Ingiustizia è fatta, a Bussoleno (Val di Susa non Bielorussia)

Chissà se Dana Lauriola avesse rubato 49 milioni, cosa NON le sarebbe successo…

Un piccolo dossier con – fra l’altro – una video-intervista, le considerazioni di Livio Pepino e Giorgio Cremaschi eccetera

In un commento postato sulla sua pagina social, Dana Lauriola, sottolinea: «Uno dei motivi per cui vado in carcere, scritto nero su bianco, è che non mi sono dissociata dalla lotta No Tav, l’altro è che ho continuato a vivere in Valle di Susa. Sono tranquilla per tutte le scelte che ho fatto in questi anni, ho amato la valle e la lotta No Tav per oltre 15 anni e continuerò a farlo anche se fisicamente lontana. Intanto vi abbraccio, vi farò avere mie notizie. Vi chiedo di continuare la lotta, con tutta la forza e il coraggio che avete».

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 VOGLIONO ARRESTARE LE NOSTRE IDEE, MA LE IDEE SONO COME IL VENTO

Di questo si tratta, la sentenza che ha colpito Dana è il frutto di un vero e proprio processo alle idee. Ad indicarlo chiaramente sono le motivazioni, non ancora depositate ma trapelate, che la giudice Elena Bonu ha addotto nel rifiuto delle misure alternative al carcere, ma è anche la natura stessa della pena comminata.

Una pena evidentemente spropositata: due anni per aver partecipato ad un’iniziativa durata 10 minuti, in cui la “colpa” di Dana sarebbe stata quella di spiegare ad un megafono i motivi della protesta.

Il movimento No Tav all’epoca dei fatti era in mobilitazione permanente da lunedì 27 febbraio, in seguito alla caduta di Luca dal traliccio. Giorni di rabbia e dolore, ma anche di determinazione, nonostante le cariche e gli scontri che continuavano a susseguirsi.

I No Tav quel giorno avevano deciso di liberare i caselli di una delle autostrade più care d’Italia, la Torino Bardonecchia, che dal lunedì della stessa settimana fino al giovedì era già stata occupata in maniera permanente dal movimento. Il senso di quella iniziativa era, ancora una volta, sottolineare l’enorme sperpero di denaro pubblico destinato alla costruzione dell’opera.

Il reato di Dana non è stato tanto quello di aver partecipato alla liberazione dei caselli, di per sé un reato trascurabile (sono centinaia i casi in cui processi che riguardavano iniziative del genere si sono risolti in pene modeste o addirittura in assoluzioni), ma è evidentemente quello di essere parte con determinazione e protagonismo di una delle lotte popolari più longeve ed efficaci del nostro paese, che ha messo in discussione governi e assetti istituzionali e che è la bestia nera di chi specula e devasta l’ambiente. La sua “responsabilità” è quella di essere stata per anni uno dei volti pubblici, una delle voci con cui il movimento ha parlato, ha gridato le proprie accuse verso un sistema ingiusto che ignora i reali bisogni dei territori.

Una delle motivazioni della sentenza con cui sono state rifiutate le misure alternative è che Dana non si sarebbe allontanata nè dal movimento No Tav nè dal territorio continuando a vivere in valle a Bussoleno. Lei è colpevole dunque di non aver abiurato le sue idee, di non essersi fatta intimidire dalle persecuzioni che quotidianamente colpiscono gli attivisti e le attiviste del movimento e di aver continuato a lottare con generosità, senza risparmiarsi. E’ colpevole di non aver voluto lasciare un territorio dove risiedono i suoi affetti, dove resistono le montagne che ha imparato ad amare e conoscere: un territorio che viene dipinto come un tessuto criminogeno. Gli abitanti della valle che si schierano contro il TAV in questa narrazione vengono considerati alla stregua di banditi invece che cittadini preoccupati per il proprio futuro e quello del territorio, già ferito, in cui vivono. Un processo alle idee che ricorda altri tempi, tempi in cui in giro per la valle venivano affissi cartelli con scritto “achtung banditen”, tempi in cui le donne che si opponevano al potere costituito erano soggette alla “caccia alle streghe”.

