Il serpente del Pacifico: il Cile – III puntata

Centro e “Sur Chico”

di Kumba Diallo (*)

 

 

“Non potete minacciare con le armi coloro che valutano la libertà più che la vita.”

(Il capo Cacique Mapuche Antupillan al governatore spagnolo Loyola nel 1575)

La Serena, cittadina costiera a nord di Valparaíso, si trova nella regione di Coquimbo, Norte Chico, ma non avendone parlato nella puntata precedente vorrei rimediare, perché vale la pena conoscere il processo di fabbricazione della balsa – la definirei un natante – esposta nel locale museo archeologico, copyright del Pueblo Chango, cultura Huentelauquén, con una tecnica risalente al periodo arcaico (8500-500 a.C.) che sopravvisse fino a un secolo fa; si usavano queste balsas per caricare il salnitro[1].

La balsa è di pelle di leone marino. Si utilizzavano quattro animali: si cucivano le pelli l’una all’altra e le si calafatavano con il grasso degli stessi leoni marini, le si gonfiavano soffiando dentro tubi di osso, tra le pelli rigonfie si infilava una stretta tavoletta di legno e si aggiungevano due remi. L’imbarcazione era così pronta per cacciare persino tonni e balene, si legge nella nota esplicativa, con arpioni acuminati di osso; per uccidere queste ultime si mirava al cuore, sotto le pinne. Guardando questa esilissima balsasembra incredibile che chi le maneggiava osasse affrontare tra le onde tempestose del Pacifico i colossi che Melville definiva leviatani. Caratteristiche del Huentelauquén sono anche le cosiddette pietre geometriche, il cui uso non è chiaro, si ipotizza cultuale, unitamente agli allucinogeni, collocati su tavolette e inalati.

Vicino a La Serena, nel Valle del Elqui, a Vicuña, sono salita ad un Osservatorio[2]: il paesaggio è già atacameño, costellato di cactus e prosopis, il sentiero è pietroso, ma nel fondovalle si scorge un’oasi coltivata a ortaggi: regna una gran pace e un profondo silenzio, l’aria è cristallina. Merito del quarzo ialino racchiuso tra i monti[3]? Consiglio ad eventuali viaggiatori di includere il luogo nel loro itinerario, anche per godere dei tersi cieli stellati.

Nel piccolo museo di Los Andes si apprende che fu l’impero Inka (800-1450 d.C.) a inventare le poste: il loro immenso territorio, chiamato Tawantinsuyo, era diviso in quattro distretti e comprendeva il sud della Colombia, l’odierno Ecuador, parte della Bolivia occidentale, il Perù e il Cile di oggi fino al Maule (centro). Per far circolare i messaggi stabilirono percorsi per staffette. I loro uomini, chiamati chaskis, dovevano correre per 22 km esatti prima di passare il testimone al corridore successivo, e così ininterrottamente fino alla meta prescelta. Si comprende perché “posta” si dica in francese “courrier” e in spagnolo “correo”!

Arrivo a Talca da Los Andes passando per Santiago: è una tappa intermedia nella regione vinicola che non mi interessa particolarmente ma la scelta si rivela azzeccata, a partire dall’albergo che pur non essendo lontano dal centro è immerso nel verde, in un bel giardino. Le stanze sono in cabañas individuali: si chiama Stella Bordestero. Da Talca visito la riserva nazionale Altos de Lircay: solita arrancata in autobus fino a Vilches alto e orari contingentati, è domenica, per cui in tre ore pochi chilometri sono concessi, anche perché occorre camminare per arrivare all’entrata (pagante) della riserva. Mi bastano comunque per assaporare un paesaggio di immensi alberi ultracentenari, i primi coyhuesche vedo e rivedrò nelle selve australi ben più a sud[4], con tronchi imponenti e chiome che si smarriscono in cielo. Su di un tronco c’era un cartello:” questo albero era un giovane arbusto quando Cristoforo Colombo toccò terra a San Salvador nel 1492”. Da un belvedere nel bosco si scorge una montagna violacea. Peccato: sarebbe bello fermarsi nel campeggio ma non sono attrezzata, quindi me ne riparto con il dépliant del parco e un po’ di rimpianto, ché ben altre cime e sentieri sarebbero stati appetibili.

