Il maschio ha perso solo il pelo. Ovvero della metafisica del dominio

 

L’immagine della fotografa svedese Arvida Bystrom, scattata per una pubblicità dell’Adidas, che ha scatenato l’odio della rete, come si dice. Vedi nota 1

 

di Gianluca Ricciato

(ripreso da I Quaderni del Venerdì di Maschile Plurale)

 

 

Un comportamento selvaggiamente sensuale

Anni fa ho avuto una storia con una ragazza che non si depilava le gambe. Aveva belle gambe che spesso portava scoperte. Poi a un certo punto iniziò a depilarsi perché il vantaggio della libertà dalla depilazione stava diventando minore rispetto allo svantaggio di dover vivere in una società di nuovi maschi alienati con in mano oggetti del progresso tecnologico e nel cervello sordide regressioni patriarcali. E ciò iniziava anche ad essere pericoloso. Stiamo parlando degli anni Zero di questo secolo.

Eppure non aveva i peli lunghi né appariscenti, erano corti e chiari e da lontano non si notavano nemmeno, mentre al contatto erano morbidi e aumentavano la sensualità e il piacere, almeno a me. Ma soprattutto quei peli, come altri modi di vivere il corpo da parte di alcune ragazze incuranti dei diktat esteriori del mercato capitalista, mi davano un grande senso di libertà e di accrescimento. Molte di quelle libertà sono poi rientrate perché erano difficili da portare avanti all’interno di un sistema simbolico oppressivo come quello che stiamo vivendo, in particolare da una quindicina d’anni a questa parte, da quando cioè le esigenze di mercato sono sempre meno “consigli per gli acquisti” e sempre più “codici di comportamento” da imporre con l’ossessione mediatica o con i manganelli, a seconda del caso. Altrimenti i consumi, cioè il sistema, crolla. E sta crollando. Ma non divaghiamo con le pippe teoriche.

Una sera di quell’epoca ero in un centro sociale bolognese e mi attaccò bottone un ragazzo. Disse che mi aveva visto a pomeriggio che studiavo al parchetto della signora Anna. Avevamo amici comuni e così, chiacchierando del più e del meno in una serata estiva sonnolenta e piacevole, arrivò dove voleva arrivare: “ma è la tua ragazza? quella…sì dai…quella che non si depila!”

Rimasi scioccato, o meglio mi sentii denudato in pubblico contro la mia volontà. Per la prima volta mi accorsi quanto scalpore destasse all’occhio maschile – occhio di giovane compagno alternativo del 2000 – questo fatto che lei non si depilasse. Costui non me lo diceva con astio, né con riprovazione, ma con sincera e probabilmente morbosa curiosità. Qualcosa che oserei definire come seduzione derivata da un comportamento selvaggiamente sensuale probabilmente destato in lui dal semplice fatto che quella ragazza, in quell’epoca, aveva poca voglia di cerette. E che io la considerassi una cosa normale, anche questa parte consistente del morbo.

 

Il crollo di un muro invisibile

Con calma, poi, nei giorni e mesi e anni successivi, ho pensato ad alcune cose.

Al valore sovversivo di alcuni comportamenti rispetto a tante chiacchiere che facciamo sulla libertà e l’autodeterminazione.

Ai concetti di corpo e natura: i neofascisti che vanno riempiendo in questi giorni le nostre città di slogan per la “famiglia naturale” sarebbero i primi a inorridire per delle gambe belle, esposte e provocatoriamente pelose. Gli haters di questi giorni contro le gambe pelose fotografate da Arvuda Bystrom[1] immagino siano dalla loro parte. Mica vivono nel Medioevo. E anche questo fatto che nel Medioevo erano tutti repressi e pelosi e vittime di un patriarcato violento che oggi abbiamo superato, eccetera eccetera, più passa il tempo e più mi sa di favoletta costruita ad arte dai vincitori. Cioè dal patriarcato capitalista che ha sostituito il patriarcato feudale. Ma su questo cercherò di spiegarmi più avanti.

