Il lavoro forzato made in Zara

di Abiti Puliti

Fonte Wikimedia

In questi giorni di avvio dello shopping natalizio, in tutto il mondo gruppi di attivisti e organizzazioni schierate in difesa dei diritti dei lavoratori stanno protestando per richiamare l’attenzione sul genocidio della popolazione Uigura nella regione dello Xuar/Xinjiang ad opera del governo cinese e sulla connivenza delle aziende della moda che utilizzano cotone proveniente da questa regione.

In particolare la campagna è rivolta a Zara, noto marchio di punta del colosso della moda Inditex, ma l’azione di protesta ha lo scopo di denunciare tutta quella parte del settore che trae profitto dal lavoro forzato della regione uigura. E’ stato calcolato che circa 1 indumento di cotone su 5 venduti a livello globale contiene prodotti provenienti da quest’area.

La situazione di grave violazione dei diritti delle popolazioni musulmane nella Cina nord occidentale è purtroppo in corso da diversi anni, come richiamato già nel 2018 dalle Nazioni Unite e dall’Alto Rappresentante della Commissione europea per gli affari internazionali Federica Mogherini.

Nel corso degli anni il governo cinese ha concentrato da 1 a 3 milioni di uiguri e altri turco-musulmani nei campi di lavoro forzato, la più grande sepoltura di una minoranza etnica e religiosa dalla seconda guerra mondiale. Non si tratta “solo” di rieducazione forzata e indottrinamento: è noto e provato che la popolazione turcofona degli Uiguri viene da anni sottoposta a torture, detenzione forzata in campi di concentramento, trasferimenti forzati, lavoro forzato nell’agricoltura, sterilizzazione forzata per le donne Uigure. Si stima che almeno dal 2017 quasi due milioni di Uiguri sono stati sottoposti a trasferimenti obbligatori e rinchiusi in veri e propri campi di lavoro. 

L’elemento centrale della strategia del governo per dominare questo popolo è un vasto sistema di lavoro forzato, che coinvolge fabbriche e fattorie in tutta la regione e in Cina, sia all’interno che all’esterno dei campi di internamento. In altre parole il governo cinese vende lavoratori uiguri agli imprenditori cinesi.

All’inizio di novembre, l’Energy and Industrial Strategy Committee del Parlamento britannico ha tenuto un’audizione per determinarela misura in cui le imprese del Regno Unito stiano sfruttando il lavoro forzato degli uiguri“. Nella sua testimonianza, Inditex ha negato categoricamente di avere legami con l’azienda Huafu Fashion, che possiede e gestisce diverse fabbriche accusate di sfruttare il lavoro forzato, tra cui la Huafu Melange Yarn Co., Ltd.  Eppure un database pubblico dell’Institute of Public and Environmental Affairs cinese documenta tale relazione. 

Secondo il Wall Street Journal cinque società di revisione hanno inserito la regione uigura dello Xuar/Xinjiang nella lista nera delle importazioni (black list) a causa delle restrizioni governative e del clima di terrore che impedisce ai lavoratori di parlare liberamente agli ispettori senza rischiare ritorsioni. Questo significa, di fatto, che i rapporti di audit sono sostanzialmente inutili per verificare la catena di fornitura nella regione.

I consumatori dovrebbero chiedersi perché i nostri vestiti sono così economici. La risposta sta nello sfruttamento di intere fasce di persone della regione uigura, la cui manodopera è costretta a produrre cotone a basso costo. Le aziende globali, come Inditex, non dovrebbero operare in questo modo. Alla voce di Freedom United si sono unite oltre 55.000 persone e altre migliaia ogni giorno se ne aggiungono per chiedere la loro libertà“, ha affermato Joanna Ewart-James, Direttore esecutivo di Freedom United.

Zara ha mentito per nascondere i suoi legami con la Huafu Fashion, per continuare a trarre profitto dal lavoro forzato del popolo uiguro. I consumatori devono inviare un messaggio forte a Zara e Inditex, così come ad altri distributori che vendono merci parzialmente o totalmente prodotte nella regione uigura. Il nostro consumo globale non dovrebbe più tollerare la totale oppressione delle persone “, ha affermato Johnson Yeung, attivista della Clean Clothes Campaign.

A luglio quasi 300 organizzazioni per i diritti umani e dei lavoratori hanno lanciato la campagna End Uyghur Forced Labour, chiedendo alle multinazionali di disinvestire dalla regione autonoma uigura dello Xinjiang. All’inizio dell’autunno, le associazioni con sede negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno presentato una petizione formale all’ufficio doganale americano (il US Customs and Border Patrol, CBP), esortandolo ad esercitare il potere di emettere un ordine di non importazione (Withhold Release Orders, WROs), che impedisce a merce sospetta di essere stata prodotta da lavoro forzato di entrare nel Paese, su tutti i prodotti di cotone collegati alla regione uigura in base alle prove dell’utilizzo di lavoro forzato. Ai sensi della legge americana 19 U.S.C. §1307, è illegale per gli Stati Uniti consentire l’ingresso di merci, “prodotte, o fabbricate interamente o in parte in qualsiasi paese straniero da lavoro carcerario, lavoro forzato o a cottimo“. Il CBP sta valutando la messa al bando delle produzioni di cotone provenienti dallo Xinjiang in risposta alla petizione. 

A settembre, la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato in modo schiacciante l’Uyghur Forced Labour Prevention Act (H.R. 6210): un disegno di legge per porre fine all’uso del lavoro forzato uiguro nelle catene di fornitura attraverso il divieto di importare ogni materiale prodotto nella regione uigura, salvo che il marchio sia in grado di dimostrare che non sia stato utilizzato lavoro forzato.

La Coalizione End Uyghur Forced Labour chiede in particolare ai marchi e ai distributori di:

  • terminare il rifornimento di cotone, filati, tessuti e prodotti finiti dalla regione uigura
  • interrompere qualsiasi relazione con le aziende fornitrici di materiali tessili che sfruttano lavoro forzato –  sia quelle che operano direttamente nella regione uigura, sia quelle che hanno accettato sussidi governativi e/o manodopera dal governo cinese
  • Vietare a qualsiasi fabbrica fornitrice situata al di fuori della regione uigura di utilizzare i lavoratori forniti attraverso il programma di lavoro forzato del governo cinese previsto per il popolo uiguro e turco-musulmano

In questa situazione, l’Italia non può stare a guardare. Abbiamo contattato le istituzioni italiane da cui ci aspettiamo una decisa presa di posizione in merito a questa situazione, come hanno fatto non solo gli Stati Uniti ma anche il Canada e la Gran Bretagna. Ci aspettiamo inoltre che tutta l’industria italiana prenda le distanze da questa tragedia umanitaria, aderendo alla nostra richiesta di cessare i rapporti commerciale diretti o indiretti con fornitori a rischio” ha infine dichiarato Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti.

Il Comitato per i diritti umani del Parlamento del Canada ha dichiarato ufficialmente che quanto sta avvenendo nello Xuar è un genocidio e ha invitato il Governo ad agire immediatamente in ogni sede opportuna per porvi fine. Anche Il Parlamento britannico ha intrapreso una interrogazione parlamentare coinvolgendo brand inglesi che si approvvigionano in Cina. Da ultimo, ma non certo per importanza, pochi giorni fa anche il Pontefice ha espresso forte preoccupazione per la persecuzione della popolazione Uigura.

Le aziende italiane devono sapere e dichiarare se comprano cotone cinese e da quale zona. Come consumatori, dobbiamo impedire che la moda italiana utilizzi le merci del lavoro forzato.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *