Incontro di donne indigene americane: c’è emergenza ma…

… non è perchè arriva il corona virus

di Maria Teresa Messidoro (*)

  

Coatlicue (letteralmente gonna di serpente) è la dea atzeca più importante, la Madre Universale, madre della vita e della morte, della terra e della fertilità, madre del sole e delle stelle, madre di tutti gli dei.

Nella terra di Coatlicue, più precisamente a Città del Messico, dal 26 al 29 febbraio, si è svolto l’ottavo incontro di Mujeres Indigenas de Las Americas: duecento cinquanta indigene di ventitré paesi del continente americano inteso in senso ampio hanno affrontato la attuale congiuntura, considerata come una minaccia per il riconoscimento e la garanzia dei diritti umani, in particolare quelli delle donne. Come sempre più spesso succede nel pluriverso femminile femminista, erano presenti liderese giovani e anziane, le sagge abuelas, artiste, parteras (cioè le donne che aiutano i parti in casa), parlamentarie, avvocate, comunicatrici sociali, cineasta, defensoras dei diritti, studiose, insegnanti universitarie e autorità tradizionali indigene delle tre Americhe.

E’ stato innanzitutto condiviso il concetto delle violenze subite dalle donne indigene, nel campo politico, sociale, culturale, economico, fisico, psicologico, ambientale e spirituale, violenze che le rendono ancora più invisibili: tutto ciò si manifesta in conflitti armati, durante processi estrattivi, nelle deforestazioni, con la militarizzazione dei territori, la migrazione e gli spostamenti interni forzati, in atteggiamenti razzisti e discriminatori, negli effetti della crisi ambientale, nella intromissione di cosiddette religioni occidentali nella spiritualità originaria. Queste violenze comportano inevitabilmente stigmatizzazione, persecuzione, criminalizzazione e a volte purtroppo assassini e desapariciónes di lideresas; ma anche abusi e violenze sessuali, femminicidi, matrimoni infantili, gravidanze precoci, tratta di donne per il loro sfruttamento sessuale, senza dimenticare le violenze famigliari, nascoste sotto una presunta tradizionale culturale millenaria.

“Siamo in uno stato di emergenza continentale” così ha esordito Fabiola del Jurado Mendoza, nahuat, nata a Tepozlán, Morelos (la regione del grande rivoluzionario Emiliano). Non si riferiva al coronavirus, si riferiva invece alla dura realtà che deve affrontare ogni giorno la popolazione sudamericana, per l’impressionante numero di donne e uomini assassinati o desaparecid@s, di persone morte per l’estrema povertà, per la fame, per la carenza di acqua, o per tutte le malattie conseguenza del saccheggio della terra.

Esther Camac, quechua, ha aggiunto che “nonostante ci siano stati dei progressi nel campo dei diritti umani delle popolazioni indigene, questi stessi diritti sono in grave pericolo per l’avanzare del crimine organizzato, delle politiche neoliberali dei governi conservatori ma a volte anche, purtroppo, dei cosiddetti governi progressisti,  incapaci di difendere quanto è stato acquisito. Il dolore dei nostri popoli non è gratuito, e noi come donne dobbiamo imporlo su qualsiasi tavolo di discussione e in qualunque azione di lotta sociale”

Maria Vera Batista de León, guatemalteca, appartenente alla storica associazione COMAVIGUA (Coordinadora nacional de Viudas de Guatemala), sorta negli anni 80 durante il genocidio contro le popolazioni indigene guatemalteche e tuttora in azione, ricorda che “l’esagerata concessione di autorizzazioni per miniere (soltanto in Guatemala ci sono oggi 344 licenze), e la violenza sessuale contro bambine ed adolescenti, oltre alla migrazione forzata verso gli Stati Uniti, colpiscono e danneggiano in gran misura la vita delle donne indigene centroamericane”.

L’incontro era continentale, per questo erano presenti anche rappresentanti delle donne indigene canadesi: Viviana Michel, presidente delle Femmes Autochtones del Quebec, spiega che non è vero che “nella zona settentrionale del continente americano tutto funzioni a meraviglia per le donne indigene: innanzitutto, se gli indigeni sono in Canada circa il 5% del totale, tra il 2001 e il 2015 le donne originarie assassinate erano addirittura il 25% delle vittime di femminicidio del paese; inoltre, sono state approvate delle leggi discriminatorie, come la cosiddetta Ley para los indios, che limita di fatto la possibilità di amministrare i propri beni, con ovvie ripercussioni proprio sulle donne, già discriminate all’interno delle proprie comunità”. Molto interessante e poco conosciuto è il Progetto Native Women’s Shelter di Montreal, Iskweu, che si rivolge per una assistenza integrale alle donne inuit e yupik (che non amano essere definite eschimesi, per loro termine quasi dispregiativo) costrette ad emigrare in città, alla ricerca di un lavoro e di una casa; troppi sono i casi di desaparecidas, come quello di Donna Parè, 32 anni, nativa di Igualit, scomparsa a Montreal nel 2018 e di cui non si sa più niente, come ha denunciato pubblicamente Jessica Quijano, coordinatrice del progetto.

Nel documento finale, accanto alle consuete denunce dei crimini contro le popolazioni indigene e in particolare contro le donne, oltre ai consueti appelli per un generalizzato cambiamento di rotta, ci sono alcuni punti interessanti da sottolineare; innanzitutto si esigono misure punitive nei confronti dei mezzi di comunicazione che promuovono, riproducono e sostengono stereotipi che rafforzano il razzismo e le discriminazioni, soprattutto nei confronti di donne, giovani e popoli autoctoni. Si fa inoltre appello ai mezzi di comunicazione alternativi perché si dia spazio ad un protocollo di comunicazione basato sui diritti individuali e collettivi dei popoli e donne indigene.

In secondo luogo, nel punto in cui si chiede agli Stati ed alle autorità di Salute Pubblica il rispetto della libera auto determinazione delle donne per ciò che concerne ciò che viene definito il “territorio-corpo”, si chiede di mettere finalmente in evidenza la situazione delle persone diversamente abili indigene, producendo statistiche diversificate per genere e disabilità, da cui partire per costruire politiche più attente a queste realtà.

Infine si lancia una grande mobilitazione per il 5 settembre 2020, nel Dia de la Mujer indigena, con lo slogan “Por justicia, territorio y autonomia, Vivas Libres y Seguras nos queremos, Abya Ayala libre de violencia. Todo con nosotras, nada en el mundo sin nosotras!”.

E’ un invito a tutte le donne, giovani, adolescenti, bambine e none, per celebrare le proprie vite, rimarcare la propria esistenza e mettere in evidenza i progetti per il futuro, occupando le strade e le piazze di tutto il continente indo-afroamericano.

Ci saremo sicuramente anche noi, anche se de lejos.

VIII Encuentro continentale de Mujeres Indigenas de Las Americas, Declaración  politica de mujeres indigenas conta las violencias, 6 marzo 2020, disponibile in  https://desinformemonos.org/declaracion-politica-de-mujeres-indigenas-contra-las-violencias/

Soto Espinosa Angelica Jocelyn, Derechos de mujeres indigenas en riesgo, 29 febbraio 2020, disponibile in  https://desinformemonos.org/derechos-de-mujeres-indigenas-en-riesgo/

(*) vicepresidente Associazione Lisangà culture in movimento

 

 

Teresa Messidoro

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