Il nostro impegno per arrivare al bando delle armi nucleari

di Mario Agostinelli (*)

Con un occhio alla manifestazione del 20 gennaio a Ghedi (**)

Il premio Nobel e lo straordinario lavoro presso l’ONU di ICAN e di quanto si è mosso attorno costituiscono un approdo inimmaginabile fino anche solo a pochi anni fa e ridanno corpo e fiato ad un realistico e pieno coinvolgimento popolare, che con il prestigio dell’evento di Oslo e la ricaduta anche emozionale provocata in un mondo sconvolto e in preda ad una crisi di valori, torna ad essere evocato come protagonista possibile di un passaggio storico richiesto dalla coscienza, e dalla difesa della specie umana, ma irrazionalmente rimosso dalle politiche prevalenti e dalle logiche di dominio condivise dai detentori della tecnologia e del ciclo nucleare.

Occorre pertanto creare prospettive credibili e condivisibili, inverabili in forma di proposte, di richieste e di lotta da parte delle masse, così pressanti da ripercuotersi sulle istituzioni internazionali e sulle costituzioni stesse di tutti i Paesi. Dobbiamo mettere le ali ad una visione ancora per addetti ai lavori e definire una strategia di azione adeguata, per noi attivisti del disarmo e per la società che si verrà a conformare al diritto della pace.

Non partiamo da una sufficiente attenzione al problema. Vale la pena di ricordare che, mentre il governo italiano, sempre più convinto della sua vocazione neo–colonialista, sposta truppe addirittura in Niger dopo aver stipulato patti indecenti con i predoni libici per fermare i migranti inermi, la campagna elettorale che si sta mettendo in moto sembra aver dimenticato come il tema della pace dovrebbe costituire uno degli assi portanti nel dibattito politico. Risulta così necessario ricorrere ad un avvertimento: proprio in una circostanza temporale come quella oggi aperta, con “tante guerre mondiali in corso” (papa Francesco) deve essere ritenuta necessaria la centralità dell’articolo 11 della Costituzione Repubblicana: articolo che, nel corso di questi anni, è sicuramente quello che ha subito il maggior numero di violazioni da parte di tutti i governi e di tutte le maggioranze parlamentari, in Europa e nel mondo intero uscito dall’olocausto della seconda guerra mondiale.

Non possiamo però sottovalutare che abbiamo alle spalle una straordinaria mobilitazione che si caratterizzava anche visivamente con le migliaia di bandiere della pace appese ad ogni balcone, ma che è stata sconfitta dal deflagrare cruento di tutte le ultime guerre esplose, non solo quelle a matrice americana. Per ora, tuttavia, non abbiamo mai avuto a che fare che con ombre di nucleare, ma con soltanto con l’evocazione del suo spettro (bombardamenti di centrali, esplosione in Afghanistan della “madre di tutte le bombe”, proliferazione di proiettile ad uranio arricchito, incidenti a motori di sottomarini a propulsione atomica). La sconfitta viene da un sentimento lontano, da un immaginario che pesa, da un retaggio mai criticato, fatto circolare come la ragione dalla parte dei bianchi nei film western. Abbiamo alle spalle un equivoco: “Atomico” è diventato aggettivo superlativo, applicato a qualsiasi cosa eccezionale, perfino alla bellezza o all’eccezionalità, ma sapientemente slegato dagli eventi terribili di Hiroshima e Nagasaki. Già allora la prima reazione dell’America fu di entusiasmo, sia per la gigantesca impresa tecnico-scientifica che aveva reso possibile la costruzione della bomba atomica, sia perché, secondo la vulgata, il suo uso aveva portato alla rapida fine della guerra del Pacifico e aveva fatto risparmiare migliaia di vite di soldati americani – sia pure a prezzo di centomila civili giapponesi volatilizzati dal fuoco e dalle radiazioni in quelle due giornate estive. Ma questo serviva a legittimare una divisione geopolitica del pianeta basata su terrore reciproco di chi poteva dotarsi di testate sempre più potenti, mobili e rivolte in allerta verso il fronte nemico.

