Il razionamento in sanità

di Angelo Stefanini (*)

Il fondamentalismo del mercato, le risorse, le priorità e le scelte (politiche) occulte

Una discussione che si limiti esclusivamente a considerare il processo di razionamento che avviene “a valle”, ossia a ragionare sui meccanismi in gioco nel comporre il pacchetto essenziale di prestazioni (LEA), rischia di finire per occultare le scelte eminentemente politiche compiute “a monte”. Sono, infatti, proprio tali scelte macro-allocative che non solo condizionano l’intero percorso decisionale che farà seguito, ma che anche aprono la strada a ipotesi “nuove” (vedi assicurazioni integrative) su come trovare le risorse necessarie a rendere il razionamento meno doloroso.


Sono i valori che una società accetta come fondamentali che bollano alcune scelte come tragiche.” Questa citazione, tratta da un libro inquietante del 1978 dal titolo “Scelte tragiche – I conflitti che la società affronta nell’allocazione di risorse tragicamente scarse”[1], ci invita bruscamente a riflettere sull’attuale dibattito, ospitato anche da questo blog (vedi Il fumo negli occhi), riguardo al razionamento e la scelta delle priorità nel settore sanitario. Il libro discute “le tensioni e le tragedie” che spesso accompagnano non soltanto le decisioni su “chi debba ricevere cosa” di un determinato bene, ma anche quanto di quel bene debba essere prodotto e messo a disposizione della società.

Il termine “scelte tragiche”, chiariscono gli autori, i giuristi statunitensi Guido Calabresi e Philip Bobbit, non è riferibile soltanto a questioni di vita e di morte, ma anche a situazioni in cui “la società deve scegliere tra diversi valori affermati in modo assoluto, ossia che non ammettono compromessi…”.  E concludono: Non possiamo sapere perché il mondo soffre, ma siamo in grado di conoscere come il mondo decide che la sofferenza colpisca alcune persone e non altre… [È] nelle scelte che compiono che le società preservano o distruggono quei valori che la sofferenza e la necessità fanno emergere[2].

Da dove vengono i LEA?

Nel 2001, alla vigilia della nascita dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA),[3] il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) sottolineava come “la distribuzione delle risorse si pone a due livelli diversi e complementari: da un lato, sono in questione l’organizzazione dell’assistenza pubblica e la determinazione delle regole generali che devono ispirarne la gestione da parte degli organi politici e amministrativi competenti (macro-allocazione); dall’altro, si tratta di individuare dei criteri per le scelte a cui sono chiamati, quotidianamente, i singoli operatori sanitari, che si trovano a decidere sull’utilizzazione dei mezzi a loro disposizione, a fronte di una richiesta spesso eccedente (micro-allocazione).”[4]
Mantenere uniti i due momenti in cui avvengono le scelte allocative, come indicato da Calabresi & Bobbit e dal CNB, aiuta a vederli come necessariamente complementari e portatori di due rispettivi principi che fondano la legge 833 istitutiva del SSN e la stessa Costituzione italiana: il diritto alla salute e l’equità di accesso.

Una discussione, quindi, che si limiti esclusivamente a considerare il processo di razionamento che avviene “a valle”, ossia a ragionare sui meccanismi in gioco nel comporre il pacchetto essenziale di prestazioni rappresentato dai LEA, rischia di finire per occultare le scelte eminentemente politiche (e quindi raramente esplicite) compiute “a monte”. Sono, infatti, proprio tali scelte macro-allocative che non solo condizionano l’intero percorso decisionale che farà seguito, ma che anche aprono la strada a ipotesi “nuove” (vedi assicurazioni integrative) su come trovare le risorse necessarie a rendere il razionamento meno doloroso.