Ora come allora i persecutori, i carnefici si travestono da burocrati, nascondono la loro vigliaccheria dietro una presunta oggettività del diritto. Un’oggettività del diritto che condanna sempre i più deboli, condanna chi resiste ed è supina ai ricchi, ai potenti. La politicizzazione del Tribunale di Torino, e in particolare di alcuni magistrati e di alcuni giudici che qui esercitano ormai è cristallina. La giudice Elena Bonu, conosciuta tra le aule per il suo sadismo, la pm Pedrotta che ha fatto della incriminazione verso i No Tav la sua ragione di vita, sono i degni eredi di Rinaudo (promosso nell’Unità di crisi della Regione Piemonte, al servizio di Cirio nella sua devastante gestione della pandemia), Padalino (invischiato negli scambi di favori, nelle nomine pilotate e nel peggiore marcio del sottobosco della magistratura), Caselli (vero iniziatore della strategia di intimidazione verso chi lotta in Val Susa). Un tribunale che, lavorando in piena sintonia con questura e carabinieri, è diventato a tutti gli effetti il braccio armato di Telt per portare avanti un’opera della cui inutilità ormai ne parla apertamente non solo la popolazione della valle ma  persino l’analisi costi benefici dello scorso governo e la Corte dei Conti Europea.

In un’epoca come questa, sconvolta dai cambiamenti climatici e dalla pandemia di Coronavirus, ci si aspetterebbe che le ragioni della vita prevalessero sulle ragioni del denaro. Ma se c’è qualcosa che abbiamo imparato in questi trent’anni di resistenza è che solo la determinazione dei popoli, la forza e la dignità di chi si oppone possono mettere un freno all’egoismo, all’arroganza, alla prepotenza di chi amministra e gestisce il potere.

La pandemia in cui stiamo vivendo ha approfondito in noi la consapevolezza che prendersi cura di chi ci sta vicino, dei posti in cui viviamo è la priorità assoluta. In fondo quando diciamo “Si parte e si torna insieme” è questo che intendiamo. Quindi abbiamo deciso di non lasciare sola Dana ad affrontare le prepotenze del potere, ma di farle sentire tutta la nostra solidarietà e vicinanza con un presidio permanente sotto casa sua, in Via Pietro Ravetto 38 a Bussoleno, in maniera che sia grande la vergogna di chi si presenterà per provare a tradurla in carcere.

Invitiamo tutti e tutte a portare solidarietà a Dana e testimoniare la propria indignazione verso questa assurda decisione.

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In Val Susa la vergogna dello Stato. Dana e Stefano liberi subito!

Sono venuti che era ancora notte e sono venuti in forze. Hanno la paura di chi sa di avere torto.

Questa mattina alle 5, con un blitz in pieno stile, con blindati e celerini, le forze dell’ordine hanno applicato la paradossale sentenza nei confronti di Dana emessa dal Tribunale di sorveglianza di Torino nella persona della giudice Elena Bonu. Ma ad attenderli hanno trovato il popolo No Tav deciso a sostenere Dana in questo momento e a non far passare sotto silenzio questa vergognosa prepotenza contro una donna, una compagna e contro un intero territorio.

Un intero quartiere di Bussoleno è stato militarizzato per ore, impediti gli accessi agli abitanti del paese che volevano testimoniare con un gesto d’affetto la loro vicinanza a Dana. Nonostante il dispiegamento di forze però i No Tav sono riusciti a raggiungere la casa e a gridare forte il dissenso verso questa ingiustizia. Una marcia della vergogna per chi è venuto a prelevare Dana, che ha reagito con spintoni a giovani e anziani, minacce e insulti. La Digos di Torino si è distinta come al solito nell’esercizio dell’arroganza verso chi lotta per difendere la propria valle.

I volti di questi loschi individui con i distintivi erano pieni di paura e vergogna mentre Dana a testa alta ha salutato i solidali prima di venire condotta all’auto.

Come se non bastasse, mentre questo enorme dispositivo di uomini e mezzi veniva messo in campo per tradurre Dana i carcere, tre volanti dei carabinieri notificavano a Stefano, compagno No Tav, i domiciliari per 5 mesi.

Dopo che l’auto con a bordo Dana era già lontana dall’abitazione la celere ha caricato a freddo un gruppo di abitanti di Bussoleno la cui unica colpa è quella di aver voluto salutare una propria concittadina finita nelle mani dell’ingiustizia, ferendo alla testa un giovane No Tav.

