Il recupero dell’Apolllo 8

«Il futuro era venuto e se n’era andato». Una frase che gli appassionati veri della “corsa spaziale” (ma più in generale di scienze, fantascienze, utopie…) intendono in tutta la sua drammaticità. Eravamo lì – dopo il 1969 – sul punto di prendere la rincorsa e poi ci siamo fermati. Sogni scadenti e paure forse più che problemi di razzi o il dibattito (pur necessario) su priorità e corretto uso delle risorse.

A ributtarci nei sogni spaziali degli anni ’60-70 ecco un bel romanzo breve – o racconto lungo, se più vi aggrada – di Kristine Rusch, «Il recupero dell’Apollo 8» (Delosbooks: 108 pagine, 10 euri; la traduzione è di Bruno Andrea), nel filone della “storia alternativa”. Per capirsi, nel mondo in cui io vivo (con voi, credo) l’Apollo 8 circum-navigò la Luna nel dicembre 1968 e aprì la strada al successivo “allunaggio” dell’Apollo 11, l’anno dopo. Nel mondo alternativo del romanzo qualcosa invece andò male e l’Apollo 8 si perse nello spazio. Una differenza non da poco.

Anche se la storia inizia nel 2007 (variazione X rispetto al nostro) il passaggio chiave è il 24 dicembre 1968 (variaz. X) con un bambino, un po’ prodigio, che fa il tifo per gli astronauti. Ma la missione fallisce e il piccolo Richard Johansenn cresce con il dolore di quella perdita e il timore che il fallimento significhi la fine dei programmi spaziali, insomma che quel giorno il futuro se ne sia andato per non ritornare.

Richard diventa grande. E ricco, grazie alla sua gemialità e ad alcune idee intelligenti di un giovanotto (tale Bill Gates) che subito assume. Così può permettersi la spesa per un’idea folle: andare a cercare l’Apollo, recuperando i corpi di Anders, Borman e Lovell, i tre eroi perduti nello spazio.

La storia è tutta qui. La caccia a un sogno, al futuro perduto, alle conquiste spaziali, agli eroi: un debito o – secondo un altro punto di vista – la fissazione, l’incubo di un bambino cresciuto con le stelle nel cuore.

Dopo varie avventure (che non svelerò) e persino una rischiosa alleanza fra lo statunitense Richard e i “nemici” cinesi, si arriva al 2068. Un po’ acciaccato – visto che 108 anni, pur con i progressi medici, resta una bella età – ma sempre attivo, stavolta Richard è in volo per Marte. Arriva un imprevisto, anzi il massimo dell’improbabilità. C’è chi sa cogliere l’attimo. In pochi minuti Richard cerca un pilota e trova una tipa (Star, nome «di buon auspicio») brava ma con note bio-lavorative piene di «rimproveri per eccessiva arroganza e troppa imprudenza». Come dire: «esattamente ciò di cui aveva bisogno». Con il suo aiuto, va dove non dovrebbe. La figlia gli dice: «E’ da pazzi» e lui, con grande saggezza e un improvviso moto di affetto, annuisce: «sì, è da pazzi». E si butta.

Ultime due pagine da incorniciare.

L’autrice cucina una magnifica suspence condendola di vera, alta, retorica, mai banale. La sua bravura è appassionarci anche quando nulla accade, cioè quasi sempre in questo libro che riesce a essere intimista pur se vibra di amore per l’avventura nello “spazio esterno”. Chiuso il libro qualcuna/o urlerà: «scusate, la Rusch cos’altro ha scritto?». Magari per scoprire – nel mio caso grazie all’introduzione di Salvatore Proietti – che ha già pubblicato molto, anche gialli e fantasy.

Ah, non è vero che Salvatore Proietti mi dà 50 centesimi ogni volta che scrivo di una sua «bella prefazione». E’ proprio che lui non ne sbaglia una.

BREVISSIMA NOTA

Sul tema della “corsa spaziale” molto (moooooooolto) trovate su codesto blog. Fra i post più recenti vi segnalo il mio Ci serve Gagarin, 50 anni dopo? E sul versante fantascientifico La duplice natura della Space Opera di Mauro Antonio Miglieruolo. Buon proseguimento (db)

 

 

Redazione
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