La macro-allocazione, in realtà, riguarda innanzitutto l’entità delle risorse che uno Stato dedica alla salute, sia come finanziamento diretto, sia attraverso altre vie che incidano sui determinanti della salute e sulla prevenzione delle malattie, compresi i fondi destinati alla ricerca scientifica. Tali scelte, riguardanti la percentuale di prodotto interno lordo (PIL) destinato alla spesa per la salute, la sua distribuzione fra ricerca, prevenzione e cura e i modi di reperimento delle risorse, riflettono il valore che quella società concretamente attribuisce alla salute e alla vita umana. Le scelte macro-allocative, insomma, determinano quanto di una determinata risorsa sarà resa disponibile al termine della catena allocativa per essere razionata tra i singoli pazienti. Questo percorso è fatto inevitabilmente di una “successione di decisioni, razionalizzazioni, violenze… tra momenti di calma e momenti di ansietà”.[5]

Vista in questa ottica, la condizione di scarsità, comunemente assunta come il risultato inevitabile della mancanza assoluta di una risorsa, appare in realtà come l’esito di “una decisione della società che non è disposta a privarsi di altri beni e benefici in quantità sufficiente a evitare la scarsità…” In questo modo, “facendo apparire il risultato come necessario e inevitabile, ciò che è stata una scelta tragica è trasformata in una fatale sventura.” [6]

Interrogare la scarsità

Il professore Ted Schrecker, università di Durham (UK), ritiene che la preoccupazione contemporanea con la definizione delle priorità sia inquietante nella sua incapacità di riconoscere l’imperativo di “interrogare la scarsità”.[7]
L’idea di scarsità delle risorse permea l’etica della salute e l’analisi politica sanitaria in vari contesti, sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri. Tuttavia, secondo Schrecker, l’etica della salute raramente si chiede, come invece dovrebbe, il motivo per cui alcune situazioni e scenari sono ‘scarsi di risorse’ e altri no.

Interrogare la scarsità è una strategia per studiare il meccanismo dell’allocazione delle risorse in uno scenario globale in cui i valori del fondamentalismo di mercato insinuano la “costruzione della scarsità” in contesti politici specifici (come quello sanitario) e per mostrare che né il meccanismo causale delle malattie né l’etica della salute possono essere separate dalla politica.
Interrogarsi sulla scarsità, quindi, significa chiedersi da dove essa provenga e chi prenda le decisioni che creano e mantengono la scarsità di risorse per la salute. È un obbligo professionale che va adempiuto, “inesorabilmente e quando necessario sgarbatamente,”[8] in tutte le situazioni caratterizzate da inaccettabili disuguaglianze socio-economiche in salute.

Ciò che è urgente è “determinare dove, se mai, nella storia dell’approccio di una società a una particolare risorsa scarsa, una decisione sostanzialmente sotto il controllo di quella società ha fatto sì che quella risorsa rimanesse scarsa… La scarsità non può essere semplicemente assunta come un dato di fatto”.[9]  Al contrario, la scarsità di risorse nel contesto delle politiche sanitarie deve sempre essere intesa facendo riferimento alla sua origine nelle scelte politiche e nei macro-processi sociali ed economici.  L’affermazione che l’accesso alle cure sanitarie sarebbe insostenibile, quindi, non può essere isolata, per esempio, dalle scelte di politiche fiscali e dal tipo di welfare cui ci si ispira.

Da dove viene la scarsità?

La definizione e la costruzione correnti del concetto di scarsità sono espressione del sistema di valori che sta alla base della globalizzazione contemporanea: il neoliberismo o fondamentalismo di mercato. Esso fonda l’organizzazione di quasi tutti i settori dell’attività umana sui mercati, a cui affida la distribuzione delle risorse riducendo notevolmente il ruolo dello stato e definendo la cittadinanza in termini di partecipazione ai mercati come produttori e consumatori (informati).

Nel contesto dell’economia politica della salute globale, la Banca Mondiale si propone da decenni come araldo delle strategie di mercato nel suo ruolo di importante fornitore di assistenza allo sviluppo per il settore sanitario.  Tra gli esempi più significativi di tale discutibile attività si può ricordare l’aggressiva promozione negli anni negli ’90, inizialmente nei paesi “in via di sviluppo” attraverso i programmi di “aggiustamento strutturale”, per poi arrivare a una vera e propria “epidemia” globale, delle riforme del settore sanitario orientate al mercato. Uno delle idee centrali di tali riforme è l’acquisto privato delle cure mediche o dell’assicurazione sanitaria come norma per il finanziamento del sistema sanitario in cui il ruolo pubblico è fortemente limitato. Tuttavia, “nonostante i paesi poveri abbiano bilanci pubblici limitati, la persistenza di scarse risorse per la sanità non è necessariamente una variabile fissa. Esiste perché si vuole che così sia.”[10]