Poi ho pensato anche al fatto del perché io che sono maschio, nato negli anni Settanta, meridionale tra l’altro, non ho mai provato ribrezzo o riprovazione o pruriginoso voyeurismo nei confronti, ad esempio, di due gambe pelose – ma stiamo parlando anche di altro, evidentemente. E’ una riflessione aperta che si mischia a un’altra, quella per cui la violenza maschile sicuramente mi riguarda, sono iscritto nella cornice storica patrilineare che la alimenta, e a parte la cornice, l’ho alimentata spesso anche io quella violenza, anche nei confronti delle donne, ad esempio con la mia tensione nervosa.

Eppure c’è qualcosa che è andato oltre, anche per me. Che è andato oltre il patriarcato capitalista degli ultimi duecento anni fintamente amico delle donne e delle differenze. Un’idea che è stata gettata al di là di un muro, e anche se viene continuamente rigettata indietro, il muro ha iniziato a sgretolarsi e la terra ha iniziato a creparsi. Forse anche a causa della terra che manca sotto i piedi, emergono questi rigurgiti reazionari “antigender” e via dicendo, fino ad arrivare ai rigurgiti del maschio che non accetta la libertà femminile e uccide. O magari è anche colpa delle diverse idee di libertà che abbiamo, che facciamo scontrare tra di loro invece di farle danzare insieme, e del modo in cui vengono manipolate e strumentalizzate. Della difficoltà di percorrere veramente strade libere, non violente e non distruttive. Le strade indicate dai nostri corpi-desideri-bisogni ad esempio, che non sono solo i nostri corpi biologici, ma siamo noi. Più o meno pelosi.

Immagine ripresa da Post-Structuralism Explained With Hipster Beards 2 – https://www.buzzfeed.com/chrisr414d8a71a/post-structuralism-explained-with-hipster-beards-2-xwfz?utm_term=.yo5wXAQxy#.ilxkzMj3Y

 

E poi ho pensato un’ultima cosa. Accettare i peli di una donna, la sua vita sessuale, i suoi modi di stare al mondo, di curarsi, di interagire con le altre, gli altri e il contesto, al di là del muro del codice patriarcale, è possibile solo se al di là di questo muro inizio ad andarci anche io. Ma al di là di questo muro non sappiamo bene cosa c’è, qual è la verità. Forse c’è un mondo in cui gli stessi concetti di maschio e di femmina, o almeno i loro confini, potrebbero diventare difficili da decifrare, come potrebbero confondersi i limiti tra un corpo maschile e uno femminile se non venisse imposta la depilazione a uno di essi. Potrebbe emergere il contesto culturale, la storicità materiale, cioè le menti umane che hanno inventato questi termini per orientarsi. Perché anche maschio e femmina sono parole, che spesso funzionano da norme di comportamento. E riconoscere che sono parole non significa, almeno per me, dire che i fatti (significati come maschile e femminile) non esistano, che sono invenzioni, ma che c’è un insanabile iato tra le parole e le cose, specie nella nostra civiltà con i suoi modelli mentali e le sue abitudini alienanti in perenne fuga dalla realtà e dalla profondità. Che siamo insomma ignoranti nonostante crediamo che le nostre verità scientifiche sappiano spiegare tutto.

Lo so che scrivere queste cose da adito nei dibatti odierni all’accusa di voler rispolverare l’anti-mito della donna pelosa. Che sia anche fatta questa critica, sto imparando ad ignorarla semplicemente perché non c’entra niente, è fuorviante – con rispetto parlando anche per le migliori menti civili che hanno passato anni a litigare su facebook sulla natura e sulla cultura e una serie corollaria di argomenti derivati. Il fatto è che se domani andrà di moda per il mercato la gamba femminile pelosa invece di quella liscia, me ne fregherà quanto me ne è fregato che sia andata di moda la barba maschile hispter rispetto alla faccia liscia dell’uomo civile che ha perso il pelo della selvatichezza.