Come premio di consolazione a Talca trovo un ristorante aperto (anche se è domenica) che serve un ottimo ceviche[5]: è il piatto che mi ha salvato dal digiuno in varie circostanze, poiché i cileni apprezzano un po’ troppo la carne per i miei gusti ed è difficile trovare formaggi artigianali. Il facsimile di formaggio più diffuso nazionalmente è un infame laminado (lo chiamano così), un parallelepipedo pressato che si affetta come salame. Le grigliate di San Silvestro sulla caldissima spiaggia di Iquique esibivano quasi sempre grassi salsicciotti. Non a caso il ceviche è di origine peruviana. E occorre dire che le conseguenze di una dieta carnivora irrorata di ketchup e innaffiata di Coca Cola sono evidenti (anche se vi sono certamente altri fattori in gioco): l’ultima indagine nazionale di sanità pubblica 2016/17 rivela che un bambino su quattro è obeso e ben tre adulti su quattro lo sono[6]. Molte giovani mamme sono già sovrappeso.
Pochi km più a sud la tappa successiva è Villa Alegre, nel cuore della regione vinicola e agricola, dove sono generosamente ospitata da una signora italo-cilena, ex rifugiata in Italia dopo il golpe di Pinochet e rientrata in gran fretta in Cile in seguito al fortissimo terremoto del 2010, 8,8 gradi della scala Richter, che durò ben quattro minuti e fu seguito da un devastante tsunami, dato che l’epicentro si trovava nell’oceano Pacifico. Le regioni più devastate furono proprio quelle di Talca e immediatamente a sud, di Concepción. Il padre della mia amica si salvò ma la casa e le piccole dépendances che la attorniavano – è una zona rurale – furono distrutte. Le stesse che ricostruite mi hanno accolto tra un orto e un giardino pieno di fiori e alberi da frutto.

La città di Talca oggi non mostra cicatrici evidenti, ma mi si dice che dopo il terremoto sembrava bombardata, idem per Concepción. Una mattina facciamo una lunga passeggiata per andare a visitare la vigna di un conoscente che fa anche agriturismo; una degustazione non è possibile e poi non è l’ora giusta, il rientro sotto il sole sarebbe anche più faticoso, ma il luogo è molto gradevole e ascolto il racconto di una leggenda su una famosa marca di vini della zona: el Casillero del Diablo[7], cantine di Concha y Toro. Veramente riscontro una divergenza tra la versione online e quella del vignaiolo di Villa Alegre, che la mette così:

“Il padrone delle vigne, Don Melchor, marchese di Concha y Toro, avvocato e uomo politico, era molto ricco e divenne ancora più ricco quando decise di piantare delle vigne con ceppi francesi e i suoi vini ebbero un grande successo: divenne tanto ricco che nacque la leggenda che avesse fatto un patto con il diavolo e che il suo tesoro fosse custodito dal Maligno in un luogo nascosto nelle sue vigne. Nacque così la leggenda del Casillero del Diablo, lo stipetto del diavolo”.

 Concepción, cittadina molto piacevole situata nel mezzo di una zona intensamente industrializzata, siede appena a nord dell’estuario del fiume Biobío, oltre il quale inizia “ufficialmente” il Sur Chico. Fu fondata da Pedro de Valdivia, uno dei conquistadores del Cile, e rappresentò per più di due secoli l’ultimo loro avamposto al margine della Frontera che segnava il confine tra i territori spagnoli e la terra Mapuche, il Wallmapu, dove gli spagnoli riuscirono a penetrare definitivamente solo negli anni successivi al 1870. Il segreto della resistenza Mapuche fu oltre al loro coraggio la rapidità con la quale appresero dai nemici a usare il cavallo in battaglia; furono così l’unico popolo autoctono a sopravvivere e vincere almeno finché le forze dello Stato cileno (e la ferrovia) non ebbero la meglio. “Senza il cavallo l’America sarebbe stata scoperta ma non conquistata”, avevo letto nel museo di Los Andes.

La prosperità di Concepción fu dovuta in gran parte alla scoperta di giacimenti di lignite, a metà del 1800, nella cosiddetta Costa del Carbón, a qualche decina di km dal centro città. Dopo una progressiva diminuzione dell’uso del carbone, le miniere furono chiuse nel 1997. Una miniera particolare era quella del piccolo centro di Lota, chiamata Chiflón del Diablo[8], cioè soffio del diavolo, in quanto è a ventilazione naturale, e si inoltra sotto l’Oceano Pacifico. Dopo la sua chiusura i minatori si sono reinventati come guide turistiche e organizzano discese nelle gallerie con piccoli gruppi di visitatori cui spiegano il processo di estrazione e rievocano la vita dei minatori.

Sono scesa nel Chiflón il pomeriggio del 19 gennaio, bardata come tutti gli altri di un pesante armamentario. L’ascensore non funzionava per cui siamo scesi lungo una galleria ripida e scivolosa che non finiva più. La nostra guida era particolarmente logorroica e ci ha tenuto sotto mare e terra per più di un’ora e mezzo, tempo che mi è sembrato interminabile. Le gallerie sono anguste, umidissime, stillanti anzi, e sorrette da travature di legno, l’unica luce era quella delle torce sui nostri caschi. Di conseguenza le mie foto sono bruttine ma non era facile estrarre il telefono cercando di non scivolare nella fanghiglia e azzeccare un’inquadratura nella penombra senza fermare la fila. La guida era figlio e nipote di minatori e ho avuto l’impressione che sfogasse la sua frustrazione per una vita di merda, bisogna dirlo, ripetendosi spesso e tenendoci inchiodati su scomode panche oltre misura. Rivedere il cielo fu assai gradito, e mi congratulai con la nostra fortuna quando lessi il giorno dopo che la sera precedente c’era stato un terremoto con epicentro a La Serena, centinaia di km più a nord, 6,7 gradi scala Richter[9].