Questa mattinata ha sancito che la Val Susa è fuori dallo Stato di Diritto, è un territorio occupato come diciamo da anni, dove le forze dell’ordine possono fare il buono e il cattivo tempo al servizio dei potenti senza che nessuno dagli scranni istituzionali faccia domande. Un luogo dove Telt, l’azienda promotrice dell’opera, amministra direttamente la giustizia utilizzando tribunali e polizia come una milizia privata. Un luogo dove un reato sociale, una iniziativa durata dieci minuti, una lettura di un volantino al megafono può costare due anni di carcere.

E che dire di questo governo supino allo strapotere delle lobbies del cemento e del mattone? Che dire di quella parte di maggioranza che per anni si è professata No Tav? Quelli che si professavano vicini alle esigenze dei cittadini adesso tacciono di fronte allo Stato d’eccezione che viene applicato in tutta la sua violenza in Val Susa.

Quanto ci è costato questo abuso di potere che è andato in scena questa mattina? Quanto ci costano i pool di magistrati, quanto ci costano le decine di agenti della Digos che si occupano quasi esclusivamente dei No Tav?

Mentre una pandemia sta sconvolgendo il pianeta le priorità che vengono portate avanti sono chiare, continuare a finanziare il sistema delle grandi opere inutili e perseguitare, arrestare, colpire chi vi si oppone.

In valle però si continua a resistere da trent’anni con determinazione e senza paura, in questa valle abbiamo imparato a prenderci cura del territorio e del nostro prossimo, a non lasciare nessuno indietro, abbiamo imparato che il concetto di giustizia, quello vero, non coincide quasi mai con la violenza della legge. Abbiamo appreso che si è vivi, si è giusti solo se ci si ribella, e noi continueremo a farlo, perché sappiamo che questa grande opera è mortifera, sappiamo che non vogliamo un futuro di devastazione, inquinamento, tumori e desolazione sociale per il territorio in cui viviamo. Quindi non lasceremo sola Dana, non lasceremo solo Stefano e continueremo la loro, la nostra battaglia, come sempre pronti con il cellulare sul comodino e gli scarponi vicino al letto.

da qui

 

 

Il magistrato Livio Pepino: «In val Susa uno schema repressivo ormai consolidato» (intervista di Francesco Brusa)

Dana Lauriola è stata tradotta in carcere questa notte dalla sua abitazione di Bussoleno, dove da due giorni era presente un presidio di attiviste e attivisti NoTav. Si sono verificate da parte delle forze dell’ordine anche cariche e la notifica di domiciliari a un altro attivista

Il Tribunale di Torino ha deciso che l’attivista NoTav Dana Lauriola dovrà scontare due anni di carcere per il blocco autostradale del 3 marzo 2012. Si tratta di un’altra misura fortemente repressiva nei confronti di membri del movimento contrario alla “grande opera” in val di Susa, come è recentemente capitato anche a Nicoletta Dosio (militante arrestata a dicembre dello scorso anno) e Luca Abbà (che ha già subito due condanne). Secondo il magistrato ed ex-direttore del Gruppo Abele Livio Pepino (autore tra l’altro di Come si reprime un movimento: il caso Tav, edito nel 2014 per Intra Moenia) si tratta di una decisione “preoccupante”, che fa parte di un più ampio schema di contrasto ai fenomeni di opposizione sociale e politica alla costruzione della Torino-Lione.

 

Si aspettava questa decisione?

Mi sembra onestamente una “decisione fotocopia” delle misure già adottate per Luca Abbà (storico militante NoTav, condannato a 5 mesi di reclusione nel 2013 e nuovamente arrestato a dicembre del 2019, ndr), che denotano una prospettiva preoccupante da parte degli apparati giudiziari che si stanno occupando del caso.

 

In sostanza, il ragionamento del Tribunale di Torino non viene formulato sulla base delle caratteristiche della persona della quale si predispone la sorveglianza bensì a partire da considerazioni di carattere più generale sulla sua vicinanza o meno al movimento NoTav.

 

Si tratta proprio degli stessi argomenti già avanzati per Luca: anche a Dana Lauriola viene contestato il fatto di aver continuato a vivere in val di Susa e di non aver “preso le distanze dal movimento”.

Eppure, nessuna considerazione viene elaborata in merito – per esempio – all’attività lavorativa dei condannati, che per Dana Lauriola è elemento di ancora maggiore “controllabilità” che per Luca, trattandosi di un impiego da dipendente. Insomma, si tratta di un giudizio contro il movimento, non nei confronti dell’imputata.