Ora la situazione geopolitica si sta ristrutturando con esiti incerti e con il prevalere di una tendenza ad una distribuzione multipolare del potere. Il consumo di risorse non rinnovabili né riciclabili, rende più probabile l’intervento di una guerra – non per possedere o colonizzare i territori più ricchi di risorse, ma per privatizzare e militarizzare risorse decisive addirittura alla vita a favore di pochi popoli che concordano, pur dichiarandosi nemici, ma sottintendendo di far parte di un “club” esclusivo, di non redistribuire affatto, ma di concentrare su di sé le ricchezze accumulate e quel che rimane per alcune – poche – generazioni. Ma la cosa terribile è che in questa situazione precaria, di equilibrio instabile, potrebbe esserci un “11 Settembre per errore irrimediabile” come avverte il premio Nobel Carlo Rubbia.

Accettereste di abitare in una polveriera? Non vale neppure la pena di rispondere, dato che la cosa è già data per scontata, anche se poco presente alla coscienza di quella politica che respinge l’abolizione dell’arma nucleare: noi, i 7 miliardi di cittadini del mondo, siamo presi in ostaggio da un piccolo gruppo di dirigenti (politici e industriali) che hanno trasformato il nostro pianeta, la Terra, in una immensa polveriera: ventimila bombe nucleari negli arsenali di 9 Stati (ciascuna con una potenza, in media, 30 volte quella di Hiroshima) delle quali poco meno di duemila sono già montate su dei missili in stato d’allerta permanente, pronti a partire in 15 minuti.

Dal 1945, in media ogni 6 anni il mondo è passato in tal modo a due dita da una guerra nucleare. It is two and a half minutes to midnight.

In primo luogo occorre allora un’azione di informazione diffusa su che cosa sono le armi nucleari, quante sono nel mondo pronte al lancio; quante sono in ristrutturazione per poter colpire con la precisione di trenta metri città poste a 100 km di distanza: è la prerogativa per cui verranno introdotti gli F35, dotati di “touch screen” per teleguidare gli ordigni B61, non più sganciati per gravità, come nel film in cui il dottor Stranamore (***) si getta dalla pancia dell’aeroplano a cavalcioni di un congegno rudimentale. In primo luogo bisogna chiederci se esiste allora, o se varrebbe la pena di creare, disegnare, una mappa del ruolo delle basi militari all’interno di ogni Paese e del nostro in particolare. Cosa c’è ad Aviano e Ghedi o a Pisa e cosa ne sanno gli addetti e le popolazioni che ci lavorano e vivono? Perfino a Caorso, in un’opera civile e non militare – come una centrale – la popolazione ignorava che ci fosse un piano di emergenza e quali fossero i rischi di funzionamento e coabitazione.

In secondo luogo, occorre ricordare e spiegare le conseguenze biologiche e ecologiche di uno scambio di esplosioni, anche limitato o anche solo accidentale in quanto dovuto ad un errore umano. Anche una sola esplosione delle oltre diecimila bombe nucleari attuali (centinaia e perfino migliaia di volte più potenti di quelle sganciate sul Giappone) esistenti nel mondo provocherebbe incendi e diffonderebbe materiali radioattivi in grado di modificare profondamente il clima e la vivibilità di vastissime zone della Terra e, alla lunga, dell’intero pianeta.

Gli ordigni nucleari, se la teoria dell’inverno nucleare fosse pienamente comprovata, potrebbero, secondo ogni logica, essere inseriti a tutti gli effetti nella categoria delle armi di distruzione climatica: le catastrofi climatiche che possono provocare sono un effetto essenziale, previsto e intrinseco del loro impiego. Arma direttamente climatica non è, quindi, ad esempio, solo la tecnologia elettromagnetica usata militarmente per sconvolgere l’ambiente: è proprio l’arma nucleare, che produce onde d’urto, tempeste di fuoco, inquinamento radioattivo ed impatto elettromagnetico ad incidere sulla configurazione energetica dell’atmosfera e della vita al punto da bloccare la radiazione solare e da distruggere la capacità riproduttiva e identitaria dei geni e del DNA. Il cambiamento climatico e la destabilizzazione agricola ed ecologica investirebbero un’area molto ampia anche per il più limitato attacco. Parigi, Bonn, Washington, Pechino, Mosca o Pyonkyang non sarebbero più selezionate in base al posto in cui stai quando premi il grilletto.

