Incontro con Lula: spiritualità e politica

di Leonardo Boff (*)

Da più di 30 giorni l’ex presidente Lula è in carcere e per la prima volta gli è stato concesso il permesso di ricevere visite di amici. Ho avuto l’onore di essere il primo a incontrarlo, data l’amicizia più che trentennale e per gli ideali in comune: liberazione dalla povertà per i ridotti in miseria e per rafforzare la dimensione spirituale della vita. Ho ubbidito al precetto evangelico: ero in prigione e siete venuti a trovarmi.

L’ho trovato come l’abbiamo sempre conosciuto fuori dalla prigione: viso, capelli, barba. Forse leggermente dimagrito. Quelli che lo immaginavano spossato e depesso saranno delusi. È pieno di coraggio e speranza. La cella è una stanza molto pulita, con armadi incassati, bagno, doccia in un’area chiusa. L’impressione è buona anche se vive in una cella singola, perché ad eccezione degli avvocati e dei figli, può soltanto parlare con il militare di guardia di origine ucraina, gentile e attento, diventato ammiratore di Lula. Gli porta le marmitte ora più calde ora più fredde, il caffè tutte le volte che lo richiede. Lula non accetta nessun alimento che i figli gli portano perché vuole mangiare come gli altri carcerati, senza nessun privilegio. Ha un tempo per stare al sole. Ma ultimamente, mentre prende il sole appaiano droni nello spazio di cielo visibile dal carcere. Per precauzione Lula subito se ne va, perché non si sa lo scopo di questi droni, fotografarlo o, chissà, qualcosa di più sinistro.

Importante è stata la conversazione sulla natura spirituale a cui si mescolavano osservazioni politiche. Lula è un uomo religioso, ma di religiosità popolare di quelli che per loro Dio è un’evidenza esistenziale. L’ho trovato mentre leggeva un mio libro ”Il Signore è mio pastore” (edt.Vozes), un commento al famoso salmo 23, il più letto tra i salmi e anche per altre religioni. Si sentiva fortificato e confermato, perché la Bibbia generalmente critica i pastori politici e esalta quelli che si prendono cura dei poveri, degli orfani e delle vedove. Lula si sente in questa linea per le sue politiche sociali che hanno aiutato tanti milioni di persone. Non acceta la critica dei populisti, dicendo: io sono popolo e vengo dal popolo e oriento il più possibile la politica per il popolo. Sulla testiera c’è un crocifisso. Approfitta del tempo di reclusione severa per riflettere, meditare, rivedere tante cose della sua vita e approfondire le convinzioni fondamentali che danno senso alla sua azione politica, quello che sua madre Lindu (Lula la sente come un angelo protettore e ispiratore) gli ripeteva sempre: sempre essere onesti e poi lottare e ancora una volta lottare. Vede in questo il senso della sua vita personale e politica: lottare per ottenere una vita degna per tutti, non solo per alcuni a spese degli altri. La grandezza di un politico si misura sulla grandezza della sua causa ha detto con enfasi. E la causa deve essere: produrre vita per tutti, a cominciare da coloro che godono di meno vita. In funzione di questo non accetta sconfitte definitive. E nemmeno vuole cadere in piedi. Quello che non vuole proprio è cadere. Ma mantenersi fedele al suo proposito di base e fare della politica il grande strumento per ordinare la vita nella giustizia e pace per tutti specialmente per coloro che vivono nell’inferno della fame e della miseria.

Questo sogno possiede grandezza etica e spitituale. È alla luce di quste convinzioni che si mantiene tranquillo, perché ci dice e ripete: vive questa verità interiore che possiede la forza propria e si rivelerà un giorno. ”Soltanto voglio”, commentava, “che sia dopo la mia morte, ma ancora nel mio tempo di vita”. S’indegna profondamente a causa delle bugie che divulgano contro di lui e su queste bugie hanno montato il processo. Si domanda come possono le persone mentire coscientemente e poi dormire in pace? Lancia una sfida al giudice Sergio Moro: “perché mi presenti una prova, una sola, che io sono il padrone dell’appartamento di di Guarugià. Se lui la fa vedere, rinuncerò alla candidatura alla presidenza”.

Mi ha raccomandato di passare questo messaggio alla stampa e a tutti quelli che stanno nell’accampamento: “Sono candidatissimo. Voglio portare avanti il riscatto dei poveri e fare della politica sociale per loro, politiche dello stato e che i costi che sono investimenti entrino nel bilancio dell’Unione. Io andrò fino in fondo a queste politiche per i poveri, insieme ai poveri a dare dignità al nostro paese”.

La meditazione gli ha fatto intendere che questa prigione possiede un significato che trascende lui stesso e a me ha fatto capire che trascende le dispute politiche. Deve essere lo stesso prezzo che Gandhi e Mandela avevano pagato con carcerazione e persecuzione per raggiungere quello che poi hanno raggiunto. “Così credo e spero”, diceva, “sarà utile quello che io sto soffrendo adesso”.

Io che ero entrato per fargli coraggio, sono uscito incoraggiato, spero che anche altri si facciano coraggio e gridino il “Lula libero” contro una giustizia che non si mostra giusta.

Traduzione di Romano Baraglia e Lidia Arato.

(*) tratto da https://leonardoboff.wordpress.com/

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