 

Si criminalizzano le opinioni politiche dell’attivista…

Siamo di fronte a una sorta di “salto logico”, che rischia di avere dei risvolti pericolosi. Quando si imputa come elemento di giudizio negativo il “non aver preso le distanze” dal movimento NoTav, si sta di fatto equiparando quest’ultimo a un’organizzazione criminale.

Non a caso, si tratta di un’argomentazione già utilizzata in passato e che ha senso da una prospettiva giuridica, ma che viene per l’appunto impugnata quando si parla di cosche mafiose, associazioni a delinquere, etc.

 

Il movimento NoTav è invece un vasto movimento sociale, politico e d’opinione che nulla ha a che fare e a che vedere con fenomeni di stampo criminale, come invece sembrerebbero quasi suggerire le decisioni del Tribunale di Torino.

 

Il punto è che si tratta di un atteggiamento ormai replicato e reiterato nel tempo, per cui ci si sta allontanando dal diritto penale classico – incentrato sulla responsabilità individuale, fra le altre cose – per andare verso un schema che è stato chiamato “diritto penale del nemico”.

 

 

Cosa intende per “diritto penale del nemico”?

Una sorta di paradigma per cui ogni fase dell’iter giudiziario, dalle

indagini ai processi e alle sentenze, diventa uno strumento di

contrasto di grandi fenomeni sociali di opinione e di opposizione

politica. Si tratta di una dinamica estremamente preoccupante:

oggi vediamo applicato questo schema al movimento NoTav,

ma un domani potrebbe essere utilizzato in qualsiasi altro caso

in cui sussiste una volontà repressiva.

 

Anzi, è già successo: pensiamo, per esempio, al trattamento 

giudiziario riservato ai collettivi studenteschi che hanno 

contestato la commemorazione delle foibe a Torino due anni fa, 

ma anche alle indagini riguardanti alcune lotte sindacali dei 

Cobas in Emilia e nel modenese, nonché a Milano.

 

Il semplice aver preso parte alle manifestazioni o l’essere attivi a

livello sindacale è stato considerato elemento di giudizio, andando

a rilevare una sorta di “responsabilità di contesto” invece che su base

individuale.

 

Attorno alla Torino-Lione ci sono grandi interessi economici e

 politici. Potrebbero aver influenzato le decisioni del tribunale?

Nel nostro ordinamento vige una separazione dei poteri abbastanza

rigorosa e sono presenti numerosi contro-bilanciamenti per cui

escludo che sia avvenuta un’influenza diretta, vale a dire che si è

trasmessa come ordine dall’alto attraverso una precisa catena di

comando.

Tuttavia, esiste evidentemente un determinato clima politico e

d’opinione che va spesso a orientare le azioni intraprese dalla

magistratura.

 

Nel caso della Tav, è davvero una sorta di “pensiero unico” che 

è tanto più forte e pervasivo quanto più forti e pervasivi sono 

i poteri che lo sostengono: guardiamo per esempio al modo, il 

più delle volte apodittico, con cui viene difesa l’opera in val 

di Susa da parte della stampa nel nostro paese.

 

Tutto ciò crea appunto un clima per cui l’apparato giudiziario

si preoccupa più di tutelare l’ordine pubblico che di salvaguardare

le garanzie di diritto presenti nel nostro ordinamento. Garanzie

che, per tornare al caso di Dana Lauriola, impongono fra le altre

cose di prevedere il carcere solo in cui non ci sia alcuna possibilità

di applicare misure alternative.

da qui

 

LA BIELORUSSIA È IN VALLE SUSA, DANA LIBERA – Giorgio Cremaschi

Voi governanti ipocriti che sbandierate i diritti umani e la democrazia

là ove vi indirizzano affari, strategie militari e potere, voi che

deprecate gli arresti di chi scende in piazza nei paesi che

considerate nemici, voi siete responsabili che in Valle Susa,

Piemonte, Italia, una repressione poliziesca e giudiziaria senza

precedenti opprima un intero popolo in lotta.