Una delle proposte su cui credo si possa cominciare ad insistere è quella di considerare gli ordigni nucleari capaci di tali effetti proibiti ai sensi della Convenzione ENMOD dell’ONU (proibisce l’uso militare di tecniche di modifica dell’ambiente): una conferenza di revisione convocata ad hoc dall’ONU potrebbe avallare un tale sviluppo innovativo del diritto internazionale ed essere una delle prossime sfere di allargamento di ICAN.

Un’altra strada potrebbe essere quella di considerare, all’interno del percorso dell’accordo per contrastare il riscaldamento globale di Parigi del 12 dicembre 2015, la minaccia nucleare: si ricordi che la CO2 emessa dagli eserciti nazionali e dall’intera attività militare non entra nel conteggio delle emissioni climalteranti da ridurre. Il solo Pentagono emette una quantità di climalteranti che lo porrebbe al ventiseiesimo posto tra gli stati del pianeta, ma non è tenuto né a dire né a ridurre la portata dei suoi effetti in atmosfera.

In una chiave globale e temporalmente urgente come da noi descritta cambia la nostra stessa cultura della pace e dell’autodeterminazione. Perché ‘non rifletterci! Non solo cadono le vecchie e sospette distinzioni ideologiche fra guerre giuste e guerre ingiuste, ma “riacquista il suo peso e la sua legittimazione il diritto alla resistenza, alla ribellione, alla rivoluzione antitotalitaria, mentre sorge il problema di definire le forme consentite e condivise di resistenza solidale delle nazioni democratiche contro la sopraffazione violenta, l’aggressione militare, il sovvertimento delle regole democratiche o del principio di sovranità democratica (Bruno Trentin dai “Diari”). Equilibrio ecologico – Diritti umani – Identità delle minoranze: in che misura la tutela di questi diritti indivisibili si concilia con l’autodeterminazione dei gruppi o delle nazioni, Quale è l’elettorato sovrano e la sua dimensione? E come tutto ciò si concilia con il prepotente ritorno al nazionalismo e quanto invece l’Europa potrebbe contribuire ad una evoluzione che metta al centro il “suo” popolo!

Sotto questo punto di vista non basta certamente la democrazia in versione nazionale (Trump dopo tutto è eletto dagli americani, ma la sua legittimazione (se c’è!) entro gli States non può riguardare effetti sull’intera specie umana, come è il caso del clima o della bomba), ma va costruito un modello di decisione e opposizione democratica che superi il ritorno alla completa autonomia – nel senso di irresponsabilità verso il futuro della specie umana – della nazione. Il pluralismo è etnico e culturale, non nazionale!

La preparazione del trattato di cui questa sera valutiamo il futuro è cominciata, come stabilito dalle Nazioni Unite, nel marzo 2017 e poi è continuata nel giugno e completata il 7 luglio 2017 con l’approvazione del “Trattato per la proibizione delle armi nucleari” da parte di 122 paesi, uno contrario e uno astenuto. Il 20 settembre 2017 alle Nazioni Unite il Trattato è stato aperto alla firma dei vari Paesi. Per ora soltanto 53 paesi hanno firmato il Trattato e soltanto 3 (Santa Sede, Guiana, Tailandia) l’hanno ratificato. Il cammino quindi è ancora lungo perché il trattato entrerà in vigore quando sarà stato ratificato da almeno 50 paesi. (Per non creare incomprensioni, il trattato non passa dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove vale il diritto di veto). Nonostante le varie sollecitazioni il governo italiano non ha firmato e ha dichiarato di non voler firmare tale trattato, ubbidiente all’ordine della NATO che nello stesso giorno 20 settembre ha emanato, col contribuito del governo italiano, una dichiarazione. Secondo essa se qualche “lacché” dell’impero americano, avesse la tentazione di firmare questo trattato, deve cavarselo dalla testa, pena di perdere la protezione assicurata dall’imperatore. La dichiarazione va letta, perché usa un linguaggio ricattatorio e minaccioso che sorprende sia stato controfirmato da governi sempre così attenti alla propria sovranità quando si tratta di respingere i poveri migranti.