Nell’attuale scenario globale di ortodossia neo-liberista caratterizzato dagli incessanti “richiami” alla necessità e inevitabilità di politiche di austerità che istigano la costruzione della scarsità in molti contesti di politica pubblica, né il percorso causale delle malattie né l’etica della salute possono sensatamente essere separate dalla politica e dalla economia.
L’indagine su come la scarsità è costruita e mantenuta, sottolinea Schrecker, restituisce la politica sanitaria alle intuizioni di un’epoca precedente, in particolare quella di Rudolf Virchow, circa l’importanza delle cause sociali e politiche della malattie.

Conclusione

Esprimere scetticismo sul concetto di scarsità, tuttavia, non ci esonera dal trovare soluzioni procedurali al bisogno di razionamento, nel senso che un aumento delle risorse a disposizione non ci libererà necessariamente dall’inevitabilità di scegliere, ad esempio, quali interventi tagliare o quali nuovi offrire.

Nell’ineluttabile disordine e difficoltà che caratterizzano il processo di allocazione delle risorse, la sfida allora sta nel facilitare il dialogo costante tra decisori politici, professionisti e pubblico sui principi da invocare nel prendere le decisioni e sul modo migliore per conciliare i valori in conflitto e le rivendicazioni in competizione. Se la portata di tali difficoltà ci sembra insuperabile è forse necessario partire dalla constatazione che non sarà possibile giustificare l’esito del dibattito in termini di una risposta “giusta” e universalmente valida.  L’importante sarà poter dimostrare che il processo che ci porta alla decisione sia condotto in modo rigoroso ed eticamente difendibile.[11]

Il razionamento e la definizione delle priorità è un tema sfuggente nella politica sanitaria nazionale e globale. Nonostante un dibattito informato su ragioni e meccanismi delle scelte in sanità sarebbe nell’interesse di tutti, non è scontato che sia nell’interesse di ogni decisore. I motivi di tale impopolarità risiedono soprattutto nella constatazione che anche persone indubbiamente ragionevoli trovano difficile accordarsi su ciò che è giusto finendo in genere per proporre soluzioni tecniche a ciò che è intrinsecamente una questione di giustizia distributiva, e quindi di carattere etico e politico.

Tuttavia, prima di gettarsi in contorsionismi concettuali e metodologici nell’impresa di giustificare il razionamento imposto dalla scarsità delle risorse in sanità, sarebbe bene interrogarsi onestamente da dove tale scarsità provenga. Un esercizio del genere ci costringerebbe a riflettere seriamente su quali sono realmente i valori e i principi su cui intendiamo fondare la nostra società e se intendiamo veramente applicarli nella pratica delle scelte politiche.
Bibliografia

  1. Calabresi G, Bobbit P. Tragic Choices. New York: Norton, 1978.
  2. Calabresi & Bobbit 1978, 17.
  3. I LEA sono definiti come “Le prestazioni di assistenza sanitaria garantite dal servizio sanitario nazionale” – Decreto presidente Consiglio ministri  29 novembre 2001 (in Gazzetta Ufficiale 8 febbraio 2002, n. 33).
  4. Orientamenti bioetici per l’equità nella salute. Comitato Nazionale per la Bioetica.
  5. Calabresi & Bobbit 1978, 19.
  6. Calabresi & Bobbit 1978, 22.
  7. Schrecker, T. Interrogating scarcity: how to think about ‘resource-scarce settings. Health policy and planning Health Policy and Planning, 2012;1–10.
  8. Schrecker, 2013, 2.
  9. Calabresi & Bobbit 1978, 150-1.
  10. Schrecker 2013, 7.
  11. Ham C. Priory setting in the NHS. British Journal of Health Care Management 1995; 1(1): 27-29.

(*) ripreso da http://www.saluteinternazionale.info: grazie a Stefania che lo ha segnalato alla “bottega”.

 

Redazione
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