Dana Lauriola è una compagna dell’Askatasuna e una militante

NO TAV che andrà in carcere perché le sono stati negati gli

arresti domiciliari. La motivazione da Comma 22 del tribunale

di Torino è che Dana non può scontare la pena a casa, perché

la sua casa è in Valle Susa e lei non si è dissociata dalla lotta

contro l’alta velocità. Una vergogna da codice Rocco che ora

conduce in carcere Dana per le stesse ragioni che vi portarono

all’inizio dell’anno Nicoletta Dosio. Dana, Nicoletta e altri dieci

militanti NoTAV sono stati condannati a complessivi 18 anni

di pena per mezz’ora di presidio al casello dell’autostrada nel

marzo 2012. Un presidio pacifico che ebbe solo l’effetto di far

passare gratis il casello alle auto, con un danno complessivo

per la società autostradale pari 700 euro; il che vuol dire che

per ogni 37 euro di danno è stato comminato un anno di carcere.
Questo del resto è il metro di misura con cui il tribunale di Torino

e tutti gli apparati dello stato trattano la lotta della Valle Susa, con

centinaia e centinaia di persone condannate, sottoposte a regimi

di limitazione della libertà e con una occupazione militare del

territorio che è giunta a schierare l’esercito. Il tutto per difendere

un’opera devastante, inquinante, costosa e inutile che solo la

malafede della classe politica, da Berlusconi a Salvini e a Meloni,

da Conte a Zingaretti e a Di Maio, fa andare avanti. Il TAV è solo

un danno, ma la classe politica questo danno continua a procurarlo;

e siccome ora i lavori ripartono Dana deve andare in prigione, come

rappresaglia e monito verso tutte tutti coloro che lottano. E che non

si fermeranno certo per questo nuovo momento di brutale repressione.
Un grande abbraccio a Dana che entra in carcere, a Nicoletta che è

arrestata a casa, al popolo NOTAV che si sentirà ancora più forte

per la fermezza ed il coraggio di queste meravigliose compagne.

Noi non siamo solo solidali, noi siamo partecipi e complici.
Libertà? per Dana, Nicoletta per tutte e tutti i NOTAV, facciamoci

sentire perché la Bielorussia è in Valle Susa.

da qui

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Un’altro degli aspetti di contorno di molti degli episodi di lotta e antagonismo degli ultimi decenni in Italia, è stato ed è quello di cercare, ed eventualmente sottolineare, se fra i militanti ci sono “ex terroristi”. In Val di Susa è successo e succede più che da altre parti proprio perché alcuni dei militanti che da decenni portano avanti le lotte a difesa della valle, e contro l’illogico progetto TAV, sono stati militanti di Prima Linea negli anni’70 del secolo scorso. Questo fatto, che dovrebbe avvalorare l’appartenenza, da sempre, di quei militanti al tessuto sociale resistente di quei territori, viene usato invece come presunto elemento di discredito di quei movimenti. O come “pezzo di colore”. A prescindere dalla natura e caratteristica della lotta e della militanza attuale, si tratti di “resistenza a pubblico ufficiale” come nel caso di Stefanino Milanesi in Val di Susa, o di impegno decennale sui diritti civili (addirittura all’interno di ARCI o PCI) come nel caso di Marco Solimano a Livorno o di Sergio D’Elia e Susanna Ronconi.
    Anche stavolta, TG e quotidiani, hanno “dovuto” sottolineare la militanza in Prima Linea (40 anni fa!) di Stefano Milanesi che ieri, mentre arrestavano Dana Lauriola, è stato messo agli arresti domiciliari per 5 mesi per un “reato” di resistenza del 2015, nel corso di una contestazione del cantiere TAV di Chiomonte.
    Riporto, su Stefanino, una lettera che apparve su notav.info quasi dieci anni , per una situazione simile, in risposta alla campagna di stampa contro i militanti valsusini ex PL. A conferma che perseverare è proprio diabolico: https://www.notav.info/senza-categoria/sono-amico-di-stefano-milanesi/.

  • Maria Teresa Messidoro

    Di fronte all’arresto di Dana Lauriola dobbiamo dimostrare che siamo in tante_i accanto a lei. Inviamole cartoline e lettere raccontando se volete i vostri luoghi di vita quotidiana. Non mandate libri o opuscoli che non le saranno dati. L’indirizzo è Dana Lauriola Casa Circondariale Lorusso Cutugno, Via M. A . Aglietta 35. 10149 Torino. La SOLIDARIETA’ Non Si Arresta..
    Ma è importante raccontare anche l’incredibile persecuzione contro Dana ad almeno una persona che pensate non è abbia sentito parlare.
    Maria Teresa Messidoro Valle di Susa.
    Tiziana Dal Pra Imola

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