L’unica voce di saggezza altamente autorevole rimane quella di papa Francesco il quale, nella giornata della pace del 1 gennaio 2017, ha auspicato la “proibizione e l’abolizione delle armi nucleari”. Ma nemmeno la Chiesa tutta l’ha condiviso. Dobbiamo avere la consapevolezza che i poteri dominanti sotto il profilo economico politico militare e industriale reagiranno anche manipolando l’informazione, sottovalutando le prese di posizione, collocando nella categoria poetica dei sogni la liberazione dell’incubo più terribile e più reale che concretamente rimane all’orizzonte, finché la riconversione non assumerà aspetti qualitativi e quantitativi che potrebbero impegnare il lavoro l’intelligenza e l’occupazione di molte generazioni a venire. Vita e pace contro distruzione e morte sono concetti facili da enunciare, ma difficili da far divenire assi portanti di un cambiamento politico sociale civile. Il lavoro da fare per il disarmo nucleare è molto e faticoso anche in Italia. Propongo di farlo crescere assieme alla consapevolezza della cura del pianeta, a quella ecologia integrale radicale che contempla anche maggiore giustizia sociale.

Quando ci si sfida al dito più grande si parla ai sempliciotti. Ma la stampa internazionale presume che siano la maggioranza. Per la verità occorre aver tempo per caricare missili, stabilire ripari, annullare reazioni, pena essere parte dello stesso effetto di annullamento. Ma non va dimenticato che ogni giorno si fa qualcosa per rendere più brevi i tempi di attacco e risposta. C’è forse ed è terribile, in questa visione la consapevolezza che la Terra come bene comune possa avere una fine accelerata, consegnata a poche generazioni, senza rigenerazione della specie e della civiltà umana e che il tempo si debba contare all’indietro, dalla fine. A ben vedere, al fondo della crescita di probabilità di guerra nucleare c’è una novità scientifica ampiamente assunta e tradotta in tecnologia dai militari: utilizzare la velocità della luce per lanciare l’attacco (F35 e B61) e rendere vana una risposta che ha tempi estremamente più lenti – propulsione a combustibile o reazione neuronale, con orologi dalla scansione miliardi di volte più veloci e tempi miliardi di volte più lenti). Ormai non siamo più nel “range” energetico dovuto all’esplosione (onda meccanica e termica distruttiva,) ma nel campo delle energie intensissime dei processi di fissione e fusione nucleare, milioni di volte più potenti della dinamite che fece la fortuna finanziaria dell’istitutore del premio Nobel. (Per avere un’idea degli ordini di grandezza: la fissione di 3 gr di uranio 235 equivale energeticamente alla combustione di 12 tonnellate di carbone e alla caduta contemporanea di tutta l’acqua del lago di Como da 120 metri). I tempi di assorbimento di cotanta energia, con una densità così elevata, da parte dell’atmosfera e del vivente sono pressoché incalcolabili: si pensi che una quantità di plutonio si dimezza per emissione di radiazioni in 124.000 anni!

Insomma, non c’è più “competizione” con muscoli, cervello, tempi biologici, tempi storici, attività umana. Siamo “fuori dal mondo dei viventi.

Semplice, chiaro, efficace “Exigez” il libro di Hessel e Jacquard (in italiano edizioni Ediesse, qui sopra la copertina) rende attuale un tema che pare scomparso addirittura dall’immaginario pacifista e lo coniuga con l’attuale necessità di parlare ai giovani di cosa occorra cambiare perché il nostro pianeta possa vivere e sopravvivere. Hessel ci insegna a ripartire dalle nostre esperienze, dal cercare e praticare la democrazia e la pace, assicurando vita e futuro alle nuove generazioni e difendendo spazi che l’umanità ha l’obbligo di conservare anziché distruggere. Il testo comincia con una richiesta elettorale: chi vince le elezioni nel suo programma dei primi cento giorni deve mettere l’abolizione degli arsenali nucleari.

