In Cile mobilitazione permanente

Non bastano le scuse e le promesse di Piñera: le piazze chiedono le sue dimissioni e la convocazione immediata di un’Assemblea costituente. Cortei e manifestazioni proseguono nonostante la repressione di stato. La parola d’ordine è quella di farla finita con il neoliberismo. Una volta per tutte.

di David Lifodi

Foto: https://www.tpi.it

 

4.721 manifestanti fermati dalla polizia, di cui 471 adolescenti e 656 donne, 1.305 persone ferite negli ospedali, in gran parte a causa dei colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia, 18 denunce per violenze sessuali. Sono solo alcuni dei dati diffusi giovedì scorso dall’Instituto Nacional de Derechos Humanos sulla repressione di stato tuttora in corso in Cile a seguito dei moti di protesta iniziati dalla metà di ottobre, quando un gruppo di giovani, per la prima volta, scavalcò i tornelli della metro di Santiago in segno di protesta contro l’aumento del costo delle tariffe del trasporto pubblico.

Le ipocrite scuse del presidente Piñera, che fino a pochi giorni fa aveva parlato di un paese in mano ai vandali, unite alla sostituzione di ben otto ministri, non sono servite a placare la rabbia di un intero paese. Il rifiuto espresso contro l’aumento del trasporto pubblico è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Migliaia di piazze, in tutto il Cile, chiedono a gran voce una nuova Assemblea Costituente e di farla finita con il modello neoliberista, mai messo in discussione, al pari della Costituzione di stampo pinochettista, nemmeno dai governi della Concertación. Le proteste pacifiche che hanno scosso il paese sia sotto le presidenze “socialiste” di Lagos e Bachelet, sia durante il primo mandato di Sebastián Piñera non hanno pagato. Di fronte alle sistematiche violazioni dei diritti umani, agli aggiustamenti strutturali imposti dal Fondo monetario internazionale, alla crescente povertà di gran parte della popolazione, è sorta una vera e propria lotta di classe che ha sorpreso sia gli uomini dei governi post Pinochet (indipendentemente dal loro colore politico) sia l’oligarchia, convinti che sarebbe stato semplice continuare nell’opera di svendita del paese alle transnazionali e nella repressione dei popoli indigeni e dei movimenti urbani. No son 30 pesos, son 30 años: mai slogan fu più calzante per sottolineare che la rabbia di un intero paese è giunta allo stremo.

Il presidente Piñera per il momento resiste, ma di fatto un eloquente avviso di sfratto gli è stato recapitato direttamente dalle strade. Lo hanno capito anche i veri padroni dell’economia cilena, a partire dalla Confederación de la Producción y el Comercio, che ha chiesto una tregua, dicendosi pronta a venire incontro alle richieste provenienti dalle piazze, ma ormai è troppo tardi. Cortei autoconvocati attraversano ogni giorno le strade di Santiago: chiedono giustizia sociale, ma accusano anche la polizia della brutale repressione e delle violenze contro i manifestanti e, in particolare, nei confronti delle donne. Il governo è nel caos. Piñera è stato costretto, suo malgrado, ad annullare il vertice Apec e quello della Cop 25, che avrebbero dovuto tenersi in Cile. Strano destino quello della Cop 25, prima rifiutata dal Brasile fin dai primi giorni successivi all’insediamento di Bolsonaro e adesso costretta a rinunciare anche al paese andino a seguito della mobilitazione permanente di un intero paese.

I diritti sociali (dall’istruzione alla salute fino alla pensione) non sono mai stati garantiti, per questo lo storico cileno Sergio Grez Toso, docente dell’Universidad de Chile specializzato soprattutto nell’analisi dei movimenti sociali, sottolinea che la rivolta iniziata ormai più di due settimane fa ha un’origine “policlassista”. La ribellione non ha un’avanguardia o dei leader, è spontanea e se gran parte delle attività di protesta sono sorte dai quartieri popolari, anche alcuni settori della classe media si sono uniti alle manifestazioni, stanchi della condizione di estrema incertezza anche del loro futuro. Ad unire le varie anime della mobilitazione la critica ad una Costituzione che garantisce la più ampia libertà all’iniziativa economica, ma che non tutela i diritti sociali. L’Unidad Social è l’unica rete che funge da collegamento ed è composta da sindacati, studenti, collettivi femministi, ambientalisti, ma la maggior parte delle persone che partecipa alle puebladas non appartiene ad alcuna organizzazione sociale o politica.

