«Il futuro addosso»

Gian Marco Martignoni su libro di Ferruccio Capelli

Nel 2008 Ferruccio Capelli, direttore della Casa della cultura di Milano, pubblicando il libro «Sinistra light» ha messo ben a fuoco il dominio del populismo mediatico e la costruzione di un immaginario degli italiani fondato su una serie di disvalori – il primato dei consumi e degli svaghi, l’utilitarismo individualista e l’essere rampanti -, come la naturale conseguenza di una «guerra civile culturale» sul piano della egemonia vinta a livello internazionale dal liberalismo conservatore, a fronte della crisi del movimento operaio e di quel protagonismo di massa che aveva contraddistinto gli anni ’60 e ’70. Ora con «Il Futuro Addosso» ( pag.214 euro 19,50 da Guerini e Associati ) allarga l’orizzonte del suo sguardo e affronta il sistema mondo, investito dall’ondata populista, nel tentativo di comprendere la genesi di un fenomeno di portata globale. Insomma, se nell’altalena delle scadenze elettorali sono emersi leader populisti come Trump, Modi, Bolsonaro, Duarte, Salvini, Orban e la Le Pen, quali sono le somiglianze che li accomunano? E soprattutto come si spiegano i loro travolgenti successi sulla base di parole d’ordine in cui la fondamentale cifra stilistica è la brutalità del discorso? Per Capelli non dobbiamo farci suggestionare dall’idea che sia stata l’esplosione della crisi economica nel 2007-2008 a fungere da detonatore per la diffusione dei populismi. Bisogna invece ricostruire la storia delle trasformazioni epocali che sono avvenute negli ultimi quarant’anni, grazie anche alle nuove applicazioni della scienza e della tecnica, a partire da una lettura critica della globalizzazione capitalistica che, sotto la guida del Washington consensus, ha aperto la strada alle politiche delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni in tutti quei settori in cui il ruolo del pubblico aveva storicamente una notevole rilevanza.

Le conseguenze dell’affermazione planetaria dell’ideologia neoliberale, attraverso l’assolutizzazione della centralità del mercato e la messa degli individui in concorrenza, hanno inciso per Capelli sia nelle dinamiche che nella percezione

stessa delle relazioni sociali. Se in precedenza la solidarietà di classe e la cooperazione sociale avevano garantito un lineare progresso delle condizioni economiche, sociali e culturali delle classi subalterne, ora il dilagare dell’individualismo, la frantumazione del lavoro e l’indebolimento dei legami sociali hanno determinato uno scenario in cui emergono la disintermediazione della vita privata e pubblica, la solitudine involontaria e lo spaesamento all’interno di una civiltà dello spettacolo più che sommersa dall’abbondanza delle “informazioni”. In questo contesto il futuro si presenta a tinte fosche – per le nuove generazioni il surriscaldamento climatico e la condizione di lavoro precario incombono drammaticamente – stante l’eclissi dei partiti e la crisi di qualsiasi forma di aggregazione pubblica; dunque niente di più facile che nel discorso pubblico predomini chi (per dirla con il Bauman di «Retropia») guarda all’indietro, cioè verso il passato come tutti i movimenti nazional-populisti. Ed ecco all’interno della crisi della rappresentanza la ricerca di un capo che, grazie ai nuovi dispositivi tecnologici, può aizzare la folla della rete, trova linfa per i suoi consensi, indicando alle masse impaurite e disorientate nello straniero o nel diverso il capro espiatorio contro il quale indirizzare una distruttiva aggressività. Pertanto, molto correttamente Capelli segnala che «ogni populismo costruisce il suo popolo» ma rifuggendo dalla scorciatoia di quanti pensano come Chantal Mouffe che l’antidoto alla “peste” populista di destra consista nel contrapporre un populismo di sinistra. Capelli dedica il dodicesimo capitolo del libro a una classificazione dei populismi, che è assai indicativa delle varie tendenze con cui siamo e saremo obbligati a misurarci nella nostra quotidianità.

 

Redazione
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Un commento

  • domenico stimolo

    Tanto si tuonò, per gioco e vanesia…che finalmente piovve. Si inizia dall’UNGHERIA.
    Raggiunti i tanti agognati “PIENI POTERI” …..richiesti anche a viva voce….nel corso dell’estate….. in Italia dal nostro Salvini.
    Un dolce eufemismo, per non chiamare l’uomo solo al comando: dittatura.

    Felicità hanno espresso i nostri “baldi” Salvini e Meloni.
    E’ proprio vero……A ciascuno il Suo!

    Sulla gravissima situazione ungherese evidenzio il comunicato di sdegno dell’ANPI nazionale, a firma del presidente Carla Nespolo:

    Nespolo: “L’Unione Europea espella l’indegno regime ungherese”
    https://www.anpi.it/
    31 Marzo 2020
    Dichiarazione della Presidente nazionale ANPI, Carla Nespolo
    In Ungheria l’attribuzione dei pieni poteri a Viktor Orban, con l’ignobile pretesto della pandemia, segna la nascita di un regime antidemocratico e autoritario e svela il pericolo delle formazioni cosiddette sovraniste che nascondono dietro la parvenza democratica pulsioni nazionaliste e liberticide. A chi vaneggia sulla legittimità formale di tale decisione va ricordato che anche Mussolini e Hitler andarono al potere con una copertura di legittimità. La svolta ungherese è un’intollerabile ferita all’UE perché contrasta con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione che si basa “sul principio della democrazia e dello Stato di diritto”. Nel 75esimo della Liberazione esigiamo che l’UE espella l’indegno regime ungherese che ha tradito il patto antifascista da cui è nata l’idea di Europa.
    Carla Nespolo – Presidente nazionale ANPI
    31 marzo 2020

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