C’è infine un legame tecnico tra nucleare civile e militare che non possiamo trascurare. Il legame stretto tra usi bellici e civili della Tecnologia Atomica si concretizza a tre livelli:

a) geopolitico, fondato sulla competizione di potenza degli Stati (dietro l’energia atomica c’è sempre uno Stato atomico che la promuove, la foraggia e la utilizza)

b) industriale e di modello di crescita

c) tecnico: il materiale fissile dei reattori in funzione è la base, per chi dispone del nucleare civile, che rende possibile il passaggio al nucleare militare.

Concludo con una nota di riflessione. Si parla molto dei rapporti di Trump con le escort, delle sue abitudini infantili, della sua ridotta capacità a guidare uno stato, ma quasi nessuno riferisce di un libro dal contenuto veramente esplosivo, a firma del presidente Donald Trump: «Strategia della sicurezza nazionale degli Stati uniti», Un documento politico istituzionale in cui si dichiara di avere a cuore la leadership Usa nel mondo Ne riporto alcune affermazioni. «Per garantire la sicurezza del suo popolo, l’America deve dirigere da una posizione di forza». «La Cina e la Russia sfidano la potenza, l’influenza e gli interessi dell’America, tentando di erodere la sua sicurezza e prosperità». La vera posta in gioco per gli Stati uniti è il rischio crescente di perdere la supremazia economica di fronte all’emergere di nuovi soggetti statuali e sociali, anzitutto Cina e Russia. «Cina e Russia – sottolinea il documento strategico – vogliono formare un mondo antitetico ai valori e agli interessi Usa. Mirano a indebolire l’influenza statunitense nel mondo e a dividerci dai nostri alleati e partner». Da qui una vera e propria dichiarazione di guerra: «Competeremo con tutti gli strumenti della nostra potenza nazionale per assicurare che le regioni del mondo non siano dominate da una singola potenza». «Possediamo una forza militare la cui potenza, tecnologia e portata geostrategica non ha eguali nella storia dell’umanità; abbiamo la Nato, la più forte alleanza del mondo». E, quindi, dalla competizione alla guerra il passaggio è contemplabile.

Allora, dobbiamo mettere in evidenza come la «Strategia della sicurezza nazionale degli Stati uniti», a firma Trump, coinvolge anche l’Italia e gli altri paesi della Nato, chiamati a rafforzare il fianco orientale contro l’«aggressione russa», e a destinare almeno il 2% del pil alla spesa militare e il 20% di questa all’acquisizione di nuove forze e armi.

L’Europa si prepara o almeno rischia di andare in guerra, ma non se ne parla nei dibattiti televisivi: questo non è un tema elettorale.

In definitiva, stasera ci diciamo con convinzione che, se si ha a cuore il futuro dell’ecosistema globale, bisogna adoperarsi per eliminare alla radice la minaccia nucleare, che oltretutto, come si è detto, potrebbe essere direttamente minaccia climatica.

Ne consegue per gli ambientalisti e le loro associazioni la necessità di farsi partner attivo della Campagna ICAN (Abolizione delle armi nucleari), allo stesso modo in cui la Rete ICAN non farebbe male ad occuparsi dell’intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica.

Non sarebbe affatto fuori tema “ecologista” la richiesta che, al di là delle singole organizzazioni aderenti, la Coalizione per il clima in quanto tale si facesse addirittura componente di ICAN in Italia, accogliendo l’appello di “Siamo tutti premi nobel”, lanciato con la conferenza stampa al Senato dell’11 dicembre 2017.

UNA NOTA DELLA BOTTEGA

QUI TROVATE un’analisi dettagliata di ANGELO BARACCA sulle indiscrezioni a proposito della Nuclear Posture Review che l’amministrazione statunitense adotterà a fine mese: https://www.pressenza.com/it/2018/01/trump-aggrava-irresponsabilmente-la-minaccia-delle-armi-nucleari/

(*) Queste note di Agostinelli – all’incontro di Venegono del 12 gennaio sulla campagna Ican – sono come lui stesso spiega “frutto di riflessioni personali, ma anche di contributi esterni che hanno reso più esaurienti i contenuti.

(**) cfr Tutte/i a Ghedi il 20 gennaio…

(***) A essere pignoli nel film di Kubrick non è il dottor Stranamore ma un pilota a “cavalcare” la bomba; ma ovviamente il senso del ragionamento non cambia. [db]

 

Redazione
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