Il peto come indizio

di Mauro Antonio Miglieruolo

Perché l’emissione di un peto provoca risa irrefrenabili nell’occasionale e innocente uditorio? Per il ridicolo che ricade sull’altrettanto probabile innocente che lo emette? Sì e no. Sì,

perché tale è nella considerazione generale; no, perché l’obiettivo di quel riso fondamentalmente è un altro. Non la persona che con quel peto dimostra l’incapacità di controllare determinate funzioni (e sarebbe allora da compatire, non da mortificare: l’attuale cultura però non è in grado, perché non vuole, praticare una tale distinzione), ma l’umanità tutta contro la quale viene fatto agire il senso di quel peto: il senso di una umanità ancora troppo legata alla sua origine animale, ancora troppo dipendente dei limiti fisici e non ancora all’altezza delle sue più profonde aspirazioni.

L'aumanuense non ci dice se al momento dell'esplosione si sia riso o meno. Io ritengo di sì

L’aumanuense non ci dice se al momento dell’esplosione si sia riso o meno. Io ritengo di sì

 

Una risata crudele soprattutto se si prende in esame questo secondo senso. Ridere di un uomo è tanto, ridere di tutti gli uomini è troppo. Ma anche una risata benefica, indirizzata a delimitare l’umana superbia e utile per ricordare a tutti quanto sia sottile la barriera che l’attività civilizzatrice ha elevato tra noi e la natura. Dalla quale proveniamo, presumendo di essercene staccati, ma alla cui tirannia siamo ancora sottoposti. Una risata, dunque, per far emergere la consapevolezza della pochezza dei risultati raggiunti, consapevolezza ordinariamente tenuta nascosta, dissimulata dietro le buone maniere (quando le buone maniere sono praticate), dietro l’abito civile, la protezione di se stessi alla quale ognuno è tenuto. Il successo e l’approvazione del gruppo valgono molto, spesso è un idolo al quale ci si assoggetta, non vale però altrettanto che la dignità, bene supremo e intangibile da tutelare. Per se stessa e per ciò che comporta. Il suo essere funzione di un altro bene, di un’altra intangibilità: la libertà. Libertà e dignità vanno sempre insieme, l’affermazione dell’una comporta quella dell’altra.

Una sorta di Apocalisse...

Una sorta di Apocalisse…

Abbellendo e dissimulando la materia nella quale non soltanto siamo immersi, ma della quale siamo impastati, si incorre nel pericolo (più che un pericolo, in verità) di dimenticare di essere una macchina chimica che produce ininterrottamente odori, umori, rifiuti e essudati vari. Oblio pericoloso, madre e padre di numerose illusioni e mistificazioni. Siamo esseri nobili, non esiste alcun dubbio in merito; siamo anche ignobili, occorre tenerne conto. Non per denigrarsi, per approdare a una valutazione equilibrata dell’essere: per partire dalla realtà, occorrenza imprescindibile, e dare altri passi in avanti sul cammino della crescita, dandoli al netto di infingimenti e voli pindarici. Noi però vorremmo nasconderci, vorremmo insuperbire e in effetti insuperbiamo. Ma ecco il sopravvenire di molteplici incidenti con i quali suggeriamo a noi stessi le verità che è necessario cogliere e che finiamo con il cogliere nonostante noi, la nostra volontà di dissimulazione (siamo essere fortunati, in grado di procedere nonostante molte debolezze e qualche cattiva volontà). La combinazione di conscio, inconscio e anima (l’anima aspira sempre alla verità, l’inconscio la svela nonostante il caos che pratica) rende difficile se non impossibile ignorare a lungo ciò che è necessario riconoscere per poter procedere nell’universale cammino. Uno di questi momenti della verità (che però è anche altre cose: a volte semplice ostentazione) è appunto costituito dal peto. Anzi, non tanto dal peto, quanto dalle reazioni al peto. Astanti e uditori ridono. Con quella risata da una parte vorrebbero chiudere l’incidente, continuare a nascondere a se stessi ciò che inconsciamente sanno che manifesta (l’incidente quasi mai è tale, semplice incidente), ostinarsi su un piano di pure difesa. Il sollievo che provano nel constatare sia toccato all’altro fungere da prova, diventare veicolo della dimostrazione, non è altro che la forma esteriore con il quale prendono segretamente atto di ciò che effettivamente è successo.

Il disegno certo una greve spiritosaggine, indegna di palati fini. Sembra che però in Austria un Signore, Colpevole di aver imitato l'atto descritto nel disegno, si sia meritato una bella multa. I presenti hanno riso. Non un poliziotto che lo ha accusato di attentato alla scirezza dello Stato. La multa è stata immediatamente pagata.

