Il guardiano della Sella del diavolo

di Daniela Pia

Amo Cagliari, a volte mi commuove quando lentamente percorro il litorale del Poetto e, fra le saline e lo stagno di Molentargius, il cielo si specchia immenso. Se la giornata è limpida nell’immobilità delle acque si stagliano i fenicotteri rosa, e lì posso perdermi istupidita da tanta bellezza. Devo però confessare che quando voglio fare un regalo prezioso, chiedo a chi amo di seguirmi all’alba senza rivelare dove andremo. Unici aspetti necessari il silenzio e la capacità di saper attendere: è così che si può iniziare l’ascesa della Sella del Diavolo. La primavera è il periodo ideale perché accompagna i visitatori con una gamma di colori che sembrano sottratti alla tavolozza di un pittore; si viene infatti accolti da un ecosistema che si è mantenuto inalterato e che è fra i più interessanti sotto il profilo naturalistico: si può ammirare la fioritura del cisto bianco e rosa , si sente il profumo che si leva dalle garighe di timo, dal narciso panicolato o dalle ginestre selvatiche , oltre a minuscole piante grasse di sorprendente bellezza. Man mano che si sale il volo dei gabbiani crea improvvisi contrasti con l’azzurro del cielo, e se si è fortunati si può persino cogliere il volo del falco pellegrino. Ma ciò che lascia senza fiato , non appena si raggiunge la prima apertura in alto è il paesaggio marino: a ovest il faro di sant’Elia, punto di partenza dal quale lo sguardo si dipana, allargandosi sino all’intera costa verso santa Margherita, per aprirsi poi verso il mare, dove le correnti disegnano nastri che, variando in brillantezza, ci avvicinano a uno spettro di azzurri e cobalto che non sembrano possibili. Le piccole calette che si scoprono, come si procede nella salita, lasciano intravedere acque cristalline orlate dalla spuma delle onde che si infrangono sugli scogli. Giunti quasi in cima , oltre lo stagno, che si impone con i riquadri delle saline e i suoi colori: la città e il quartiere medievale di Castello: perfetti, incastonati in modo unico in un paesaggio che non ha ancora esaurito le sue sorprese. Il Poetto nei dieci chilometri del suo svolgersi, è un’apparizione che non si vorrebbe smettere di contemplare, la sinuosità e la rotondità del litorale sono solo leggermente offuscati da una sfumatura grigiastra dell’arenile deturpato dal ripascimento, è un vero gioiello e solo dall’alto si può coglierne per intero l’unicità che non a caso, secondo la leggenda, aveva indotto gli angeli a intraprendere un epica battaglia con il diavolo per difendere la costa chiamata da allora “Golfo degli angeli”. Anche gli uomini nel corso dei millenni, furono in grado di apprezzarne la magnificenza e le opportunità: sin dai tempi più antichi infatti il promontorio fu luogo di culto, i gradini che si calpestano e che sono scavati nella roccia, sono di probabile età fenicia e conducevano al tempio di Ashtart Ericina (Venere), tutto il sito è oggetto di scavi, ripresi di recente, che sono tesi a valorizzare una zona archeologica di straordinario interesse. Di lato le cisterne, dal catalano “pohuet” utilizzate per la raccolta delle acque piovane con un sistema estremamente ingegnoso. Forse da pohuet prende il nome tutta la spiaggia, anche se i più romantici preferiscono pensare che derivi dalla torre detta del poeta, perché il poeta latino Ennio, così si narra, era solito recarvisi per trovare ispirazione. E’ per chiudere questa apertura cinematografica che voglio fermarmi sull’ultima inquadratura: quella del guardiano, scolpito dalla natura nel promontorio di calcare bianco che si trova un po’ nascosto a ovest della Sella. Ecco il suo volto mi è apparso improvvisamente nella foto che vi propongo:

foto-DanielaPia

è lì da tempo immemorabile e noi gli passiamo accanto come un soffio di vento di cui lui, indifferente, non si cura, ogni tanto si svela e sembra sorridere, sornione e beffardo, di quelle piccole macchioline nere che si inerpicano affannando, sul promontorio per rubare angoli di paradiso.


Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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