Il golpe di Erdogan e la lotta dei prigionieri curdi

di Gianni Sartori   

Il «golpe di Erdoğan» – come lo ha definito parte della sinistra curda – rischia ormai di oscurare perfino il golpe “storico” dei militari turchi il 12 settembre 1980. Appare evidente che in Turchia si è insediato un regime fondato sulla repressione e sull’uso dispotico della violenza di Stato. Chi sostiene che «dopo questo referendum sulle modifiche costituzionali la Turchia potrebbe trasformarsi in una dittatura» pecca forse di un paradossale ottimismo: lo Stato turco non può diventare una dittatura se lo è da tempo.

Il ruolo dei parlamentari è ormai ridotto a quello di “belle statuine”. I media liberi sono vietati e rimangono in attività soltanto quelli allineati e omologati. Migliaia di giovani, arbitrariamente qualificati come “terroristi“, vengono perseguitati, assassinati, segregati nelle carceri. Dopo che per molti esponenti del HDP si sono aperte (solo in entrata) le porte del carcere, i partiti ancora non criminalizzati dell’opposizione – come il CHP – non sembrano all’altezza del compito che dovrebbero svolgere.

Nel frattempo in 27 carceri della Turchia oltre 200 prigioniere e prigionieri politici sono in sciopero della fame (*). Chiedono la revoca del coprifuoco a causa del quale circa mezzo milione di persone in Turchia sono state forzatamente espulse. Chiedono la revoca delle condizioni di isolamento in cui a Imrali versa Abdullah Öcalan. Chiedono la fine degli arresti di massa, della tortura, dell’isolamento in carcere. E chiedono la sospensione dello stato di emergenza (OHAL).

Anche stavolta sono state – come dopo il 1980 – le madri dei prigionieri a esprimere concreto sostegno a chi sta in carcere. E ora molte di loro sono in sciopero della fame: a İzmir, Amed, Van e İstanbul. Anche in Iran 6 prigionieri politici rinchiusi a Urmiye e Tebriz, hanno dichiarato di entrare in sciopero della fame per solidarietà. Kimberly Taylor, una giovane internazionalista che si è unita alle YPJ, parteciperà allo sciopero per una settimana. Il 13 aprile a Strasburgo è iniziato uno sciopero della fame di solidarietà a cui partecipano 50 rappresentanti di diverse organizzazioni, giornalisti, artisti e accademici. In sciopero della fame anche deputati dell’HDP come Faysal Sarıyıldız e Tuğba Hezer.

Per squarciare il velo dell’ipocrisia, per rompere il silenzio e, almeno simbolicamente rompere i muri, a Milano e Torino scioperano congiuntamente esponenti curdi, militanti anarchici (FAI) e del sindacalismo di base (CUB).

Durante uno sciopero della fame Ayşe Irmak aveva dichiarato: «Veniamo arrestati perché andiamo ai funerali. Andiamo ai funerali e al ritorno in carcere. Vogliamo una vita senza carcere e morti».

Nel loro ultimo comunicato prigioniere e prigionieri in sciopero della fame si rivolgono all’opinione pubblica internazionale con queste parole: «Il nemico sta applicando il regime di Imrali in tutte le carceri, tutti devono sapere che il principale scopo delle nostre attività è di eliminare il regime di Imrali, non abbiamo lanciato queste attività per mettere fine all’esperienza che stiamo vivendo, la nostra maggiore preoccupazione è di eliminare il regime di Imrali, perché quello che ci viene imposto è parte di quel regime. Diciamo ai martiri, diciamo ad Agid:

Non possiamo più vivere con il regime di Imrali,

Nessuno può più sopportare di tenere ancora prigioniero il leader Apo,

Nessuno può sopportare attacco, assedio e massacri commessi contro il nostro popolo.

La voce del nostro compagno Muhamad Tunc risuona ancora.

La voce del nostro compagno Mazlum Doğan vive ancora nel cuore di ogni curdo.

Per l’orgoglio e la resistenza.

Verso più coraggio, sostegno, rivoluzione e sacrificio, ci impegniamo per la prospettiva del leader Apo, oggi è il giorno in cui abbiamo adottato la libertà per il leader Apo, il Kurdistan e i curdi, con il leader Apo siamo diventati un popolo dalla volontà libera, oggi è il giorno in cui liberiamo il leader Apo e il Paese con una volontà libera. Con amore e onore, vi salutiamo tutti».

Al momento sono 278 le prigioniere e prigionieri che hanno adottato, in 29 carceri della Turchia e del Kurdistan, questa estrema forma di lotta. Ricordiamo che nel carcere di Şakran lo sciopero prosegue da 60 giorni.

Nel frattempo, nonostante i prigionieri bevano quanti più liquidi possibile per conservare energia, le loro condizioni si stanno aggravando. Lo ha confermato in conferenza stampa l’avvocata Fatma Demirer che li ha incontrati nel carcere di Şakran.

A causa dello sciopero la mobilità fisica dei prigionieri è seriamente limitata: «abbiamo notato differenze nel livello di ascolto e di comprensione. Oltre a questo le questioni che vivono sono di stordimento, mal di testa e irregolarità del sonno. Dormono per 3 o 4 ore al massimo, il che mostra la gravità della situazione». Ha poi aggiunto: «Sappiamo che il nostro cliente Şirvan Bilik ha sputato sangue. Özkan Yaşar non può scendere le scale per controlli medici, quindi il medico sale da lui per le misurazioni. Zana Yatkın ha problemi di concentrazione. Ha detto che mentre scrive ha dei vuoti e non riesce a farsi venire in mente le parole. È nella T2. Gli è venuta una piaga sulla faccia. Le donne in questa fase hanno il polso accelerato e la tachicardia».

L’amministrazione del carcere ha incontrato le prigioniere e i prigionieri il 10° giorno dello sciopero della fame dicendo loro: «Diteci qual è il problema e noi lo risolveremo, smettete lo sciopero della fame». Quando i prigionieri hanno elencato le loro richieste, l’amministrazione ha risposto che per quanto riguarda il carcere di İmrali «questo è al di sopra delle nostre competenze». Ma poi nulla si è fatto niente per le altre richieste che riguardavano la situazione all’interno del carcere. Prosegue Demirer: «Portare libri dall’esterno è vietato. Ci sono problemi rispetto all’identità. Non possono svolgere alcuna attività».

I medici, stando a quanto ha riferito Demirer, avrebbero visitato i prigionieri soltanto un paio di volte limitandosi a misurare il polso e la perdita di peso. Sempre secondo l’avvocata, infermieri e medici si mostrano alquanto disinteressati e quando i prigionieri parlano di questioni legate alla salute «rispondono che anche loro hanno questi problemi».

Non è etico – denuncia Fatma Demirer – dire questo a una persona che è in sciopero della fame da due mesi».

(*) cfr La linea rossa: curdi senza pace

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