A Temuco, capitale dell’Araucania oltre il fiume Biobío, inizia il sud: l’ho trovata un po’ triste, tagliata a metà in pieno centro dalla ex Panamericana ingombra di traffico. Unica attrazione paesaggistica il Cerro Ñielol, dove da ragazzo passeggiava Pablo Neruda che affermava nelle sue memorie: “Le terre della Frontera hanno messo le radici nella mia poesia, e non ne sono mai uscite. La mia vita è un lungo pellegrinaggio che attraverso continue svolte ritorna sempre alla foresta australe, alla selva”. E’ il testo impresso su una targa di legno all’ingresso del parco del Cerro, lussureggiante di felci enormi e di alberi maestosi.

Il Museo regionale dell’Araucanía è quasi tutto focalizzato sulla cultura tradizionale Mapuche, e la ricostruzione storica della Conquista del Wallmapu[10] ma i pannelli esplicativi si fermano a inizio ‘900, non facendo parola della vera e propria guerra in atto oggi per azzerare i diritti dei Mapuche su terra, acqua e risorse naturali nel loro territorio ancestrale[11]. Tra le opere esposte articoli d’abbigliamento tessuti a mano: mi colpisce la somiglianza con la complicata tessitura e i disegni visti al bellissimo museo di Sucre in Bolivia: la stessa filosofia li sottende. In ambedue i casi le tessitrici proiettano la loro vita e il loro mondo sulla tela e ogni traccia ha un significato; attraverso il telaio traducono il loro pensiero e si situano nel contesto sociale e familiare.
La tessitura è ancestrale, c’è la vita di una (donna) e della sua famiglia scritta nel chamal, nel trariwe, nel pelero, nel chañuntuku…nelle coperte; una donna doveva sognare i colori, i disegni, la storia che lei voleva raccontare…”, dice una didascalia.[12]  Anche le anziane donne dei villaggi Bambara con le quali ho lavorato in Mali proiettavano il loro vissuto nelle tele bogolan tradizionali, i cui disegni marrone tracciati con un impasto particolare di terra indelebile narravano sia la loro vita che il mondo circostante.

A Temuco scopro un’alga mai vista prima, chiamata localmente cochayuyo: una mattina nella Plaza de Armas ce ne sono due carri stracarichi trainati da due possenti buoi, le alghe sono gigantesche, di un marrone poco attraente, legate in fascine. Mi avvicino incuriosita e ne chiedo l’utilizzo. Pare che dopo ripetute cotture si usino come condimento nel ceviche[13].  Ho scoperto in rete addirittura ristoranti che la servono come una specialità locale. Accanto sono anche in vendita piccole bacche molto buone chiamate maqui che si colgono da alberelli che vedrò dopo qualche giorno a Castro, nell’isola di Chiloé.

Partenza per Villarrica, che si rivelerà molto più ridente di Temuco, per Chiloé e la Patagonia.

[1] https://es.wikipedia.org/wiki/Balsa_de_cuero_de_lobo

[2] I cieli del Valle sono famosi per la loro limpidezza per cui la zona pullula di Osservatori.

[3] http://www.diarioeldia.cl/cultura/ruta-cuarzo-piedra-mistica-preciosa

[4] http://www.highonadventure.com/Hoa07dec/Lee/Otherworldly.htm

[5] Nota gastronomica: il ceviche è composto di pesce crudo o frutti di mare marinati nel limone e condito con pezzetti di peperone e coriandolo fresco. Può essere o no piccante, è servito con salsine deliziose.

[6] Rev. chil. nutr. vol.45 no.1 Santiago 2018 https://scielo.conicyt.cl/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S0717-75182018000100006

[7] http://www.venderepiuvino.it/blog/la-storia-di-casillero-del-diablo/

[8] https://es.wikipedia.org/wiki/Chifl%C3%B3n_del_Diablo

[9] https://www.youtube.com/watch?v=1Ud-EH1SoRw

[10] Wallmapu in mapudungun, la lingua dei Mapuche, significa terra (mapu) circostante, e Mapuche, gente della terra.

[11] Il numero di dicembre 2018 di Le Monde Diplomatique edizione cilena ha diversi articoli su questo argomento.

[12]https://www.google.com/search?q=chamal+trariwe&tbm=isch&source=hp&sa=X&ved=2ahUKEwjPnPai_e3hAhWKmBQKHeF4BB8Q7Al6BAgJEA8&biw=1352&bih=646#imgrc=0_SYiWnvdTRWpM:

[13] https://www.chileestuyo.cl/cochayuyo-el-alga-tipica-de-las-costas-chilenas/

(*) articolo tratto da http://croceorsa.blogspot.com/

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