Il disegno rappresenta certo una greve spiritosaggine, indegna di palati fini.
Sembra che però in Austria un Signore,
Colpevole di aver imitato l’atto descritto nell’illustrazione,
si sia meritato una bella multa.
I presenti hanno riso. Non un poliziotto che lo ha accusato
di attentato alla scirezza dello Stato.
La multa è stata immediatamente pagata.

Mai altra risata più ambigua di questa e contraddittoria. Perché se il disvelamento ottenuto tramite l’episodio sonoro produce il sollievo egoistico individuale al quale ho accennato (meglio sia successo a lui, al maleducato, che a me), offre anche la possibilità di esorcizzarlo. Non si tratta più solo di concedersi la via di fuga del fraintendimento sui significati effettivi della propria reazione, si tratta di entrare (o non entrare) nella sostanziale profondità di questa reazione. Si tratta di evitare (o non evitare), la presa d’atto della umana pochezza (senza la quale è solo presunzione parlare di umana grandezza). Ma, purtroppo, si tratta di entrare in un ambito che è penoso penetrare. Ce lo impedisce sia la paura che alberga in ognuno di noi (paura di scoprire sgradevolezze e scoprire il dovere di porvi mano) e ce lo impedisce la cultura dalla quale siamo sovrastati, una cultura fuorviante che produce oscurità sul (piuttosto che illuminare il) cammino da intraprendere per sollevarsi dal fango primordiale dal quale siamo emersi e al quale siamo ancora troppo vicini. Una miopia culturale che, se non corretta, inevitabilmente produce ulteriore e più grave miopia. Fino ad arrivare alla cecità. L’incidente sonoro servirebbe proprio a questo, a salvarci dall’incapacità, che è anche indisponibilità, di scorgere negli atti quotidiani ciò che può essere d’insegnamento. Ecco sopravvenire il peto allora, con la reazione che provoca, per svegliare il “re del creato” (come amiamo definirci) che sonnecchia in noi. Il Re si sveglia com’è, nudo, ma invece di prendere atto d’esserlo e tentare di coprirsi, fugge nell’appagamento prodotte dalle lusinghe cortigiane della risata, della colpa gettata sull’altro, del non vedere quel che ci sarebbe da vedere per potersi regolare. Preferisce essere servile nei propri confronti e incarognirsi con i discorsi carogna della cultura dominante, i quali non vogliono che intenda. O che intenda a sufficienza da trovare intollerabile non dare almeno un altro passo. Lui stesso incline a non darlo. Troppo faticoso è il cammino in salita del guardare in sé, e guardando tentare di risolvere, per accettare di affrontarlo. Grave è la responsabilità che pesa su ognuno, ognuno pertanto cerca di non assumerla. Dolore e sgomento sono alle porte. Crescere, si sa, significa anche un po’ morire. Espandere la propria coscienza comporta un molto soffrire. È per questo motivo che gli esseri umani concedono campo libero alla superbia, per concederla all’inconsapevolezza, per non dover combattere le guerre che la vita continuamente presenta; che presenta ogni presa d’atto, ogni crescita, ogni pur timido accostamento alle maggiori verità del mondo.
Meglio ridere, dunque. E se necessario irridere. Il riso, si sa, fa buon sangue. Purtroppo, a volte, anche cattiva coscienza.

Redazione
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  • Ho letto, apprezzato (buffetta la seconda foto, quasi allegorica) e approvato. Al contrario di altre/i io non ho problemi se di merda, peti, sudori, umori… si parla;
    non vedo la difficoltà o il disinteresse (anzi, con Riccardo Mancini anni fa scrivemmo nientemeno che sulla serissima rivista «Politica ed economia» una lunga inchiesta sull’economia della merda vilmente intitolata «Veni, vidi, feci»; prima o poi devo scannerizzarla, non era male).
    Mi piace questo passaggio del post di Mau: «indisponibilità, di scorgere negli atti quotidiani ciò che può essere d’insegnamento. Ecco sopravvenire il peto allora, con la reazione che provoca, per svegliare il “re del creato” (come amiamo definirci) che sonnecchia in noi. Il Re si sveglia com’è, nudo…».
    Ricordo lo stupore con cui tanti anni fa lessi nell’antica «Regola Salernitana» il serissimo concetto medico «tromba di culo sanità di corpo». Sulle scuregge o come le volete chiamare – quelle lievi, delicate in Sardegna sono «pisine» – mi viene sempre in mente una frase affettuosa come poche nelbel film «Genio ribelle».
    Insomma, grazie per questo post così insolito.

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