».

Quarta Carta Pastorale, agosto 1979

 

LE GENERAZIONI DEI DIRITTI UMANI

Sono individuate quattro generazioni di diritti umani.
LA PRIMA GENERAZIONE: i diritti civili e politici
La prima generazione dei diritti umani viene fatta risalire al 1789, quindi alla fine della Rivoluzione francese con l’approvazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Sono diritti che nascono dalla rivendicazione di una serie di libertà fondamentali che erano precluse ad ampi strati della popolazione. Si tratta in particolare del
diritto alla vita e all’integrità fisica e poi di tutti quei diritti legati allalibertà di pensiero, di religione, di espressione, di associazione, il diritto alla partecipazione politica, all’elettorato attivo e passivo.
Con questi diritti si rivendicano una serie di libertà, in particolare legate agli aspetti di partecipazione politica, è per questo motivo che si parla di diritti a matrice liberale.

LA SECONDA GENERAZIONE: i diritti economici, sociali e culturali
Questa seconda generazione ha origine con la Dichiarazione universale del 1948 e comprende diritti di natura economica, sociale e culturale (come per esempio ildiritto all’istruzione, al lavoro, alla casa, alla salute).
L’esercizio effettivo di questi diritti dovrebbe contribuire al miglioramento delle condizioni di vita del cittadino. In questo senso si parla di diritti di matrice socialista, contrapponendoli a quelli di matrice liberale della prima generazione.
Infatti i diritti di prima generazione sono importantissimi, ma è anche vero che è necessario prima di tutto garantire condizioni minime di sopravvivenza uguali per tutti, che facciano da base comune per l’effettivo esercizio delle libertà fondamentali.
 

LA TERZA GENERAZIONE: i diritti di solidarietà
Questi diritti sono di tipo collettivo: significa che i destinatari non sono i singoli individui, ma i popoli. Ecco quindi che si parla di
diritto all’autodeterminazione dei popoli, alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio ecologico, al controllo delle risorse nazionali, alla difesa ambientale.
Sono anche diritti di tipo solidaristico: vuol dire che ogni popolo ha responsabilità nei confronti degli altri popoli, in particolare nei confronti di quelli che si trovano in situazioni di difficoltà. Si pensi al problema dello sviluppo: molti Paesi si trovano in condizioni di povertà perché non sono in grado di fornire cibo a tutti gli abitanti o perché sono colpiti da malattie che non sono in grado di curare a cause della mancanza di denaro per acquistare le medicine. Ora, di fronte a queste situazioni scatta, o dovrebbe scattare, il dovere di solidarietà dei Paesi più ricchi, per due motivi. Primo perché esistono responsabilità storiche (si pensi a come certe parti del mondo sono state sfruttate durante l’epoca coloniale); secondo perché spesso queste diseguaglianze sono la conseguenza di meccanismi di commercio praticati a livello mondiale senza considerare che alcuni Paesi del mondo possano subire gravi conseguenze.
Ecco quindi che si è sentita la necessità di tutelare anche i popoli, intesi come gruppi di individui, cui vanno riconosciuti diritti collettivi in modo tale da creare le condizioni affinché si possano poi effettivamente realizzare i diritti individuali.
Fanno parte dei diritti di terza generazione anche quelli che tutelano categorie di individui, ritenute particolarmente deboli ed esposte a pericoli di violazioni dei loro diritti: si tratta in particolare dei diritti dell’infanzia e dei diritti della donna.

LA QUARTA GENERAZIONE: i nuovi diritti
Esiste infine una quarta generazione di diritti, che tuttavia non è ancora stata elaborata con precisione essendo un fenomeno molto recente: sono quelli relativi al campo delle manipolazioni genetiche, della bioetica e delle nuove tecnologie di comunicazione.
La nascita di questi nuovi diritti è la conseguenza di nuove tecnologie e deriva dalla minaccia causata. Si pensi ai danni che possono causare alla salute i cibi geneticamente modificati, oppure ai pericoli in cui possono incorrere specialmente i bambini utilizzando internet. Essendo una nuova categoria occorrerà un po’ di tempo perché questi diritti vengano formulati con precisione e introdotti in documenti ufficiali.

 

Teresa Messidoro

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