Indignazione a gettone, poi il nulla fisso

di Daniela Pia

Gli ultimi dati (due giorni fa) raccontano di 432 lavoratori e lavoratrici – ma altri fonti danno un numero maggiore (*) – che hanno perso la vita «nell’adempimento delle loro funzioni». Morti bianche le chiamano. Qualche giorno di indignazione,

servizi nei tg,blablabla nei talk show e poi il nulla fino al successivo eclatante e “inatteso” caso. Pare quasi che sia un sacrificio, una quota, da offrire a un dio. Ogni volta il peana intonato dai politici gronda indignazione e chiede maggiori tutele e controlli. Ma siamo in Italia, il Paese dove tutto cambia per restare sempre uguale. Mutano i premier. Cambiano le colazioni e immutati si stagliano, sulla fatica del vivere quotidiano, i problemi legati alla sicurezza nel lavoro. Lavorare senza tutele uccide ma spesso uccide anche non avere un lavoro o perderlo.

Chi lavora senza tutele e sotto il ricatto del “se non svolgi questo compito; se non ti rendi disponibile a questi straordinari, se non mi vieni incontro nel risolvere questo problema” (e perfino “se non sei carina con me”) si trova spesso disponibile a svolgere compiti pericolosi senza potere porsi domande. Per compiacere il padrone o padroncino, aggrappandosi alla speranza di proteggere il suo salario. Questi “diversamente lavoranti” e “diversamente assicurati” – ovvero “diversamente schiavizzati” – ci racconterebbero seconda certa sinistra, mentre la destra plaude, che attenderebbero solo di vedere eliminate le garanzie di coloro che sono sotto la tutela dell’articolo 18. Così asseriscono imprenditori berlusconiani ed esponenti del Pd quando proclamano, con slogan da copia e incolla, “per far fronte alla giungla delle 67 tipologie di contratto presenti in Italia, è necessario rivedere le tutele dei pochi che le hanno”. Lasciano intendere che chi non concorda con il progetto renziano teso a ridimensionare ai minimi termini l’articolo 18 NON vorrebbe la tutela dei precari, dei cococo, dei cocopro, delle donne che desiderano avere figli, delle madri che li hanno già avuti etc. Mentre ascoltavo questi uomini e donne inviati dal Premier a sostenere la crociata contro l’ articolo 18 pensavo che sarebbe bello poter prendere la penna rossa e segnare le illogicità presenti nel ragionamento, le incongruenze, le furberie, le copiature, le aperte menzogne. Mi trovo invece a segnare una sconfitta, in questo mascheramento continuo delle ragioni, consapevole – come ogni persona che lavora sa per averlo provato in modo più o meno diretto – che i padroni non sono scomparsi e che, anche se li si chiama in modo diverso, sono parte decisiva in questo tiro alla fune nel mercato del lavoro e che la politica (tutta o quasi) si interessa solo di loro.

(*) In un msg successivo Daniela Pia mi ha segnalato che ci sono differenze a esempio con i dati forniti dal Tg3. Non è una novità. Quando si dice o si scrive che sono 1200 (oppure 900) «gli incidenti sul lavoro mortali in un anno» si intende quelli registrati ma grazie a vari trucchi statistici quel numero risulta sempre inferiore alla verità. In blog se n’è accennato varie volte (per esempio qui: Scor-data: 6 dicembre 2007). E basta andare sul sito http://cadutisullavoro.blogspot.it/ oppure su http://illavorodebilita.wordpress.com/ per scoprire un po’ di trucchi e bugie. E poi nelle statistiche dei morti sul lavoro mancano quelli (certamente centinaia, forse migliaia) di cadaveri scomodi che vengono fatti sparire – soprattutto dai cantieri – o gettati in strada simulando incidenti.

Non so se qualcuna/o lo abbia fatto ma bisognerebbe costruire una sorta di “blob” con da un lato le dichiarazioni – dolenti o arrabbiate – di tanti esponenti politici e dall’altro quando hanno votato (nel silenzio dei media, è ovvio) per abolire le tutele, eliminare i controlli e amnistiare i (pochi) condannati per aver violato le norme sulla sicurezza di chi lavora. Così si vedrebbe fino a che punto le loro lacrime sono false, visto che votano sempre dalla parte opposta alle tutele, alla sicurezza, a un minimo di giustizia.

Quanto all’espressione «morti bianche» è un interessante “slittamento semantico” o “mutazione del linguaggio” (direbbero quelli che parlano difficile) ovvero parole che nascondono la verità (per chi vuole farsi capire). E infatti in passato si usava, a sinistra, «omicidi bianchi» intendendo che i padroni non si sporcavano le mani ammazzando… ma era la loro organizzazione del lavoro a uccidere. Omicidi bianchi – oppure: delitti in guanti bianchi – è una espressione chiara. Nulla significa invece quel «morti bianche» che si usa adesso. Morire sul lavoro e del lavoro cioè a causa di un lavoro organizzato senza tutele; preoccupato solo del profitto padronale e non della salute di chi lavora. Se alcuni dei molti omicidi bianchi ogni tanto arrivano sui grandi media quasi sempre si tacciono le vere ragioni, cioè le responsabilità, e quasi sempre mentono perfino le statistiche, le percentuali e i numeri (relativi o assoluti, calcolati in modi diversi e/o di comodo). Alzeranno il sopracciglio le anime belle ma «assassini sono i padroni e i loro servi» è la triste verità. (db)

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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