Il ferroviere messicano Demetrio Vallejo

David Lifodi racconta “colui che non si piega”: una storia che dagli anni ’50 può aiutarci nel duro oggi

Il meglio del blog-bottega /134…. andando a ritroso nel tempo (*)

Messico, fine anni ’50: storie di mobilitazioni operaie, di sindacalismo indipendente, di una classe lavoratrice in autogestione. Come dimenticare la figura di Demetrio Vallejo e le lotte dei ferrocarrileros, i ferrovieri messicani? Allora, come adesso, in Messico dominava la corruzione e spadroneggiavano charros (ras sindacali filopadronali) e sindacati gialli (venduti all’azienda). Al contrario, definirsi militante vallejista significava identificarsi in un’ideale di onestà, rettitudine e lotta contro la repressione: il nome di Demetrio Vallejo, durante il ’68 messicano, veniva scandito in tutte le manifestazioni di studenti e lavoratori. Nel Messico di oggi, dove gli anni dell’insurgencia obrera sono ormai un lontano ricordo per un paese lacerato dalla violenza del narcoterrorismo, dove lo Stato è assente o appare sulla scena solo per reprimere in maniera indiscriminata qualsiasi forma di opposizione sociale, il ricordo di Vallejo resiste soprattutto nella mente di chi ha partecipato al ciclo di lotte dei ferrovieri messicani. Da quando aveva compiuto 18 anni, Vallejo ha lavorato nelle ferrovie e, di pari passo, ha militato nelle varie organizzazioni sindacali messicane. Lotte per l’aumento salariale, certo, ma anche per l’indipendenza sindacale e la democrazia all’interno del Sindicato Nacional de Trabajadores Ferrocarrileros de la República Mexicana (Stfrm). Gli scioperi del biennio 1958-59 paralizzarono il Messico, ma ebbero anche il merito di infliggere ai charros una delle più cocenti (e purtroppo effimere) sconfitte della loro storia, soprattutto in occasione della nomina di Vallejo alla segreteria dell’Stfrm con una maggioranza schiacciante e solo nove voti contrari. Tra gli ultimi mesi del 1958 e l’inizio dell’anno successivo, l’esecutivo dell’allora presidente López Mateos sembra alle corde: nel giro di pochi mesi incrociano le braccia in rapida successione Ferrocarril del Pacífico e Ferrocarril Mexicano. Gli aumenti concessi dal governo somigliano più ad un’elemosina che all’apertura di una trattativa seria, arrivano i licenziamenti a pioggia (oltre novemila), la protesta si allarga e si radicalizza. La risposta del governo, però, non si ferma qui. Sui ferrovieri che riescono a resistere in sciopero fino all’Aprile del 1959 si abbatte una violenta ondata repressiva: le sedi sindacali vengono occupate militarmente dall’esercito ed oltre 800 ferrovieri vengono arrestati e sconteranno molti anni di prigione. Tra loro, con la pesante accusa di sabotaggio, Demetrio Vallejo, la cui detenzione, paradossalmente, lo aiuterà a farlo entrare di diritto nella storia del movimento operaio messicano. Il governo pensava che bastasse seppellirlo in prigione per farlo cadere nell’oblio, preoccupato che il contagio comunista dilagasse in tutto il paese. Vallejo entra in carcere il 28 Marzo 1959 per rimanerci “11 anni, 4 mesi e un giorno”, come amava ripetere. Solo pochi mesi prima, il 1 Gennaio 1959, aveva trionfato la Rivoluzione cubana: così si spiega la brutale repressione governativa contro i dirigenti del sindacato ferrovieri, ritenuti l’aristocrazia operaia e, per questo, capaci di mobilitare il paese. Per i ferrovieri è un periodo durissimo: nelle caserme sono interrogati e torturati non solo i ferrocarrileros, ma anche studenti e operai: come era possibile che quel movimento, nato dal nulla, avesse scosso il Messico dalle sue fondamenta? In realtà le lotte dei ferrovieri avevano avuto un prologo tra la metà degli anni ’30 e la fine degli anni ’50 quando, in piena fase di industrializzazione (e conseguente sviluppo della rete ferroviaria messicana), contemporaneamente aumentava il livello di sfruttamento dei lavoratori e gli aumenti salariali erano pura utopia. Già allora, le manifestazioni e gli scioperi per condizioni di vita migliori erano frequenti. Scarcerato prima del termine effettivo della sua condanna e riconquistata la libertà, per la quale non finirà mai di ringraziare il movimento studentesco del 1968 e le oceaniche manifestazioni nello Zócalo di Città del Messico, Demetrio Vallejo si riunì di nuovo alle lotte sociali. Dopo 11 anni di carcere, là fuori il sindacalismo indipendente era stato sconfitto ed i charros avevano ripreso il loro posto, ma Demetrio Vallejo non aveva certo intenzione di arrendersi. Già negli anni del carcere, quando aveva scritto una commovente lettera al movimento del ‘68 in cui annunciava il suo sciopero della fame in segno di solidarietà con gli studenti, sulle riviste Política e Siempre! ragionava su come costruire un nuovo partito come strumento di lotta dei lavoratori: un modo per far rinascere la coscienza di classe nel suo paese. L’occasione arrivò con i nuovi moti dei ferrovieri nel 1971-72 e con la nascita del Partido Mexicano de los Trabajadores (Pmt). Nel 1985 aderì al Partido Socialista Unificado de México (Psum) e fu eletto deputato federale, carica che ricoprì per poco tempo a causa della morte che se lo portò via il 24 Dicembre 1985. Elena Poniatowska, battagliera intellettuale messicana, dedicò alla vita straordinaria di Demetrio Vallejo il romanzo El tren pasa primero, in cui celebrava le lotte dei ferrovieri messicani come le più significative dopo la rivoluzione del 1910. In un articolo scritto per La Jornada da Luis Hernández Navarro (studioso dei movimenti sociali e storico corrispondente dai territori zapatisti) in occasione dell’anniversario della sua morte, a Vallejo viene accostato il termine “el indoblegable”, colui che non si piega, non cede, non intende farsi sottomettere. Non è un caso: il leader dei ferrovieri messicani veniva dallo stato di Oaxaca, da sempre terra di grandi proteste popolari, basti pensare agli scioperi dei maestri da cui era nata la Appo (l’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca), che tra il 2006-2007 riuscì a tenere sotto scacco il governo priista di Ulises Ruiz nonostante una repressione selvaggia. Vallejo, riflette Navarro, “merita di essere ricordato come un modello di etica nella sinistra, il che assume un significato speciale in un’epoca in cui i valori della politica sono ai minimi storici”. A testimoniarlo, una frase scritta di suo pugno negli anni della prigione e contenuta nel libro “Yo acuso” (1963), uno dei più letti insieme a “Las luchas ferrocarrileras que conmovieron a México” (1964): “Lo que no soy ni seré jamás, es ser traidor a mis convicciones, a mi clase, a mi pueblo y a mi patria, cualquiera que sean las circunstancias que la vida me depare”.

(*) Anche quest’anno la “bottega” recupera alcuni vecchi post che a rileggerli, anni dopo, sono sembrati interessanti. Il motivo? Un po’ perché quasi 14mila articoli (avete letto bene: 14 mila) sono taaaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà: e allora viva&viva il diritto alle vacanze che dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque; recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto di ritrovare semi, ponti, pensieri perduti… in qualche caso accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. [db]

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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