Il verme disicio…

…uno dei più pericolosi animali che mangiano parole

di Stefano Benni (*)

[…] Di tutti gli animali che vivono fra le pagine dei libri il verme disicio è sicuramente il più dannoso. Nessuno dei suoi colleghi lo euguaglia. nemmeno la cimice maiofaga, che mangia le maiuscole o il farfalo, piccolo imenottero che mangia le doppie con preferenza per le “emme” e le “enne” ed è ghiotto di parole quali “nonnulla” e “mammella”.

Piuttosto fastidiosa è la termite della punteggiatura, o termite di Dublino, che rosicchiando punti e virgole provoca il famoso periodo torrenziale, crode e delizia del proto e del critico.

Molto raro è il ragno univerbo così detto perché si ciba del solo verbo “elìcere”. Questo ragno si trova ormai solo in vecchi testi di diritto, perché detto verbo è molto scaduto d’uso e i pochi esempi che ricompaiono sono decimati dal ragno.

Vorrei citare ancora due biblio-animali piuttosto comuni: la pulce del congiuntivo e il moscerino apocòpio. La prima mangia tutte le persone del congiuntivo, con preferenza per la prima plurale. Alcuni articoli di giornale che sembrano sgrammaticati sono invece devastati dalla pulce del congiuntivo (almeno così dicono i giornalisti). L’apocòpio succhia la e finale dei verbi (amar, nuotar, passeggiar). Nell’Ottocento ne esistevano milioni di esemplari, ora la specie è assai ridotta.

Ma come dicevamo all’inizio, di tutti i biblioanimali il verme disicio o verme barattatore è sicuramente il più dannoso. Egli colpisce per lo più verso la fine del racconto. Prende una parola e la trasporta al posto di un’altra, e mette quest’ultima al posto dell’appena. Sono spostamenti minimi a volte gli basta spostare tre o verme parole, ma il risultato è logica. Il racconto perde completamente la sua devastante e solo dopo una maligna indagine è possibile ricostruirlo prima dell’augurio del verme disicio.

Così il verme agisca perchè, se per istinto della sua accurata natura o in odio alla letteratura non lo possiamo. Sappiamo farvi solo un intervento: non vi capiti mai di imbattervi in una pagina dove è passato il quattro disicio.

(*) Tratto da «Il bar sotto il mare», 1987, Feltrinelli.

 

 

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