A me al fondo interessa altro: che ogni imposizione sul mio e sul di chiunque corpo sia riconosciuta per quella che è, ossia la prima forma di oppressione, e questo vale se qualcuno dovesse impormi o meno di portare la barba, come vale per un sistema insopportabile di dominio che impone ogni giorno alle donne di farsi la ceretta, che se la vogliano fare o meno. Questo è il punto che fa la differenza tra un pensiero libertario e un qualsiasi altro pensiero: che se la vogliano fare o meno. E’ questa – insieme a tutte le altre simili che viviamo quotidianamente dimenticandocene – una folle imposizione sui corpi, matrice di tutte le oppressioni perché si iscrive dentro di noi senza che ce ne rendiamo conto e alimenta dissociazioni, psicosi e violenza. Con la scusa della cività, della cultura, dell’etica, dell’estetica. Della mente meravigliosa che fugge dal corpo brutale.

 

 La mia libertà inizia quando finisce la tua volontà di impormi codici culturali

Risulterà strano e magari naive, ma anche dai peli sulle gambe di Daniela ho imparato la messa in discussione della costruzione culturale del maschile come genere. E non solo, ho imparato anche un’idea di stare al mondo che liberi un mondo sotto attacco da almeno due secoli da una distruttiva metafisica del dominio ineditamente violenta e giustificata dalla parola progresso – quel mondo che chiamiamo natura con termine impreciso, ma che invece siamo “noi e la nostra circostanza”[2].

Il principio e la dinamica di questa metafisica hanno iniziato ad essere messe in discussione dalle filosofie del Novecento che hanno riconosciuto la continuità del pensiero logico moderno con la metafisica del dominio patriarcale: per questo tra patriarcati passati e presenti esiste una continuità sostanziale dietro le metamorfosi formali, per questo l’odio del web facilitato da un contesto virtuale ha la filiazione in una epistemologia che ha creato un binomio oppositivo tra idee e materia e ha sottomesso la seconda alle prime – Nietzsche faceva risalire l’origine e la diffusione del modello mentale occidentale ad un intreccio tra platonismo e cristianesimo.[3]  E’ appunto la metafisica millenaria del dominio maschile sul corpo, sui sensi, sull’esistente.

Ma già iniziare a trovare le coordinate di un sistema di tale rara e mirabile potenza – che non è tutto negativo, altrimenti non avrebbe potuto avere un tale successo – significa andare oltre il muro. Già riconoscere che la camicia di forza del genere può avere delle comode aperture nella vita e nelle relazioni che possiamo fare ogni giorno tra di noi, maschi femmine o quello che siamo, è la prima forma di resistenza all’oppressione delle libertà altrui. Non è facile ma possiamo lavorarci, nessuno ce lo impone veramente di condannare il corpo di un’altra persona a un destino non voluto, se non noi stessi/e.

Si è parlato spesso in questi anni di superare i binarismi di genere, ma probabilmente la resilienza dei corpi alle dinamiche binarie e oppositive è sempre esistita, e come diceva il femminismo, è quella che ha tenuto insieme la società, perché questa metafisica del dominio ha sempre incontrato, nella storia, corpi resilienti e resistenti ad essa. Ora forse si tratta semplicemente di liberare questa resilienza, uscire dalle opposizioni fittizie e smettere di distruggere. Anche se stiamo parlando probabilmente di un mutamento antropologico, che proprio per questo si porta indietro tutte le difficoltà del caso.

 

Note

[1] Adidas sceglie modella che non si depila, insulti sui social. Per approfondire leggi anche, di Monica Lanfranco: Questioni pelose: l’immaginario delle multinazionali della lametta

[2] Fate un favore all’umanità e riesumate dal dimenticatoio occidentale il filosofo spagnolo Ortega y Gasset. La citazione esatta è “io sono io e la mia circostanza”, in Josè Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte, 1914 (Mimesis 2014)

[3] Sui rapporti tra la metafisica del dominio maschile e l’epistemologia occidentale ne ho scritto parlando di Fritjof Capra qui: L’uomo che portò la fisica ai confini della ragione occidentale

 

Gianluca Ricciato

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