Merita una considerazione anche lo stato d’assedio, prima proclamato e poi revocato. Piñera lo ha utilizzato allo scopo di  autorizzare esercito e carabineros a fare irruzione nelle abitazioni private dei manifestanti che si erano limitati a partecipare ai cacerolazos di protesta e ad arrestare coloro che non rispettavano il coprifuoco, sottoponendoli poi a torture e violenze, come ai tempi della dittatura.

Infine, bisogna ricordare che le tre Costituzioni che ha avuto il Cile, compresa l’ultima, quella varata dal regime militare nel 1980, sono state promosse dalle classi dominanti, per questo in strada si chiede con urgenza la convocazione di un’Assemblea costituente. Non si tratta dell’unica richiesta proveniente dalle piazze. Occorre aggiungere la diminuzione degli stipendi della classe politica, l’aumento di salari e pensioni, l’acquisto dei medicinali a prezzi accessibili, tariffe abbordabili per acqua ed elettricità. Al grido di Que se vayan todos il Cile potrebbe ribollire per mesi e non è così scontato che Piñera abbia la meglio su un movimento sociale spontaneo, ma assai determinato e deciso ad andare fino in fondo.

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Segnalo tre articoli sulla ribellione del Cile pubblicati da lamericalatina.net

– Cile, cronache di un risveglio

– “Il ballo degli esclusi”, ipotesi e interrogativi dalla ribellione popolare in Cile

– Stato di ribellione in Cile

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

2 commenti

  • Assemblee destituenti per l’abolizione del Capitale, dello Stato e del Lavoro

    Il cittadinismo neoliberista pretende di istituzionalizzare la ribellione per mezzo di assemblee formattate e di consigli coloniali, a metà strada tra l’ingenuità in buona fede di alcuni e l’empatia assistenzialista degli altri, sarà capace solo di riciclare l’ordine egemonico che si riproduce nella società incentrata sul mercato, sulle forze repressive e sull’accumulazione capitalistica. Dando inizio così ad un nuovo ciclo di dominio e di tradimento delle rivolte passate. Il processo «costituente» funziona come apparato di disarticolazione della Comunità di Lotta, canalizzando le risposte e la crisi generalizzata per poter così placare la collera degli sfruttati, e quindi ricostruire una nuova quotidianità, che abbia lo stesso odore di quella precedente alla rivolta di Ottobre. Dai quartieri e dalle istituzioni governative, gestiscono l’esca lanciata dal consenso neoliberista al fine di riuscire a smobilitare la ribellione attraverso il dialogo, il rispetto e la tolleranza nei confronti di coloro che non meritano altro che giudizio e castigo, vale a dire, nei confronti della borghesia e dei suoi scagnozzi. Questo nuovo «Patto Sociale», sarà ancora peggiore e porterà SCHIAVITÙ E MISERIA. Ci dicono che la Guerra tra le classi non esiste e che l’unico nostro salvagente è l’«unità nazionale». Stabiliscono dove e quando farle, le assemblee, di che cosa si deve parlare, per quanto tempo. Tecnocrati professionali amichevoli e popolari si preparano a mettere fine, consapevolmente o meno, all’ultimo respiro dell’umanità: la lotta finale contro il Capitale. Non potremo mai riuscire a costruire una vita nuova sulle fondamenta di una realtà che è marcia, dal momento che spezzare la quotidianità capitalista e distruggere le relazioni sociali capitaliste è un compito immediato per poter promuovere un processo rivoluzionario efficace che possa impedire la metamorfosi di una qualche forma di dominio umano. Non lasciamo che si spenga la fiamma della rivolta, impediamo che riescano a capitalizzare la nostra ribellione e facciamo saltare in aria il recupero da parte del dominio capitalista. O la vita o la catastrofe, l’avvenire è incerto, ma noi sappiamo navigare in acque turbolente. Contro i Dirigenti, contro lo Stato che ruba il frutto delle nostre lotte.

    Desde el Norte Semi-árido

    [ Fonte: https://hacialavida.noblogs.org ]

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