«Il generale nero»: una storia italiana

Max Mauro racconta la ricerca di Mauro Valeri sull’afro-italiano Domenico Mondelli «bersagliere, aviere e ardito»

Max-copVALERI

Mauro Valeri continua la sua personale, preziosa missione di scandagliare ed esporre alla luce la grandemente ignorata storia dell’Italia multietnica e multirazziale. Dopo aver raccontato la vita di Leone Jacovacci, pugile meticcio degli anni venti e trenta dello scorso secolo, del partigiano Alessandro Sinigaglia, figlio di un’afro-americana e di un italiano, e del calciatore Mario Balotelli, nel suo ultimo libro Valeri si dedica a una storia che esplora gli eventi della prima guerra mondiale e del fascismo da una prospettiva originale. Come il camminatore al margine cantato dai Fugazi, Valeri si posiziona ai margini della scena per coglierne con più chiarezza gli eventi. Il margine in questo caso è il ruolo degli afro-italiani in particolare nella prima guerra mondiale. Domenico Mondelli, il protagonista del volume edito da Odradek («Il generale nero», 2015) può vantare diversi importanti primati, ma dubito che fra i lettori ci sia qualcuno che ne sia al corrente. A scuola nessuno ci ha parlato del primo, e unico, generale di corpo d’armata nero. O del primo aviere nero nella storia militare mondiale. Un nero italiano. La scuola, questa fucina di omogeneità e immaginario unificante al soldo del mito nazionale, non ha tempo per esperienze discordanti dallo spartito ufficiale. Lo stesso si può dire dei mezzi di comunicazione popolari: la tv, il cinema, la letteratura. Eppure Domenico Mondelli, come Leone Jacovacci, è portatore di una storia che incarna le caratteristiche di eccezionalità e di originalità che fanno di una vicenda una storia avvincente. Fino ad ora, tuttavia, nessuno ne aveva parlato.

Un libro di storia: ricco dunque di riferimenti bibliografici e di spiegazioni dettagliate su aspetti di storia militare che a un antimilitarista precoce come me risultano normalmente indigesti. Però, in questo caso, sono essenziali a comprendere gli ostacoli superati da Mondelli per aver riconosciuti i meriti conquistati sul campo di battaglia.

Domenico Mondelli nasce Wolde Selassie in Eritrea, probabilmente nel 1886. Questo è il primo dei tratti incerti della sua biografia, non il più importante. Arriva in Italia nella prima infanzia assieme ad Attilio Mondelli, ufficiale dell’esercito italiano inviato a sostegno delle prime esperienze coloniali in Africa. Non si sa se sia il figlio di una relazione del Mondelli con una donna del luogo o venga trovato abbandonato su una strada, come riferito dal militare. Pur non venendo ufficialmente riconosciuto come figlio e nemmeno adottato, Wolde diviene parte della famiglia Mondelli al punto da assumerne il cognome e venire registrato all’anagrafe con il nome di Domenico. Segue le orme del suo tutore legale entrando nel collegio militare di Roma e successivamente alla prestigiosa Accademia di Modena. Ne esce con il titolo di sottotenente e questo fatto marca immediatamente un percorso originale, perché solo pochi anni prima una norma in vigore nelle colonie aveva stabilito che nessun militare bianco dovesse sottostare agli ordini di un ufficiale nero. Questa norma rispecchiava le ideologie razziste che avevano preso piede nella seconda metà dell’800 in Italia, in sintonia con altri Paesi coloniali come Francia e Gran Bretagna e che da noi avevano rappresentanti di peso come Cesare Lombroso. Nel caso italiano tuttavia non mancheranno contraddizioni ed episodi singolari. Valeri ripercorre la storia di Mondelli, ufficiale apprezzato e medagliato nella prima Guerra mondiale, e di altri neri o meticci che si sono guadagnati la stima e l’ammirazione delle forze armate, come il tenente Gabrù Zaché e il tenente Michele Carchidio.

La traiettoria di Mondelli è particolare perché a differenza degli altri militari afro-italiani provò a opporsi alle discriminazioni operate contro di lui dal regime fascista, che soprattutto dopo la fondazione dell’impero promuoveva l’ideologia razzista che portò alle leggi razziali del 1938. Pur non esprimendosi mai apertamente in termini politici, e non lamentandosi delle umiliazioni subite, in primis procedimenti disciplinari rivelatisi infondati, Mondelli per ben tre volte fece ricorso contro mancate promozioni. Si può immaginare cosa potesse significare per un ufficiale nero ricorrere contro lo Stato fascista. Domenico Mondelli dedicò la sua vita all’ideale militare e alla difesa di una patria che, istituzionalmente durante il fascismo, rifiutava quelli come lui sulla base della balorda teorizzazione dell’italiano bianco, dimentica delle mescolanze etniche e razziali alla base delle popolazioni della penisola. Purtroppo, come dimostrano recenti fatti di cronaca, è un tema ancora attuale. L’Italia fatica a guardarsi allo specchio e a riconoscersi nella sua storia. D’altra parte, è indicativo che in giro per l’Italia esistano vie intitolate a un criminale di guerra razzista quale Rodolfo Graziani e nessuna dedicata a Domenico Mondelli. Qualche consiglio comunale potrebbe porvi rimedio.

 

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