Il tessaratto, i manicomi-mondo, l’amore: quando…

un certo Heinlein ci metteva di fronte tutti i nostri zombie   

Un’amnesia. Il pendolo oscilla fra magia e pazzia… ma potrebbe esserci una terza via che forse riguarda i critici d’arte. La scena è a Chicago, «un gigantesco recinto per bestiame», dove c’è un palazzo con un 13esimo piano che appare e scompare. La strana sostanza sotto le unghie di Jonathan Hoag non è sangue ma chissà che, però forse quelle dita non hanno impronte digitali… E naturalmente state attenti agli specchi anche se non vi chiamate Alice. Questa antologia – più avanti le indicazioni – si intitola «Il mestiere dell’avvoltoio» come il primo, lungo (oltre 100 pagine) racconto. E’ del 1942 ma mentirebbe chi osasse dire che ha una ruga o un capello grigio.

Si parla dell’ultimo Urania (236 pagine per 4.90 euri) in edicola: 6 racconti – nella traduzione di Vittorio Curtoni – scritti fra il 1940 e il 1959 da Robert Heinlein; e qualunque cosa pensiate di Heinlein (vedi post scriptum) questa antologia dovete leggerla o rileggerla.

Il secondo racconto – «La casa nuova» – è talmente geniale da essere finito in alcune antologie (anche scolastiche) ben fatte e in tutte quelle “pretenziose”. Memorabili le prime parole: «Gli americani sono ritenuti pazzi nel mondo intero». Correggete mentalmente la piccola imprecisione (si parla degli statunitensi) e andate avanti: dopo poche righe arriverete a una certa strada in un certo canyon di Los Angeles dove incontrerete Quintus Teal, un architetto indimenticabile («cos’ha Frank Lloyd Wright che io non abbia?») che mira a costruire una casa con un nuovo stile, «più moderna della tv, più nuova della settimana prossima». E ci riuscirà.

Terzo racconto è «Loro»; dovendo dare un’etichetta potremmo dire “fantascienza psichiatrica”: con alcune storie di Sturgeon forse il miglior esempio del genere. Fra scacchi e inganni, schemi e sogni, carcerieri e reclusi, quali sono i fatti certi? Il mondo esiste? Io sono io probabilmente – così ragiona il protagonista – ma se la Terra fosse tutto un manicomio? E costruito per chi? Religioni e filosofie sanno predicare ma quando vacillano nelle loro contraddizioni potremmo scorgere questo nodo: «la tecnica più sicura per raccontare bugie convincenti è raccontare la verità in maniera non convincente»… o no? Gran finale che viene giù come una valanga.

Dopo queste tre perle «La nostra bella città» è solo una divertente favoletta, vagamente animista e molto “alla Beppe Grillo”.

Anche con il quarto racconto – «L’uomo che vendeva elefanti» – siamo fuori dalla fantascienza (ma sempre nel fantastico) e dalle parti del fanta-amore con una tenerezza alla Bradbury. Imperdibile per chi ama gli opossum.

Queste due storie meno strepitose delle tre precedenti potrebbero far cadere chi legge in uno stato di pericolosa rilassatezza… che l’ultimo racconto scuoterà (e sto usando un eufemismo). Non posso svelare una sola riga di «Tutti voi zombie» ma devo ricordare – soprattutto a certi amici e amiche che esplorano tutte le strade della sessualità – che la frase «non puoi fare a meno di sedurti» (nel contesto immaginato da Heinlein) porterà a giudicare Casanova, De Sade, Emmanuelle, la zoofilia o il film «L’impero dei sensi» come relativamente poco inquietanti.

Perdervi quest’antologia? Solo se siete sceme o scemi.

UN POST SCRIPTUM ANNOIATO

Non avrei voglia di entrare per la centesima volta nella polemica su Heinlein reazionario o non capito. Quando con Riccardo Mancini scrivemmo, molti anni fa su «il manifesto», di un Heinlein «a volte fascista» ci fu chi ci tolse il saluto: per l’«a volte» oppure per il «fascista». Dopo tanto tempo e molte riletture, confermo: alcuni romanzi di Heinlein sono schifosamente reazionari, altri libertari, alcuni ambigui e troppo figli del loro tempo (per uno scrittore di fantascienza sarebbe meglio evitare, no?). Potrei quasi condividere la nota che G. L. (Giuseppe Lippi suppongo) dedica ad Heinlein in coda a questo Urania… se non fosse per una parentesi: ovvero la frase «ambiguità ideologiche (dal punto di vista europeo)». No, no, no: per quanto gli Usa siano diversi da noi, chiunque faccia l’elogio del militarismo, delle gerarchie, dell’imperialismo, della superiorità razziale non è ambiguo, è fascista. In quel libro o in quei libri. Se poi altrove la stessa persona risulta simpaticamente libertaria, genialmente controcorrente e sovversiva evviva: sono «contraddizioni», in tutti e 5 i continenti per quel che capisco io.

 

Redazione
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3 commenti

  • a proposito di bradbury, “pioggia senza fine” è un suo racconto. nota alla serata di ieri in biblioteca dergano. grazie ancora.

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