Il pianeta d’ammoniaca di Hal Clement

Metano in gocce e neve ammoniacale inondano le prime pagine di «Stella doppia 61 Cygni» di Hal Clement che viene ristampato nella Collezione Urania (numero 89: 5,50 euri per308 pagine). Il pianeta Mesklin non sembra adatto ai terrestri e infatti la razza dominante la forma di un bruco con chele, conchiglie oculari ecc; mediamente la lunghezza è di 40 centimetri con un diametro di 5; eppure navigano, commerciano, combattono, pensano e… alcuni di loro sono pronti a incontrare i più evoluti (di certo lo sono tecnologicamente ma sotto altri punti di vista… si vedrà) «volatori», cioè noi, i terrestri.

Se, come direbbe Marx, le condizioni materiali condizionano l’ideologia, immaginate quanto influisca (nella pratica ma anche sulle idee, sulla scienza) «vivere in un campo gravitazionale che è da 200 a quasi 700 volte superiore a quello della Terra». Peso a dir poco schiacciante. In alcune parti del pianeta – non in tutte e nel corso d’opera Clement spiegherà perché – saltare o lanciare sono impensabili.

Nonostante l’impianto scientifico molto solido, «Stella doppia…» è ben giocato sul terreno dell’avventura. Scontri e misteri, fughe e colpi di scena, tempeste apocalittiche e tradimenti, beffe e cuore in gola. Nella post-fazione («Mondo trottola») lo stesso Clement spiega che «scrivere un romanzo di fantascienza è un divertimento, non un lavoro»; chi legge deve egualmente giocare e stupirsi. L’autore però è di formazione scientifica e dunque non rinuncia al metodo della verifica invitando – anzi sfidando – a trovare gli errori logici nel suo romanzo. Non ci giurerei ma credo che dall’anno di pubblicazione (il lontano 1954, il titolo originale era «Mission of Gravity») le falle, se c’erano, non siano state scoperte. Questo ex astronomo, oltre che professore e pilota di bombardieri, è considerato il papà della fantascienza “ecologica” proprio per la minuziosa descrizione dei pianeti alieni, arrivando a immaginare se e come i terrestri avrebbero potuto sopravvivere in ambienti dove non esistevano le condizioni base per una razza dipendente da ossigeno e h2o; ma anche ipotizzando su quali sentieri si sarebbe potuta sviluppare una cultura aliena. Mesklin non è un pianeta immaginario: fu scoperto nel 1942 dall’astronomo Strand che parlò di un’atmosfera prevalentemente composta di idrogeno, metano e ammoniaca.

E’ bello – non solo letterariamente – che il protagonista (non assoluto ma dominante) cioè il comandante Barlennan si sveli come alieno solo dopo un bel po’ e che non venga schiacciato dalla “superiorità” terrestre. Ma anche il finale – che qui, è ovvio, non sarà svelato – rifiuta il terra-centrismo. E quello scambio «scienza per scienza», alla pari, fa piazza pulita (indirettamente ma esplicitamente)  dell’abituale imperialismo terrestre di tanta fantascienza.

«Stella doppia…» è andato in edicola a giugno (ma forse lo trovate ancora) mentre a luglio è il turno di Raymond Jones con «La fine del silenzio» del lontanissimo 1944: un bell’inizio ma poi scade.

Sul fronte dei normali Urania invece da qualche mese c’è ben poco da segnalare: «I predatori del suicidio» (numero 1555) di David Oppegaard è più horror che fantascienza ma soprattutto esaurisce in poche pagine l’idea di partenza mentre «Nova Swing» (1559) di John Harrison è ben scritto però non riesce il progetto, più o meno conscio, di riscrivere e migliorare il vecchio «Stalker» dei fratelli Strugakij (o Strugatski come usano scrivere altri). Da leggere invece, per diversissime ragioni, sia «Engine City» (1549) di Ken Mc Leodche e «35 miglia a Birmingham» (1558) di James Braziel: mi ripropongo di recensirli…. Se il signor Kronos (un prepotente vero?) mi lascerà lo spazio necessario.

Ricordo che queste recensioni di fantascienza sono dedicate alla memoria di Riccardo Mancini e che vengono ospitate dal sito www.carta.org (sezione «futuri») mentre per ora la trasmissione radiofonica «Caccia al fotone» è sospesa.

Redazione
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