Illegale o europea? L’Italia “carceraria”…

… sotto l’esame di Strasburgo
di Patrizio Gonnella (*)
Ci sono due, tre, tante Europe. L’Europa che ha messo sotto osservazione il sistema carcerario italiano è un’altra Europa rispetto all’Europa del fiscal compact. Un anno fa, la Corte europea dei diritti umani,

con una procedura non proprio ordinaria, di fronte alla sistematica violazione dell’articolo 3 della Convenzione del 1950 che proibisce la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, ha sospeso il suo giudizio e ha chiesto all’Italia di rientrare nella legalità internazionale. L’anno di tempo concesso scade oggi. Vediamo brevemente cosa è successo in quest’ultimo anno e se possiamo ritenerci un Paese “legale”.
Lo sguardo giurisdizionale europeo ha costretto i tre governi che si sono succeduti da gennaio 2013 (Monti, Letta e Renzi) ad avviare un percorso di deflazione e umanizzazione. Contemporeneamente era partita la campagna delle tre leggi di iniziativa popolare (su droghe, tortura, carceri) per non far cadere il tema nell’oblio dove periodicamente e tristemente va a finire. Contro il sovraffollamento è innegabile che alcune cose sono state fatte: cambio delle norme sulla custodia cautelare, estensione della liberazione anticipata e delle misure alternative alla detenzione, più detenzione domiciliare e meno carcere, avvio di un percorso di depenalizzazione, introduzione della messa alla prova anche per gli adulti. La Corte Costituzionale ha abrogato la legge Fini-Giovanardi sulle droghe. È infine stato abolito il reato odioso di immigrazione irregolare. Al fine di umanizzare la vita in carcere è stata prevista l’istituzione del garante nazionale delle persone private della libertà, ai detenuti è stata garantita più tutela davanti ai giudici di sorveglianza, non si è dato più per scontato negli uffici ministeriali che la pena carceraria dovesse coincidere con l’ozio forzato in celle maleodoranti. Gli ultimi due ministri della Giustizia (Cancellieri e Orlando) hanno finalmente adottato un linguaggio più europeo.
Le domande a questo punto sono due. Sarebbe mai ciò avvenuto senza lo sguardo investigativo di Strasburgo? E’ comunque sufficiente per ritenerci a posto? La risposta è la stessa, ovvero no!
Vediamo perché.
1) Lo spazio è ancora del tutto insufficiente. I detenuti sono a oggi 59.683. Erano 6 mila in più ai tempi della sentenza Torreggiani [NDR – quella che spinse Strasburgo a intervenire]. Ma siamo ancora lontani dal poter dire che nelle nostre galere ci sia spazio per tutti: 15 mila persone non hanno ancora un posto letto regolamentare. Il tasso di affollamento italiano è del 134.6%, ovvero 134,6 detenuti che devono spartirsi 100 posti letto. Prima dell’inizio della procedura europea eravamo secondi solo alla Serbia che aveva un tasso del 159,3%. Ora peggio di noi ci sono anche Cipro e Ungheria. Non è proprio un risultato entusiasmante se si tiene conto che la media europea è del 97,8%.
2) Il sistema di riforme messo in piedi è un patchwork disomogeneo che richiede una razionalizzazione e un’ulteriore accelerazione riformista e garantista. A breve dovranno essere emanati i decreti sulla depenalizzazione. Se non si tolgono di mezzo norme ingiuste e carcerogene come l’oltraggio tutto resterà invariato. Inoltre la legislazione sulle droghe in vigore è ancora un mix paternalista e autoritario. I detenuti condannati in base alla Fini-Giovanardi stanno ancora scontando una pena palesemente illegittima.
3) La qualità della vita in carcere, fra salute negata e rischi di violenza, è ancora ben poco normale. Mentre scrivevo quest’articolo mi ha chiamato la moglie di un detenuto dicendomi che il marito da tredici giorni è in carcere senza carta igienica. Le denunce di violenze non mancano. Questo scrive al nostro difensore civico un detenuto: «Dopo mi hanno trasferito nel peggior carcere in Sicilia che si chiama Casa circondariale di Agrigento dove lì le guardie penitenziarie distruggevano i detenuti maltrattandoli pesantemente fino al punto che a un detenuto tunisino gli è stato amputato un braccio perché una guardia gli ha chiuso il blindato sul braccio. Ha avuto un’infezione molto grave lo hanno lasciato così in quello stato fino al punto che ha scioperato tutto il carcere. Solo così lo hanno fatto uscire dal carcere per curarlo ma non ce l’hanno fatta in tempo a salvargli il braccio [… ] loro reagivano con delle squadrette da 15 guardie penitenziarie che ci venivano a chiamare in piena notte dicendoci di andare in infermeria o ci portavano in isolamento e ci distruggevano dalle manganellate. Poi ci mettevano in isolamento in celle lisce prive di tutto nè materassi nè coperte niente di niente in pieno freddo e ci lasciavano nudi solo con le mutande tutti gonfi e agonizzanti».
La tortura in Italia non è ancora reato e il Garante non è stato ancora nominato. Sono questi tutti buoni motivi per chiedere alla Corte di non rinunciare al suo sguardo.
(*) Patrizio Gonnella è presidente di Antigone; questo articolo è apparso il 27 maggio sul quotidiano «il manifesto». Qui in blog, sotto il titolo Le mani insanguinate dello Stato potete leggere una recensione di «La tortura in Italia» ovvero «Parole, luoghi e pratiche della violenza pubblica», il libro di Gonnella che è stato pubblicato da DeriveApprodi l’anno scorso.

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